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IL CASO DI EMANUELA ORLANDI
40 anni di indagini, depistaggi e dossier falsi
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DI GIAN PAOLO PELIZZARO

18/6/2023 – Giovedì 22 giugno sarà il 40° anniversario della misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza quindicenne, cittadina vaticana, svanita nel nulla, senza lasciare alcuna traccia, nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 giugno del 1983, tra piazza Sant’Apollinare e corso Rinascimento, in pieno centro storico a Roma.

Seguo il caso come cronista dal 1993. In tutti questi anni ne abbiamo sentite e viste di tutti i colori. Soprattutto dal 2008 in avanti, la vicenda si è andata arricchendo di teoremi sempre più grossolani e inverosimili, fino ad arrivare – di recente – alla paradossale e infamante ipotesi di un presunto coinvolgimento diretto di Giovanni Paolo II nella sparizione della minorenne. Peccato per coloro che hanno alimentato questo ennesimo depistaggio che il Papa quel giorno fosse a Cracovia, nel suo secondo viaggio pastorale in Polonia.

La vicenda ha interessato tre pontificati (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco) e ha attraversato alcune delle fasi più traumatiche della storia del dopoguerra: dallo scontro Est-Ovest all’avvento della Perestrojka, dal crollo del Muro di Berlino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. La sparizione di una ragazza minorenne cittadina vaticana si è trasformata – in pochi giorni – da un caso di cronaca bianca (e nera) in un intrigo internazionale, dove entrarono in scena oscure entità e servizi segreti di altri Paesi, alcuni dei quali non occidentali.

La scomparsa di Emanuela Orlandi venne utilizzata e strumentalizzata – a partire dal 5-6 luglio 1983 – per condizionare il Vaticano e creare il maggior danno possibile all’immagine e alla reputazione del pontificato di Giovanni Paolo II. Il gruppo che per primo entrò in scena e che parlava con la voce di un falso americano (per questo all’epoca venne soprannominato l’Amerikano) intavolò una complessa e indecifrabile trattativa segreta con i familiari della ragazza e con il cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli, ufficialmente e pubblicamente per chiedere lo scambio con il terrorista turco condannato all’ergastolo per aver tentato di assassinare il Sommo Pontefice, il 13 maggio 1981 a Piazza San Pietro.

Il caso Orlandi è ancora aperto, con due procedimenti penali in corso: uno da parte del Promotore di Giustizia vaticano e l’altro da parte della Procura della Repubblica di Roma. C’è, infine, la concreta ipotesi di una terza indagine. Questa volta di natura parlamentare con l’istituzione di una commissione bicamerale d’inchiesta la cui legge istitutiva, dopo essere stata approvata alla Camera, è oggi all’esame del Senato.

I tentativi di condizionamento, estorsione e ricatto sono andati avanti per anni, arrivando fino ai giorni nostri, attraverso la fabbricazione e propalazione di documenti apocrifi e dossier falsi (come la famigerata e tragicomica nota spese datata 28 marzo 1998 e utilizzata in modo a dir poco spregiudicato da alcuni giornalisti italiani, a partire dal 2017) con l’unico obiettivo di colpire e diffamare i vertici della Chiesa cattolica nel loro insieme.

Dopo tanti anni di ricerche e lavoro giornalistico sul campo e in archivio, ho pensato che fosse arrivato il momento – dopo quarant’anni – di redigere un primo documento sul caso Orlandi (la scomparsa dell’altra ragazza, Mirella Gregori, l’ho lasciata da parte perché ritengo che, nonostante il maldestro tentativo fatto dal sedicente Fronte Turkesh a partire dal 4 agosto 1983, non abbia nessun legame diretto con la sorte di Emanuela), per cercare di fare un po’ di chiarezza sull’intera vicenda, intossicata da decenni di disinformazione.

Partendo dai vari articoli da me scritti tra il 1993 e il 1995, ho cercato di dipanare un filo conduttore lineare e logico, seguendo una serie di fatti e circostanze scarsamente investigate, al fine di illuminare meglio la scena del crimine e avere una visione più chiara e comprensibile dei motivi del complotto che hanno finito con l’inghiottire, progressivamente, l’accertamento della verità. A distanza di 40 anni, infatti, non si sa esattamente a che ora uscì di casa Emanuela Orlandi quel giorno, né sappiamo a che ora arrivò alla prima lezione di musica alla scuola Ludovico da Victoria a piazza Sant’Apollinare. Così come restano indefiniti i contorni di quella zona grigia intorno alla stessa scuola di musica frequentata dalla vittima. L’istituto fondato da suor Dolores era frequentato, infatti, da persone sospette (dei laici esterni al mondo ecclesiastico) che potrebbero aver avuto un ruolo nella tragica sorte della ragazza.

Il documento che ho redatto (e che potete scaricare da QUESTO LINK) ha in appendice alcuni allegati attraverso i quali potrete ripercorrere le varie tappe della drammatica vicenda, seguendo un percorso cronologico che va dal 22 giugno al 4-5 settembre 1983 e poi dal 31 marzo 1994 al 1° dicembre 1995, con una serie di mie inchieste sull’allora quotidiano “L’Indipendente”.

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2 risposte a IL CASO DI EMANUELA ORLANDI
40 anni di indagini, depistaggi e dossier falsi
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  1. Alessandra Rispondi

    18/06/2023 alle 21:14

    Dettagliatissima e profonda analisi grande professionista e grande lavoro

  2. Legalità Anticorruzione OdV Rispondi

    20/06/2023 alle 12:16

    Bravo e grazie ! L’associazione Comitato per la Legalità e l’anticorruzione odv in memoria di Ferdinando Imposimato, Giudice istruttore

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