DI PIERLUIGI GHIGGINI
12/6/2023 – “Un maxi processo falsati dai mali della malagiustizia politicizzata“. Un traffico di influenze politiche che si è spinto sino al cuore della parte più “sacra” della magistratura: l’antimafia. Una concatenazione di atti avvenuti negli anni per tenere al riparo dalle inchieste sul malaffare politico e dal processo Aemilia, importanti esponenti del Pd reggiano e il sistema di potere edificato e controllato dal partito da sempre al governo in Emilia.
Questa la finestra aperta dal libro “Colpo al sistema” di Giovanni Paolo Bernini su una connection politico-giudiziaria di eccezionale gravità, e che da sola imporrebbe la riapertura nel processo Aemilia sui rapporti fra ndrangheta, politica e amministrazioni. Proprio quel processo-stralcio chiesto inutilmente dall’ex pm della Dna Roberto Pennisi, e che fu applicato tra il 2011 e il 2013 alla Dda di Bologna per l’inchiesta Aemilia. Pennisi chiedeva di sottoporre a indagini gli ex-sindaci Graziano Del Rio e Antonella Spaggiari, l’ex assessore all’urbanistica del comune di Reggio Emilia, Ugo Ferrari, la dirigente all’urbanistica Maria Sergio (moglie del sindaco Luca Vecchi), e altri ancora. Per questo entrò in rotta di collisione con il collega Marco Mescolini, il quale vinse il braccio di ferro: il collega ficcanaso fu rispedito a Roma, nonostantei consensi alla conferma del distacco a Bologna, e restò il dominus incontrastato dell’inchiesta Aemilia. Gli esponenti del Pd ebbero il privilegio di restare al riparo delle indagini, mentrre furono mandati a un ingiusto e infame massacro politico, giudiziario e mediatico due esponenti dell’opposizione, Pagliani e lo stesso Bernini.
A mettere in chiaro che la connection per la protezione del Pd non è soltanto un’ipotesi, per quanto plausibile, è la relazione scritta e consegnata dal dottor Pennisi nel luglio 2021, su richiesta della Procura generale della Cassazione a seguito dell’interrogazione dei senatori Gasparri e Quagliariello presentata nella passata legislatura, ma che non ebbe l’onore di una risposta. La richiesta infatti era partita dalla Procura generale nel settembre 2020, però fu notificata a Pennisi dall’allora procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho solo dieci mesi più tardi, per una delle tante, singolari e oggi molto meno misteriose circostanze di cui è costellata questa vicenda.
La relazione Pennisi, arrivata al ministero della Giustizia solo questo aprile, è ora sul tavolo del ministro Nordio il quale ha promosso una indagine ispettiva coperta da segreto sulla Dda di Bologna, come dichiarato dal sottosegretario Durigon nella risposta in aula all’interrogazione del deputato reggiano Gianluca Vinci, di Fratelli d’Italia.
Nondimeno il testo di Pennisi – asettico nella forma, ma esplosivo nei contenuti – è stato pubblicato da Bernini in forma pressoché integrale a chiusura di “Colpo al sistema”, che è in libreria solo da pochi giorni.
IL TESTO DELLA RELAZIONE PENNISI
Ma cosa ha scritto l’ex pm ora in pensione, che è stato uno dei magistrati di punta dell’antimafia italiana e fu chiamato a Bologna proprio per le sue competenze in materia di relazioni tra mafie e potere politico?
Reggio Report è in grado di pubblicare ampi stralci del testo, su concessione dell’ autore di Colpo al Sistema
“PERCHE’ FUI CHIAMATO ALLA DDA DI BOLOGNA”
“In riferimento all’oggetto – così inizia la Relazione Pennisi – per rispondere ai quesiti di cui alla nota n.19819/2020 della Procura Generale della Corte di Cassazione del 14 settembre 2020…”.
“Premetto di essere stato applicato presso la Procura distrettuale della Repubblica di Bologna nel procedimento penale n. 20604/10 dal 14.11.2011 al 14.11.2013. Tale applicazione venne disposta e prorogata fino alla data citata per giorni tre alla settimana dall’allora Procuratore nazionale antimafia Dott. Pietro Grasso su richiesta del Procuratore distrettuale dott. Roberto Alfonso il quale mi aveva rappresentato l’esigenza, dopo aver preso visione del materiale investigativo esistente presso l’ufficio a capo del quale era stato nominato nell’ anno 2009.”
“In particolare aveva notato come prima del suo arrivo, i fenomeni connessi alla criminalità mafiosa calabrese segnalati alla DDA dalla Polizia Giudiziaria venissero trattati in maniera parcellizzata, così che non potesse avere una visione di insieme.
