DI PIERLUIGI GHIGGINI
“Non sono uno stragista, io il 2 agosto non ero a Bologna. Quando è stato il momento Paolo Bellini ha servito lo Stato, non ha servito l’Antistato come certi massoni. Non ho fatto parte né del Sismi né del Sisde e neppure dei massoni. E io non farò il coperchio di questo sarcofago”.
Paolo Bellini, l’ex killer reggiano reo confesso di oltre 10 omicidi, collaboratore di giustizia da 23 anni, condannato il 6 aprile scorso in primo grado all’ergastolo dalla corte d’Assise di Bologna quale co-autore materiale della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna – una sentenza largamente annunciata, arrivata al termine di un processo dagli sviluppi sconcertanti – ha esordito con questa frase perentoria nell’intervista fiume (oltre 12 ore di video) rilasciata a Gian Paolo Pelizzaro, Gabriele Paradisi e Pierluigi Ghiggini e che pubblichiamo a puntate su Reggio Report a partire da oggi. La prima intervista concessa almeno dal 1999, quando fu arrestato con un’operazione di polizia in piena estate al ristorante Capriolo sulla strada tra Reggio Emilia ed Albinea.
Una frase ripetuta più volte, in modo quasi ossessivo: Bellini, nell’intervista-monologo, non solo si difende con le unghie e con i denti dall’accusa di stragismo, demolendo le “prove” della condanna – a cominciare dalle dichiarazioni della ex-moglie Maurizia Bonini – e decenni di narrazioni giornalistiche entrate nel processo come una mandria galoppante, ma ribalta l’accusa: “Io quando è stato il momento ho servito lo Stato, non l’antistato”.
E rivela, in questa intervista fiume, un contesto inedito e assolutamente clamoroso dei fatti che hanno preceduto la strage del 2 agosto 1980 con i suoi 86 morti: fatti ai quali l’ex killer avrebbe partecipato con un ruolo niente affatto secondario, quando ancora per tutti era il brasiliano Roberto Da Silva. Non come stragista, bensì come emissario dalla parte dello Stato per disinnescare il terrorismo palestinese, che minacciava stragi e attentati in Italia dopo il sequestro nel 1979 a Ortona dei missili del Fronte di Habbash e l’arresto di Abu Anzeh Saleh, referente in Italia dello stesso Fplp, e uomo di collegamento tra Habbash e il terrorista internazionale Carlos che col suo gruppo Separat era al soldo dei palestinesi.
Racconta dunque Paolo Bellini che nel 1980 era all’opera un gruppo ristretto, e segreto, che faceva capo all’allora segretario della Democrazia Cristiana Flaminio Piccoli e a una parte dei massimi vertici della Dc, col beneplacito del Presidente del consiglio Francesco Cossiga. Gruppo incaricato di ricucire il Lodo Moro, pericolosamente strappato dopo l’affare dei missili di Ortona, e del quale facevano parte il Procuratore della Repubblica di Bologna Ugo Sisti, il giurista Vittorio Bachelet assassinato dalle Brigate Rosse all’università La Sapienza nel febbraio 1980, il ministro ed ex sindaco di Roma Clelio Darida, e altre persone al momento sconosciute: tutti legati dalla comune militanza cattolica e da stretti vincoli di amicizia.
Perchè una trattativa riservatissima e coperta con il terrorismo palestinese, condotta direttamente dai vertici del partito maggioritario, la Democrazia Cristiana, e di cui nessuno ha mai parlato e della quale veniamo a conoscenza solo oggi? Perchè, è la spiegazione, Piccoli e i suoi non potevano contare sui servizi segreti, “divisi al loro interno e ritenuti inaffidabili”.
Racconta dunque Bellini, alias Da Silva, di essere stato coinvolto nell’operazione supersegreta proprio nel febbraio 1980, quando incontrò Ugo Sisti a Roma in un giorno drammatico e oscuro, ai funerali di Vittorio Bachelet.
Da quel momento l’uomo della Mucciatella diventa la pedina di un’operazione talmente delicata e dirompente dal punto di vista politico tanto che di essa non si dovranno comunque lasciare tracce. E viene persino accompagnato da una certa persona al santuario della Madonna di Pietralba, il più
importante dell’Alto Adige, per un giuramento formale: nell’occasione gli viene consegnato un santino molto particolare, con una modifica speciale, da usare come lasciapassare e “documento” di riconoscimento.
Così il sedicente brasiliano Roberto Da Silva, ma con tanto di documenti anagrafici autentici, riceve precise istruzioni e si attiva subito. E infatti il 21 febbraio incontra all’hotel Lembo di Bologna il libraio tedesco Thomas Kram, inquadrato nelle Revolutionarien Zellen e nel gruppo Carlos come esperto di esplosivi: lo stesso Kram che sarà presente a Bologna la terribile mattina del 2 agosto, e su cui la Procura felsinea ha lasciato in sospeso “un grumo di sospetto”.
