DI GABRIELE PARADISI E GIORDANA TERRACINA
7/12/2021 – «Il colonnello Giovannone si è mosso per anni nel mondo ribollente di Beirut, in mezzo a guerre civili e alle inquietudini delle varie organizzazioni palestinesi. Aldo Moro gli aveva affidato un incarico delicatissimo: mantenere buoni rapporti con tutti i capi palestinesi, in maniera da evitare che gli attentati terroristici coinvolgessero il nostro Paese. E Giovannone aveva lavorato bene, era entrato in rapporti di cordialità con Arafat, aveva condotto le trattative fra il governo italiano e i capi palestinesi nelle occasioni in cui qualche militante dell’Olp era stato catturato in territorio italiano. Giovannone si era adoperato per la restituzione dei prigionieri»[1].
Così veniva descritto il colonnello Stefano Giovannone sui quotidiani, a pochi giorni dal suo arresto, avvenuto il 19 giugno 1984, per rivelazione di segreti di Stato e notizie riservate. Il provvedimento era stato emesso dal sostituto procuratore di Roma Giancarlo Armati, nell’ambito dell’istruttoria sulla scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo, avvenuta a Beirut il 2 settembre 1980.
Giovannone, interrogato dal giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni, nell’ambito del procedimento rg. 204/83A sul traffico d’armi Olp-Brigate rosse, ebbe a dichiarare:
«Alla fine del 1972 […] fui mandato [in Libano] in missione dal ministero degli Esteri […] e dal Sid da cui dipendevo […] Fui attivato dai miei superiori, ritengo su richiesta del ministero degli Esteri, acché prendessi contatto con qualche responsabile dell’Olp perché si evitassero le operazioni terroristiche contro l’Italia o contro cittadini all’estero che erano state minacciate».
Ora proviamo a cambiare versante.
«Si dice che negli anni Settanta-Ottanta ci fosse un’intesa tra le autorità italiane e le organizzazioni palestinesi, perché l’Italia venisse risparmiata da operazioni palestinesi in cambio del libero transito di armi via Italia destinate appunto ai palestinesi.
“Io posso dire che c’era effettivamente un accordo ed era tra l’Italia e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Fu raggiunto tramite il Sismi, di cui il colonnello Stefano Giovannone, a Beirut, era il garante. Non era un accordo scritto, ma un’intesa sulla parola. Lui ci aveva dato la sua parola d’onore, come dite voi, e noi gli abbiamo assicurato che non avremmo compiuto nessuna azione militare in Italia, perché l’Italia non rivestiva alcun interesse militare per il Fronte, e anche perché il popolo italiano era noto come amico dei palestinesi. In cambio Giovannone ci riconobbe, diciamo, delle facilitazioni in base alle quali si concedeva al Fronte la possibilità di trasportare materiale militare attraverso l’Italia. L’accordo fu fatto nei primi anni Settanta tra Giovannone e un esponente di primissimo piano del Fronte, il quale è tuttora presente sulla scena pubblica e non voglio nominarlo. Tutte le volte che c’era un trasporto, Giovannone veniva avvisato in anticipo. Non ci dava mai una risposta subito, ma dopo un paio di giorni. Penso che prima consultasse i vertici del Sismi (prima Sid) a Roma”»[2].
Così si espresse nel 2009, a distanza di trent’anni da quel periodo storico evocato, Abu Anzeh Saleh. Ma chi erano i due personaggi che abbiamo appena citato?
Stefano Giovannone, detto anche il “Maestro”, uomo di Moro e capocentro del Sid poi Sismi a Beirut dal 1972 al 1981, era il garante per l’Italia del “lodo Moro” in Libano[3].
Abu Anzeh Saleh, cittadino giordano di origini palestinesi nato ad Amman il 15 agosto 1949. Rappresentante in Italia del Fronte popolare di George Habbash e, al tempo stesso, contatto del gruppo Carlos a Bologna, col quale condivideva l’accesso ad una casella, la n. 904, in un ufficio postale del capoluogo emiliano, era il garante del “lodo Moro” in Italia per conto dell’Fplp.
Attraverso questi due uomini, l’accordo segreto tra il nostro Paese e le organizzazioni palestinesi, si resse per anni. Da un lato, in nome della “ragion di Stato”, dall’altro per finalità militari e strategiche.
Nelle agende sequestrate a Saleh il giorno del suo arresto, il 14 novembre 1979, il numero di telefono di Giovannone a Roma è riportato più volte: semplicemente indicato come «Stefano» o «Stefano G.» mentre una volta, curiosamente, come «DR. Giovanoni». A parte la doppia mancante, tipico errore commesso da chi non è madrelingua italiano, colpisce il cognome errato – Giovannoni anziché Giovannone – esattamente come accadde ad Aldo Moro nelle due lettere nelle quali lo statista democristiano, prigioniero delle Br, citò e invocò invano il ritorno del colonnello in Italia, affinché questi potesse intercedere sulla sua sorte oramai segnata[4].