E questo anche perché antecedentemente vigeva la regola di non affrontare in territorio emiliano i fenomeni di marca mafiosa nel loro aspetto associativo che veniva rimesso alle DDA di origine dei sodalizi mafiosi, limitandosi solo ad indagare sui reati. Il compito che pertanto mi venne assegnato fu quello di esaminare tutto il predetto materiale investigativo onde appurare se in esso si rinvenissero gli estremi per poter configurare un delitto associativo e soprattutto se questo potesse ritenersi radicato nel territorio emiliano”.
L’AVVIO DELL’INDAGINE AEMILIA
“Dopo un impegnativo lavoro di disamina degli atti per la loro mole, non tanto per la difficoltà di individuare cosa in essi si nascondesse, fui in condizioni di rispondere positivamente ad entrambi i quesiti postimi dal procuratore dott. Alfonso ed iniziò la fase di indagine in senso stretto che svolsi interagendo con il dott. Marco Mescolini assegnatario del fascicolo. Il lavoro procedette regolarmente e serenamente per tutto il periodo dedicato alla acquisizione dei dati investigativi occorrenti per dar corpo agli indizi di reità in ordine alla esistenza della associazione per delinquere di tipo mafioso e di marca calabrese e dei suoi componenti in gran parte originari di quella regione provenienti da Cutro ed insediati da tempo soprattutto nel territorio di Reggio Emilia. Posso affermare che ciò si verificò per tutto l’anno 2012 e parte del 2013 ovvero sia fino a quando non si fu in condizioni di disporre del materiale occorrente per poter inoltrare una richiesta di custodia cautelare al GIP bolognese con l’uso del materiale investigativo acquisito entro il termine delle indagini; materiale che consentiva di rappresentare con sicurezza come in Emilia Romagna fosse insediata una ‘ndrina delocalizzata rispetto a quella madre esistente in Cutro e facente capo a Grande Aracri Nicolino. E a nessuno sfuggiva come, acquisiti tali elementi, fosse urgente procedere alla attività repressiva onde impedire la prosecuzione di gravi attività delittuose che arrecavano notevolissimo danno al normale ed ordinato procedere della vita in quel territorio”.
QUANDO E PERCHE’ SORSERO I PROBLEMI
“I problemi sorsero quando si profilò la necessità dello svolgimento di un’altra fase investigativa che non poteva per ragioni di tempi processuali essere eseguita nell’ambito del procedimento in corso della quale esistevano i presupposti in base a quanto era già in parte emerso ed andava sviluppato. Il riferimento è ai rapporti che ritenevo essere emersi tra il sodalizio investigato ed il livello politico locale, rapporti che oltre a comparire già in luce per alcuni e più evidenti per altri soggetti, corrispondevano alla essenza stessa del crimine mafioso che per essere tale non può fare a meno di essi. E ciò a maggior ragione, considerato che il sodalizio configurato dalle indagini era particolarmente dedito allo svolgimento delle attività economicoimprenditoriali, ragione per la quale il contatto con i decisori politici era imprescindibile.”
La presentazione di Colpo al Sistema alla Camera dei Deputati con l’on. Gianluca Vinci, Giovanni Paolo Bernini e Pierluigi Ghiggini
Pennisi sottolinea l’emergere di “un ambito investigativo riguardante i rapporti ‘ndrangheta e politica per il quale le indagini svolte già offrivano notevoli spunti nei confronti di soggetti che avevano gestito la cosa pubblica nell’ultimo decennio a Reggio Emilia ed in cui si inseriva la nota dei Servizi (segreti n.d.a) citata nella richiesta di informazioni della Procura Generale della Corte di Cassazione, nonché nella interrogazione parlamentare che ne ha dato origine. Tale nota era contenuta, con relativo iniziale sviluppo (investigativo n.d.a.), in atti del gennaio 2013 provenienti dal Reparto Operativo del Comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Emilia e diretti alla DDA di Bologna.”.
I CONTRASTI CON MESCOLINI: POSIZIONE DI BERNINI E PROCESSO AI POLITICI
A questo punto, la relazione entra nel merito dei contrasti tra Mescolini: la richiesta di arresto di Bernini, che infatti Pennisi non firma (e del resto fu respinta dal Gip di Aemilia) e il processo-stralcio su ndrangheta e politici reggiani. Contrasti – spiecifica l’ex pm – “non di natura personale ma processuale e che portarono alla fine della mia applicazione alla DDA di Bologna”.
