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Giorno del Ricordo Messa per i morti delle foibe sabato in San Nicolò
Celebra don Ranza

Sabato 11 febbraio ad ore 18,00 presso la Chiesa di San Nicolò nel Centro Storico di Reggio Emilia sarà officiata dal Reverendo Don Franco Ranza una Messa in suffragio degli Italiani barbaramente trucidati dalle milizie comuniste jugoslave di Tito. E anche di espiazione per la conferenza di stampo negazionista dello scrittore Tenca Montini che il comune di Reggio ha pensato bene di organizzare, coprendosi di vergogna, insieme all’Anpi in Sala del Tricolore venerdì 10 febbraio, proprio nella giornata nazionale del Ricordo.

Una spietata pulizia etnica che provocò la morte di migliaia di persone colpevoli soltanto di essere italiane: le vittime furono gettate spesso dopo sevizie e ancora vive nella cavità carsiche, fucilate, deportate, mentre i sopravvissuti esuli in trecentocinquantamila dovettero abbandonare le loro case, le loro terre, le loro attività, i loro morti; molti di loro, grazie ad una scientifica azione di disinformazione storica di matrice comunista, subirono ulteriori persecuzioni anche nell’Italia del dopoguerra, in quanto tacciati di essere fascisti. Lo Stato Italiano non ha mai risarcito questi nostri compatrioti privati di tutto.

Il recupero dei corpi della foiba di Vines

La celebrazione è organizzata da Isabella Albertini e Pietro Negroni nell’ambito del Coordinamento locale per la Giornata del Ricordo.

La Giornata del Ricordo è istituita con legge della Repubblica nel giorno 10 Febbraio, anniversario della firma nel 1947 a Parigi dei Trattati di pace tra l’Italia e le nazioni considerate vincitrici della Seconda Guerra mondiale, tra cui la Jugoslavia, che consegnarono al dittatore Tito i territori italiani di Fiume, Zara, Istria, Dalmazia e Terre Giulie.

La Santa Messa in San Nicolò è aperta alla cittadinanza tutta: si accede alla Chiesa dall’ingresso di via Sessi e non dalla via San Nicolò causa lavori in corso.

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Una risposta a 1

  1. Ivaldo Casali Rispondi

    08/02/2023 alle 19:32

    In ricordo della Martire NORMA COSSETTO riporto il racconto della sorella.

    La tragedia delle Foibe e in particolare la triste sorte di NORMA COSSETTO, stuprata da un gruppo di partigiani comunisti, seviziata e poi gettata nella Foiba di Surani. Il suo corpo fu trovato nel 1943 dai Vigili del Fuoco di Pola. Giuseppe Comand, è uno di quei pompieri che ad Avvenire ha raccontato che “Norma era seduta, la schiena appoggiata alla parete di roccia, gli occhi aperti verso l’imbocco della Foiba”. Ma Norma non fu vittima solo dei partigiani slavi, come si vede nel film “Rosso Istria”. Le Foibe non furono solo opera dei titini. I partigiani italiani ebbero un ruolo storicamente definito e ormai abbondantemente studiato. In proposito, il commento migliore lo affidiamo alle parole della sorella di Norma, Licia Cossetto, scomparsa nel 2013 nello stesso giorno, il 5 ottobre, in cui 70 anni prima sua sorella veniva gettata viva nella Foiba di Villa Surani: “Con mia sorella Norma, ricordo il nostro papà Giuseppe, infoibato anche lui, con parecchi altri miei familiari. La nostra colpa era quella di essere italiani e di voler restare italiani. Norma avrebbe potuto salvarsi qualora avesse aderito alle richieste dei suoi assassini che le proposero di restare con loro e di diventare Croata: cosa che lei respinse coraggiosamente, alla luce della sua fedeltà alla Patria. Allora, la portarono ad Antignana, la legarono ad un tavolo col filo di ferro uncinato ai polsi ed alle gambe: erano una ventina, e fecero di lei quello che volevano, torturandola ed usandole ripetute violenze. Norma chiedeva acqua e chiamava la mamma, ma nessuno si mosse a pietà. Non sarò tanto diplomatica, diversamente da altri. Ho il dente avvelenato perché lo Stato Italiano si è ricordato di noi troppo tardi. D’altro canto, la colpa è anche nostra, perché quello istriano è soprattutto un popolo laborioso e paziente, che ha scelto l’Esodo in massa tirandosi su le maniche e mettendosi a lavorare: io stessa ho insegnato per 42 anni. Nell’esilio sono stata oggetto di tanti torti, ma anche in Istria ero stata imprigionata e riempita di botte; per mia fortuna trovai un compagno di scuola che mi sottrasse ai nostri carcerieri riportandomi a casa, da dove, quella stessa notte, potei fuggire con una zia, raggiungendo a piedi Trieste con una marcia di 60 chilometri. Ho il dente avvelenato per tanti motivi ma, come ripeto, prima di tutto per il silenzio ufficiale che ha coperto per 60 anni la nostra tragedia. E poi, chiedo a chiunque sia andato a scuola se ha mai trovato in un libro di testo una parola sulla terribile vicenda istriana: ignoranza voluta e programmata. Il 10 febbraio 2006, quando il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi mi ha consegnato la Medaglia d’Oro al Valore concessa alla memoria di Norma per il nobile comportamento davanti agli aguzzini e per il rifiuto di collaborare col nemico, e mi ha chiesto se fossi contenta, gli risposi ringraziando, ma rammentando che aspettavo da troppo tempo, senza che nessuno si fosse mai ricordato dei nostri infoibati. Dobbiamo dire grazie alle forze armate tedeschi, se a seguito della loro temporanea occupazione dell’Istria siamo riusciti a recuperare i resti di alcune vittime, ma la gran parte è ancora laggiù: io non so ancora e non saprò mai dove sia finita la maggior parte dei miei parenti scomparsi assieme a Norma. Le Foibe sono custodi del nostro dramma sconosciuto. Bisogna informare meglio, anche sulla consueta versione secondo cui il martirio istriano avrebbe avuto luogo a causa esclusiva dei partigiani di Tito. In realtà, loro occuparono subito qualche centro maggiore, all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in quelli minori furono i partigiani locali – nostri concittadini italiani! – a scatenarsi: venivano di notte a farci alzare ed a sparare sopra i letti, ed anche gli assassini di mia sorella erano compaesani comunisti, che ricordo benissimo uno per uno. Costoro hanno persino la pensione dell’INPS, compresi i superstiti del gruppo che aveva torturato ed infoibato Norma. Infatti, la legislazione italiana del dopoguerra ha stabilito che era sufficiente aver prestato servizio, sia pure per pochi giorni, in forza all’Italia, per avere diritto alla pensione: cosa tanto più paradossale, visto che a noi, invece, nulla è stato dato. Personalmente, ho ricevuto un’autentica miseria solo come indennizzo per i beni “abbandonati” e, quindi, un’ulteriore beffa. Questa è la nostra storia, tanto tragica che non mi sento di perdonare: del resto, come è stato detto, “soltanto i morti hanno il diritto di perdonare, mentre i vivi hanno il dovere di ricordare”. Questo è l’obbligo morale che lascio in eredità alla mia famiglia ed al nostro popolo.

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