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“Saman aveva paura del padre: maltrattava lei e la madre, le tirò anche un coltello”
Rivelazioni dell’assistente sociale al processo di Reggio

31/3/2023 – Saman aveva paura. “Ci disse che il padre era capace di tutto, era molto ricco e molto potente in Pakistan. Maltrattava lei e la madre, era capace di lasciarle fuori di casa al freddo e al caldo. Era un uomo violento”.

Così Angela Oliva, assistente sociale dell’Unione Bassa Reggiana, che aveva preso in carico Saman Abbas una volta divenuta maggiorenne, ha ripercorso oggi nell’aula della Corte d’assise di Reggio Emilia, le confidenze di Saman negli ultimi suoi mesi di vita. Testimonianza di particolare interesse, anche alla luce dei rilievi mossi sulle “falle” del sistema dei servizi sociali nella tragedia di Saman, la diciottenne pakistana assassinata dal clan a Novellara per essersi sottratta a un matrimonio combinato.

“Ci siamo allarmati – ha detto l’assistente – quando a marzo 2021 abbiamo saputo che il fidanzato Saqib era stato minacciato dal padre di Saman e lo abbiamo riferito alle forze dell’ordine. Saman ci raccontò anche che dopo la sua fuga in Belgio il padre le aveva lanciato un coltello, ferendo alla mano il fratello che si era frapposto per difenderla”.
    A metà aprile 2021 Saqib le avrebbe anche detto di dire a Saman che lui non avrebbe potuto ospitarla, visto che viveva con altre persone, dunque di non lasciare la comunità di Bologna, altrimenti la loro storia sarebbe finita.

Saman “descriveva il padre come un pericolo, raccontò di violenze, di maltrattamenti subiti quando viveva con i genitori, della sua reazione quando era rientrata dal Belgio, del coltello lanciatole contro, che aveva ferito il fratello che si era interposto. Disse inoltre che veniva spesso lasciata fuori casa dal padre, lei e la mamma, al freddo, al caldo. Saman andava bene a scuola, aveva volontà di andarci. In comunità aveva fatto amicizie ma il suo percorso era altalenante, la comunità segnalava difficoltà relazionali, conflittualità tra le ragazze, in una occasione c’era stato anche uno screzio”.

‘Con Saqib, il fidanzato, “aveva contatti telefonici, c’erano richieste di uscire da parte di Saman, di vedere il ragazzo – ha detto – La comunità tentava di far capire a entrambi i ragazzi che c’era un problema di sicurezza di Saman. Entrambi manifestavano il desiderio di vedersi, per questo abbiamo chiamato Saqib per spiegare anche a lui le accortezze necessarie. Ci sono stati forse quattro, cinque allontanamenti volontari. Quando lei è diventata maggiorenne. Quando tornava, la comunità sporgeva denuncia.

Stava via a volte un giorno, a volte tornava e riusciva la sera, stava con Saqib a Bologna”.

E ancora: ”L’11 aprile siamo stati avvisati dalla comunità del nuovo allontanamento – ha raccontato ancora ancora l’assistente sociale – ho avvisato la mia responsabile, ho provato a contattare Saman al cellulare ma risultava spento, non riceveva i messaggi. E anche Saqib non mi rispondeva, salvo poi mandarmi un messaggio per dirmi che era al lavoro e non poteva rispondere. Il 13 aprile abbiamo chiamato quindi Saqib che ha detto di non avere novità su Saman. L’accordo era di avvisarci. Solo dopo siamo venuti a sapere che il 22 aprile la ragazza era rientrata a casa”.

”Il padre di Saman mi chiamò il 19 aprile chiedendomi di poter vedere la figlia, che la mamma stava male, che piangeva sempre, che voleva tornare in Pakistan ma prima voleva vederla”.

Saman si rivolse ai servizi sociali della Bassa il 9 novembre 2020: ”Io ero in smart working – ha spiegato Oliva – e Saman mi contattò su whatsapp per chiedermi aiuto. Iniziammo a parlare e venne fuori il discorso legato al matrimonio combinato in Pakistan. Aveva percepito che sarebbe partita di lì a poco. Organizzai quindi un colloquio per il giorno successivo in ufficio, mi chiese anche di non contattarla al telefono ma solo in chat, perché non voleva farsi sentire dalla famiglia. Il giorno dopo venne infatti con la mamma, che feci poi uscire. Saman mi disse che i genitori l’avrebbero portata in Pakistan il 17 novembre per sposare un cugino molto più grande di lei, mi pare di 11 anni, ma che non lei voleva, mi disse ‘“i prego aiutami“.

