di Luigi Bottazzi
28/12/2014 – “Vent’anni persi”, questo il giudizio ficcante con il quale il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha recentemente liquidato la stagione dell’Ulivo, suscitando la reazione piccata di coloro che di quella stagione sono stati protagonisti, nonché beneficiari di posizione di potere e di carriera politica.
Per la verità , il giudizio di Renzi è nel complesso difficilmente contestabile, ne sono conferma i deludenti risultati conseguiti in un ventennio ricco di beghe personali e di pseudo riforme quanto povero di risposte persuasive ed efficaci ai problemi, almeno a quelli più rilevanti, di cui soffre il Paese.
Eppure quel giudizio – ancorchè liquidatorio, ma in linea con il temperamento del leader fiorentino come abbiamo imparato a conoscerlo in questi tempi “nuovi “ – merita di essere approfondito con serenità e distacco, come si conviene ad un tema che non è ancora consegnato ai libri di storia , ma riguarda l’attualità politica perché ha a che fare con le scelte che si stanno facendo in queste settimane in materia di sistema elettorale. Non si tratta dunque di dar vita ad una discussione accademica e fuori dal tempo, ma di scongiurare il ripetersi di scelte sbagliate i cui effetti negativi rischiano di ripercuotersi nei decenni a venire.
A quanti lavorano, più o meno apertamente, per imporre al paese (quasi, si direbbe ope legis) la camicia di forza di un modello bipartitico di stampo anglosassone estraneo alla nostra storia e cultura politica, tornerebbe utile un riesame serio e severo della stagione dell’Ulivo per cogliere il motivo profondo che determinò il fallimento di quel progetto che pure seppe suscitare all’inizio entusiasmo e l’adesione di donne e uomini provenienti da esperienze esterne.
In origine l’Ulivo voleva essere una proposta di convergenza delle forze riformiste che si riconoscevano in un progetto e programma di governo condiviso, un soggetto, dunque pluralista, inclusivo, senza pretese di egemonie auroreferenziali.
Quel progetto purtroppo è fallì allorché si pretese – attraverso la creazione del PD – di trasformare l’Ulivo nel partito unico del centro-sinistra. Anzi di ingessare una situazione, di culture politiche plurali, con la stupidaggine della cosiddetta “contaminazione “, un risultato prevedibile, come altre unificazioni” forzate” del passato, vedi PSU nato dalla fusione , anche lì a freddo, tra PSI e PSDI ( 1966-68), avevano chiaramente dimostrato alla luce della storia più recente.
La crisi del primo governo Prodi e la successiva soluzione del governo D’Alema impressero una accelerazione innaturale a quel processo di aggregazione. Era talmente innaturale quella accelerazione che oggi, oltre dieci anni dopo, siamo ancora impantanati in un sistema segnato da un esasperato frazionismo dei partiti , ad un trasformismo insopportabile tra e nelle forze politiche, da una conflittualità che definire indecente è dir poco.
Ebbene, una legge elettorale fatta nell’interesse generale deve anzitutto assicurare la giusta rappresentanza del Paese reale e al contempo garantire che il voto produca una maggioranza coesa resa forte dalla condivisione di un progetto e di un programma, che esprima una capacità di governo all’altezza dei tempi.
Per quanto invece si capisce dal ginepraio delle quotidiane esternazioni da parte di personaggi spesso improbabili e misconosciuti ai più, sembra di intravedere il riemergere della tentazione di costruirsi un modello elettorale funzionale al progetto bipartitico di cui si parlava sopra, a dispetto anche del fatto che il Paese non si riconosca in tale modello.
Occorre invece un rilancio di quella cultura fondata sul “ principio di coalizione “, come ci ha insegnato il mai dimenticato Alcide De Gasperi, che è stata la base sulla quale l’Italia del dopoguerra ha costruito istituzioni democratiche solide.
Se così non fosse, il centro-sinistra – perché a questo siamo interessati ( ovviamente ad una coalizione non ad un partito unico ! ) – si avvierebbe a ripetere l’ennesimo karakiri della sua storia, con l’aggravante che il mutare della fortuna e il possibile rinascere di un fronte avverso meno scompaginato dell’attuale potrebbero far perdere le rendite di posizione di cui in questi ultimi tempi ha potuto godere.