“Per ciò che riguarda il Bernini invero era mirata a rappresentare anche al Procuratore Alfonso quanto emerso dalle indagini a carico del predetto esponente politico fosse significativo ma non sufficiente per integrare gravi indizi di reità necessari per richiedere una misura cautelare. Siccome il dottor Mescolini intendeva fare con l’approvazione del Procuratore, la mia posizione sul punto era stata definita in uno scritto costituente bozza di richiesta di custodia cautelare in base alla suddivisione dei compiti che si era effettuata con il dottor Mescolini in cui diffusamente mi soffermai sulle risultanze investigative riguardanti il Bernini – continua il magistrato Pennisi nella Relazione – e sulle ragioni per le quali occorrevano ulteriori approfondimenti. E “sia detto per completezza storica con il senno del poi, la fondatezza della mia posizione ha trovato dimostrazione prima nel mancato accoglimento da parte del GIP della richiesta di custodia cautelare nei confronti del Bernini a firma del dottor Mescolini e poi del suo definito proscioglimento”.
“Ma fu l’altro aspetto sopra rappresentato ad essere determinante per la fine della mia applicazione alla DDA bolognese. Invero in funzione del Programma investigativo che si era profilato come detto, prospettai l’esigenza di uno stralcio del procedimento principale n. 20604/10 di tutti gli atti afferenti ai rapporti ndrangheta e politica perché andassero a far parte di un distinto e nuovo procedimento penale per il quale disporre una nuova mia applicazione attesa la scadenza di quella relativa al citato procedimento principale e nel cui ambito svolgere anche i detti approfondimenti relativi al Bernini. Strategia processuale, quella dello stralcio resa necessaria anche per il fatto che il procedimento principale era già sostanzialmente concluso e ci si avvicinava al momento della discovery (deposito degli atti processuali n.d.a.)”.
“GLI ESPONENTI DEL PD DA INDAGARE “
“Dopo la scadenza della applicazione al Procedimento penale principale, anche il Procuratore Nazionale Franco Roberti subentrato nel 2014 al dott. Pietro Grasso, manifestò la sua completa adesione ad una nuova applicazione ove fosse stata presentata con una richiesta in tal senso da parte della DDA di Bologna. Ben ricordo che per l’attività di stralcio per cui ovviamente non potevo presiedere personalmente perché scaduto dall’applicazione, avevo già indicato quali fossero gli atti da selezionare e le strategie investigative da seguire. Nonché nelle grandi linee le persone da sottoporre ad indagine ovvero, come premesso, i soggetti che avevano gestito la cosa pubblica a Reggio Emilia negli anni precedenti, identificandoli (cioè da iscrivere nelle nuova indagine n.d.a.) nei sindaci Spaggiari Antonella e Delrio Graziano, anche per via della loro partecipazione alla Processione del Santo Crocefisso del 2009 nel corso della loro campagna elettorale per le elezioni amministrative reggiane che costituivano episodio sintomatico di cui far emergere i reali contorni nonché funzionari della amministrazione comunale di Reggio Emilia quali Sergio Maria, Ferrari Ugo e altri. Numerosi referenti erano indicati nel documento dei Carabinieri di Reggio Emilia del gennaio 2013.”
Sappiamo come finì, e lo spiega lo stesso Pennisi: la suia applicazione al processo Aemilia non fu rinnovata, nonostante “la completa adesione” del Procuratore nazionale Franco Roberti.
BERNINI: LA VERITA’ EMERGE SEMPRE ANCHE SE IN RITARDO
Scrive Bernini, a commento della relazione Pennisi: “La verità emerge sempre, anche se in ritardo e la verità va ricercata con sacrificio, pazienza ed anche con una forte dose di coraggio. Quel coraggio e quella pazienza che non mi sono mancati in questi lunghi dieci anni. Un grazie a mio padre che da lassù mi ha guidato e protetto e grazie ai tanti amici personali, ai giornalisti coraggiosi che si sono spesi in questa battaglia di Giustizia ed ai magistrati leali Servitori dello Stato, senza i quali non avremmo riscritto la storia di una inchiesta e di un maxi Processo falsati dai mali della malagiustizia politicizzata. La verità è emersa in tutta la sua drammaticità e con tutte le sue omissioni, ritardi e silenzi complici. Ora attendiamo la Giustizia Giusta, quella che hanno chiesto gli italiani con dieci milioni di sì al Referendum perché i magistrati che sbagliano possano e debbano rispondere dei propri errori, non importa se compiuti coscientemente o inavvertitamente. Quella che è stata invocata con il voto alle ultime elezioni politiche. Quella per cui gli Italiani hanno con forza chiesto alla Politica intellettualmente onesta di liberarsi dal “Sistema di malagiustizia politicizzata” che uccide i propri figli e calpesta la storia della magistratura italiana fatta di Servitori dello Stato e di eroi dell’ anfimafia.
Batti un colpo
13/06/2023 alle 11:28
ABBEH
Altro che Silvio………..
codeluppi ascanio
18/06/2023 alle 11:37
delrio il grande Moloch reggiano……