Le spiegai allora cosa volesse dire esser messa in protezione, e mi disse che accettava. Iniziai così coi colleghi a organizzare l’allontanamento che si verificò il 13 novembre. Saman venne portata a Bologna in una comunità educativa per minori. Quando andai a vedere come stesse in comunità, Saman sembrava un’altra persona, il giorno prima aveva i vestiti classici della loro cultura, in comunità capelli sciolti lunghi, maglietta nera, jeans: era vestita all’occidentale. Le avevamo chiesto se volesse praticare o seguire una particolare alimentazione, ma mi guardò come a dire anche no”’. ‘

Le sono stati tolti i telefoni per ragioni di sicurezza, ma lei voleva parlare con Saqib. Mi aveva parlato della sua relazione con quel ragazzo il 10 novembre, all’indomani della richiesta di aiuto. Mi disse di averlo conosciuto sui social, che viveva a Frosinone, che per lei era una relazione molto significativa. Gli elementi di preoccupazione – ha aggiunto l’assistrente sociale – erano talmente elevati, perché potesse essere rintracciata dalla famiglia, che avevamo vietato a Saman di utilizzare il telefono in qualsiasi modalità. Per questo facevo da tramite tra i due ragazzi, per cercare di tenerla tranquilla”.

IL VIAGGIO IN BELGIO

Adesso ti racconto tutta la verità, ma non devi dire niente ai miei genitori. Fu così che Saman, una volta acquistata fiducia, mi raccontò dell’allontanamento volontario – così Oliva ha proseguito la sua deposizione – Che aveva organizzato bene quel viaggio in Belgio per raggiungere il ragazzo di cui si era innamorata, che aveva prelevato dei soldi dai genitori, che aveva preso il treno da Reggio a Bologna fino a Milano, dove aveva passato una notte in stazione, da lì era arrivata in Francia fino al Belgio. Delusa dal ragazzo che era già fidanzato, aveva chiesto al padre di andarla a prendere.

Mi disse che una volta rientrata in casa era stata picchiata dal padre che le aveva lanciato contro un coltello, ferendo a una mano il fratello che si era interposto tra i due. La madre mi disse che si era ferito nel tagliare l’insalata”.

“Avevo avuto il primo colloquio con Saman e i suoi genitori il 27 ottobre 2020, avevo già chiesto informazioni ai carabinieri che mi avevano spiegato cosa fosse accaduto, dall’allontanamento volontario alla fuga in Belgio della ragazza. In quell’occasione il papà e la mamma furono molto fugaci nel voler approfondire il discorso dell’allontanamento volontario, mi dissero che per loro era un disonore la fuga della figlia in Belgio, che l’avevano perdonata ma che non volevano far sapere ai connazionali quanto accaduto, vero è che non volevano nemmeno ci fosse la mediatrice linguistica.

Saman si è aperta con me solo in un secondo momento – ha raccontato – quando ha capito che poteva fidarsi. Da parte loro c’era il desiderio che si chiudesse il tutto, mi mettevano fretta, più che altro il papà, ma anche la mamma era frettolosa, si capiva che non volevano affrontare l’argomento”.

“In un secondo momento Saman mi ha raccontato di essere arrivata in Italia quattro anni prima tramite il ricongiungimento familiare, che aveva terminato gli studi perché gli era stato impedito dai genitori nonostante la sua volontà di continuare ad andare a scuola, che non usciva di casa ma passava le giornate ad aiutare la mamma. Per lei i social erano la finestra sul mondo, anche quando usciva di casa era sempre con qualcuno. Dell’allontanamento della figlia i genitori mi dissero che un gruppo di ragazzi erano andati a prendere Saman sotto casa per portarla via e che potevano testimoniare le telecamere”. Versione, appunto, contestata dalla ragazza una volta sola con l’assistente sociale.

Novellara: Saman esce di casa con i genitori alla mezzanotte del 1° maggio

L’ AVVOCATO CATALIOTTI: “SAMAN E LO ZIO DANISH AVEVANO UN OTTIMO RAPPORTO

“Lo zio Danish e Saman, daquanto emerge dai documenti in mio possesso, avevano un ottimo rapporto e lui in nessun modo ostacolava il suo processo di occidentalizzazione che era già iniziato”. Così l’avvocato Liborio Cataliotti, difensore di Danish Hasnain, è intervenuto amargine dell’udienza odierna per il delitto di Saman Abbas,davanti alla Corte d’Assise di Reggio Emilia. In aula ha poi chiesto all’assistente sociale che per prima si occupò del caso della giovane se lei avesse mai parlato dello zio e la risposta è stata: “No”. Danish è a processo con i cugini di Saman, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz e con i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, entrambi in Pakistan, il padre agli arresti, la madre latitante.

