5/7/2022 – Alle soglie dei suoi primi cento anni (li compirà a novembre) il ricercatore e scrittore Giovanni Tadolini ha pubblicato un libro formato album che va alle origini della Reggio industriale, dentro la storia di Santa Croce e del Popol Giost, il quartiere più tradizionale della città, porta e suk di Reggio verso la campagna, dove viveva il lumpenproletariat e per questo sopravvivevano sino certi usi arcaici, come la mitica e ormai perduta parlata alla rovescia (Alla fine del secolo scorso la conoscevano ancora la Priama Gelati e la Catlana, edicolante storica di via Roma).
Dunque, il libro di Tadolini si intitola “C’era una volta l’ Agazzani” ed è appunto dedicato alle origini della Premiata Fabbrica di spazzole e fiammiferi Agazzani Giuseppe, di viale Regina Margherità. Un tuffo agli albori dell’industrializzazione, una messe di ricordi e di materiale iconografico che fa bene ai nonni, ma soprattutto ai nipoti e bisnipoti perchè comprendano e non dimentichino, e costituisce già una fonte preziosa per ricercatori, appassionati, ed etnografi della modernità.
Di seguito la pagina introduttiva di Giovanni Tadolini a “C’era una volta l’Agazzani”.
P.S – Sia chiaro che questo è il nuovo libro di Giovanni Tadolini, ma non l’ultimo: il decano degli scrittori e storici reggiani (sue fra l’altro le ricostruzioni del perimetro delle mura vescovili, e l’avvincente storia della tenuta del Traghettino) ha in gestazione una nuova opera.
DI GIOVANNI TADOLINI
Non si può ricordare Giuseppe Agazzani e la sua fabbrica di spazzole, senza citare il quartiere di Santa Croce in Reggio Emilia dov’era localizzata ed il Popol Giost che l’abitava. Il bambino Giuseppe, dopo le scuole elementari era stato iscritto dal padre fornaio Agazzani o Gazzani agli Artigianelli per imparare un mestiere. Inserito nella falegnameria aveva fabbricato spazzole con tale abilità da riceverne un premio in una fiera all’estero e da indurlo ad iniziarne la produzione per la vendita.
Nel 1870 a soli diciotto anni ha costruito per la sua produzione, diventata di interesse internazionale, il primo stabilimento industriale, proprio nel quartiere di Santa Croce. Vi ho lavorato io stesso per oltre quarant’anni ed ora ripercorrendo ricordi, posso riportarne alcuni di questo giovane industriale.
Negli anni Trenta avevo letto sul muro che separa la strada di circonvallazione dalla ferrovia, nel tratto di una cinquantina di metri, a est di Porta Santa Croce, la scritta in bianco, tracciata con grosso pennello da imbianchino ed in carattere elementare minuscolo, alta almeno mezzo metro: “Il Popolo Giusto vuole la neve. E’ venuta?” e subito a lato “NO” in stampatello leggermente più piccolo.
I miei antichi dipendenti, mi hanno detto che questo quartiere era uno dei più poveri del centro cittadino, al punto che i loro abitanti invocavano la neve nella speranza di poter lavorare qualche giorno per pulire la strada e per sopravvivere, si adattavano ad accettare qualsiasi lavoro.
Il giovane Agazzani, per iniziare la produzione nel nuovo stabilimento, aveva privilegiato l’assunzione di abitanti del Popol Giust che avevano dimostrato abilità su macchine di qualsiasi tipo. Con questa scelta aveva ottenuto in brevissimo tempo maestranze specializzate e produzioni di altissimo livello prima della costruzione del nuovo stabilimento appoggiandosi anche agli antichi artigiani esistenti nel circondario provinciale.
Il senso spiccato d’identità di questa gente risale al ducato estense quando già dicevano di essere il Popol Giust, e per comunicare fra loro senza farsi capire dagli estranei o dalla polizia del Duca, si esprimevano con un loro dialetto, reso ancora più incomprensibile pronunciando le parole al rovescio. Un linguaggio ormai dimenticato da oltre un secolo.
Ricordo che, negli anni Trenta, quando frequentavo la Scuola Media Inferiore Angelo Secchi, un mio compagno di classe, per mostrare una sua particolare abilità, rivolto a me ed al gruppo di colleghi che mi erano intorno, mi ha interpellato col nome “Inilodat” invece di “Tadolini” ed aggiunto altre parole incomprensibili. Soddisfatto del nostro stupore, ha spiegato l’inversione e ci ha lasciato senza rispondere alle nostre domande. Nessuno dei presenti conosceva questo linguaggio e le sue motivazioni. Negli oltre ottanta anni successivi non l’ho più ascoltato in città.