La Digos venne a sapere di quel singolare incontro già pochi giorni dopo la strage, però la nota relativa è rimasta occultata per decenni nei faldoni dell’istruttoria. Sono stati Pelizzaro e Paradisi a scoprirla nel 2020 e a documentarla in un memorabile articolo pubblicato da Reggio Report.
E oggi, di fronte all’evidenza, Bellini ammette nell’intervista che quell’incontro “non fu causale”, ma organizzato, evidentemente nell’ambito della trattativa segreta guidata dal vertice della Dc per disinnescare l’incombente pericolo della ripresa del terrorismo palestinese in Italia. E che da 40 anni aspetta che qualche magistrato gliene chieda conto.
Non va molto oltre: afferma di essere vincolato al segreto (di Stato?), ma che esistono testimoni ancora viventi, e forse documenti, e che è pronto a vuotare il sacco sino in fondo davanti a magistrati disposti ad ascoltarlo “senza pregiudizi”: “Volevo dire tutto al processo, ma il presidente Caruso mi ha fermato, affermando in udienza che non ero credibile. In quelle condizioni non potevo andare avanti”.
Aggiunge una cosa importante: la strage di Bologna “colse tutti di sorpresa”, e fu orchestrata da chi voleva bloccare la trattativa tra la Dc-Stato e il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, l’ala stragista dell’Olp.
Oggi Paolo Bellini, la cui credibilità come collaboratore di giustizia è stata passata al microscopio molte volte e sempre confermata, si ritrova con una condanna all’ergastolo sulla schiena, e ha solo l’interesse a parlare per dire la verità.
Del resto, il suo racconto ha già precisi riscontri: l’incontro con Kram all’hotel Lembo, il giuramento al santuario di Pietralba, l’interrogatorio subito dal Mossad che voleva saperne di più (e del quale esiste agli atti una deposizione rilasciata in tempi non sospetti).
Racconto per certi versi stupefacente (di cosa possiamo più stupirci nell’Italia dei misteri?) ma che mette a posto molti tasselli rimasti sino ad oggi a galleggiare nel puzzle della strage: come la presenza di Ugo Sisti all’albergo della Mucciatella, da Aldo Bellini (padre di Paolo) il 4 agosto, e di un misterioso “terzo uomo” intercettato sul posto dal maresciallo Bocchino della Digos di Reggio Emilia. Aggiungiamo pure che nella sua intervista Bellini sfida apertamente l’ex moglie Maurizia Bonini a dire cos’ era accaduto al passo del Tonale, dove la famiglia Bellini era andata in vacanza, nella notte del 4 e la mattina del 5 agosto 1980.
Arrivato ad alcuni snodi decisivi, si trincera dietro il “segreto”, o meglio dietro ai segreti che potranno essere sciolti solo di fronte a un magistrato.
Va da sè che il suo racconto apre una finestra sulla storia d’Italia rimasta sprangata e inaccessibile sino ad oggi, e per questo assolutamente clamorosa.
Una vicenda da sottoporre alle verifiche più ampie e accurate, ma che non può essere sottovalutata e valutata con un atteggiamento liquidatorio: anche perché i primi riscontri non mancano. Anche per questo oggi più che mai è indispensabile che venga tolto il segreto sulle carte della strage (e quelle connesse) che è stato confermato dal governo Conte non più tardi dello scorso anno. Togliere il segreto non solo si documenti del colonnello Giovannone, all’epoca Capo Centro del Sismi a Beirut, ma anche sulla trattativa riservata con il terrorismo palestinese, di cui probabilmente non fu fatta arrivare notizia nemmeno alle commissioni parlamentari.
La portata della questione – una trattativa col terrorismo palestinese promossa e guidata dalla stessa Dc che due anni prima aveva immolato Aldo Moro in nome della fermezza contro il terrorismo – sarebbe già una spiegazione esauriente sulla persistenza del segreto, di Stato o funzionale, sulla strage alla stazione di Bologna.
Reggio Report inizia la pubblicazione a puntate dell’intervista video integrale a Paolo Bellini realizzata da Gian Paolo Pelizzaro e Gabriele Paradisi, con il contributo di Pierluigi Ghiggini. E’ già on line dal 1° agosto il trailer con un sintesi dell’intervista di 15 minuti .
Qui pubblichiamo il Capitolo 1- prima parte e il Cap. 2- prima parte, nelle quali Bellini fra l’altro ribadisce con determinazione la propria innocenza e anzi di avere “servito lo Stato”, demolisce la testimonianza di Maurizia Bonini contro di lui, afferma che il filmino Polzer è manipolato, che non è lui l’uomo “con la fossa delle Marianne” nel petto. Inoltre risale alle origini dei tentativi di suoi coinvolgimento nella strage, sin dall’inserimento nel primo elenco dei 50 ricercati, da parte del poliziotto della Mobile reggiana Rolando Balugani distaccato per l’occasione alla Digos di Bologna.
Le puntate dell’intervista, senza tagli nè manipolazioni, ma col volto di Bellini travisato su richiesta del magistrato di Sorveglianza, vengono pubblicate anche nel canale Youtube Ragion di Stato. Di seguito i link alle parti attualmente disponibili.