Saman e il fidanzato a Bologna

“IL FIDANZATO DI SAMAN VIVEVA NEL TERRORE PER LE CONTINUE MINACCE DEL PADRE DI LEI”

Nell’aula della Corte di Assise di Reggio Emilia, dove è stato sentito come testimone nel processo sull’omicidio di Saman Abbas, V. P. il luogotenente dei carabinieri di Frosinone da poco in congedo, ha raccontato che il fidanzato di Saman, conosciuto dalla 18enne sui social, era ”spaventato, in una condizione di fragilità per le continue minacce ricevute al telefono dal padre della ragazza”. Tre mesi dopo averlo visto per la prima volta, ”il 12 maggio – ricorda il carabiniere – ha presentato denuncia nei confronti del padre di Saman per le minacce ricevute da lui tramite telefono. Sono state acquisite in quell’occasione foto, video e screenshot. Lui aveva già presentato un’altra denuncia al commissariato di Sora.

E intanto continuava a venire da noi, quando mi vedeva chiedeva se ci fossero notizie fino a quando, il 7 giugno, è stato risentito dai carabinieri del reparto operativo di Reggio Emilia e Guastalla: è lì che ha detto di avere il telefono di Saman. Non era stato del tutto sincero, continuava a dire cose spezzettate, incalzato affinché dicesse la verità aveva crisi di pianto, si accasciava sulla sedia. Era reticente, cercava sempre di sviare”.

”L’ho poi risentito io il 10 giugno, perché avevamo saputo dell’ uscita di notizie sui media, qualcuno era riuscito a procurarsi il suo numero e, spacciandosi per carabiniere – ha detto ancora il testimone – era riuscito a farsi raccontare l’intera storia, contribuendo così a far divulgare le notizie. Da allora lo abbiamo trovato dimagrito, non mangiava, stava sempre a letto, in una situazione psicologica di fragilità. Qualche giorno dopo, il 14, l’amico interprete mi ha chiamato, dicendo di essere preoccupato perché Saqib non gli rispondeva e temeva per lui. Siamo andati a casa, nella cooperativa, e lo abbiamo trovato che stava male, abbiamo chiamato il 118 che lo ha poi portato a Cassino dove è rimasto ricoverato per una decina di giorni. Il 17 giugno mi ha fatto chiamare durante la degenza, mi ha chiesto un avvocato, continuava a dire che riceveva queste telefonate, gli abbiamo sequestrato i telefoni. Appena uscito dall’ospedale, accompagnato da un operatore, ha iniziato a prendere a testate un palo della segnaletica davanti alla caserma ed è poi svenuto. Lamentava il fatto che gli fossero stati sequestrati i telefoni, piangeva, diceva che non era giusto. Si è calmato solo quando gli è stato detto che lo avrebbero fatto chiamare due volte a settimana. Il 17 luglio ha ripresentato querela contro il padre di Saman – ha concluso – da lì non ho avuto più sue notizie fino a quando questa estate è venuto a trovarmi, stava meglio, aveva un lavoro ma continuava a temere le minacce dal padre di Saman”.

Ho conosciuto Saqib il 12 febbraio 2021, quando è stato chiamato in caserma per essere sentito a sit su delega dei carabinieri di Novellara, in qualità di fidanzato di Saman – così il carabiniere in congendo ascoltato oggi in Assise – Viveva, in qualità di rifugiato, ad Alvito (Frosinone, ndr) ospite di una cooperativa insieme ad altri due suoi connazionali”.

”Ho ascoltato le sue parole, si è avvalso di un mediatore della sua comunità perché non parla bene italiano. Non era molto preoccupato, era preparato perché ci aveva detto di esser stato già chiamato dagli assistenti sociali di Novellara. Abbiamo poi ricevuto una segnalazione da Bologna ad aprile per sentire nuovamente Saqib, in quanto non si avevano più notizie di Saman. Non lo abbiamo trovato, ci hanno detto che mancava da un mese, ma il 5 maggio si è presentato spontaneamente per raccontarci che non aveva più notizie di Saman. In quell’occasione – ha raccontato il luogotenente da poco in congedo – sono state acquisite delle comunicazioni su Instagram tra lui e Saman (una foto della ragazza con delle ecchimosi sul viso e una con un uomo che ci ha detto essere il padre) e abbiamo verificato come l’ultima chiamata tra i due fosse avvenuta il 30 aprile di quell’anno, alle 23.05. Lui ci è apparso molto più provato, aveva crisi di pianto, era impaurito, si vedeva che stava soffrendo. Quasi tutti i giorni veniva in caserma per chiedere novità, se sapevo qualcosa”. Saman scomparve e fu uccisa nella campagna di Novellara poco dopo quell’ultima telefonata col fidanzato.

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