Il “lodo Moro” dunque. Quell’accordo segreto, “non scritto”, semplicemente applicato “sulla parola”, che però, per anni – Sette? Otto? Forse più – escluse il nostro Paese dalle azioni terroristiche palestinesi.
Cosa ha significato, o forse cosa significa tutt’oggi, questo indicibile patto? Fu un accordo scellerato che ci poneva in grande difficoltà nei confronti dei nostri alleati occidentali? Sicuramente sì.
Fu un accordo che ci evitava i rischi e le conseguenze del terrorismo palestinese ma nel contempo ci garantiva vantaggi economici in termini di approvvigionamento energetico e commercio di armi? Altrettanto, sicuramente sì.
Quali riscontri documentali o testimonianze possiamo portare oggi come prova dell’esistenza di questo “lodo”? Proviamo a richiamare ciò di cui al momento è a nostra disposizione, sottolineando però – argomento che tratteremo oltre – che molti documenti cruciali per comprendere appieno la questione, sono ad oggi inaccessibili, di fatto soggetti ad un sostanziale “segreto di Stato” – in realtà un segreto funzionale, un “segreto della Repubblica” – poiché potrebbero ancora, ad oltre 40 anni di distanza, “arrecare in caso di divulgazione un grave pregiudizio agli interessi essenziali della Repubblica”[5].
Il primo documento che possiamo richiamare è una informativa del Sid datata 17 dicembre 1972 (data che casualmente cade esattamente un anno prima della strage di Fiumicino). Essa rappresenta un primo riscontro ufficiale dell’esistenza di trattative atte a trovare un accordo tra il nostro governo e le organizzazioni della Resistenza palestinese, le quali in quegli anni stavano conducendo una virulenta campagna di attentati terroristici indiscriminati contro interessi e cittadini di Paesi europei.
L’Appunto, che riportiamo in Appendice, oltre a testimoniare questa attività di “diplomazia parallela”, metteva in evidenza come anche altri governi “per le rispettive esigenze”, sviluppassero analoghe “segrete iniziative”.
Abbiamo già analizzato alcuni episodi di arresti di fedayn palestinesi, rei di atti terroristici (possesso di armi da guerra o addirittura responsabili di tentate stragi) e le loro successive, per certi versi inspiegabili liberazioni, episodi avvenuti tra il 1972 e il 1974. Fatti che possono facilmente leggersi ed ascriversi all’esistenza di un accordo in qualche modo vigente.
Quali altri documenti e autorevoli dichiarazioni testimoniali possiamo riportare ad avvallo di questo scenario? Notevole materiale in tal senso è reperibile negli atti dei procedimenti penali che videro impegnato il giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni, il quale si occupò sia dell’inchiesta sul traffico d’armi Olp-Br, sia dell’inchiesta su Argo 16, il Douglas C-47 Dakota che aveva riportato in Libia, il 30 ottobre 1973, due palestinesi arrestati a Ostia per possesso di missili il 5 settembre 1973 e precipitato a Marghera il successivo 23 novembre.
GLI INTERROGATORI DEL GIUDICE MASTELLONI
Riportiamo di seguito alcuni passaggi degli interrogatori, a cui Mastelloni sottopose ufficiali dei servizi e funzionari, nei quali emergono “tracce” del “lodo”.
Fausto Fortunato, nato a Sala Consilina il 24 maggio 1923, generale di Corpo d’Armata in Ausiliaria, già comandante della Regione Militare Centrale e vicepresidente del Consiglio Superiore dell’Esercito italiano. Capo dell’Ufficio “R” del Sid fino all’estate del 1974.
«Il Giovannone, a livello informativo, per la R dipendeva da me; tuttavia, per le questioni inerenti alla sicurezza interna italiana, riferiva direttamente al D. generale Maletti. Tanto mi risulta per scienza diretta avendomelo detto lo stesso Giovannone; d’altra parte all’epoca ho avuto modo di vedere plichi chiusi inviati dal Giovannone da Beirut al capo del Reparto D. Dopo la strage di Fiumicino [17 dicembre 1973]vi furono più riunioni cui parteciparono il capo del Servizio Miceli, il vice capo del Servizio Terzani, il generale Maletti, il Giovannone nonché alti funzionari del Ministero degli Affari esteri indicati dal Segretario Generale del M.A.E. Gaja. Il Giovannone in quegli anni, come lui stesso ebbe a riferirmi, intratteneva contatti diretti con il capo di gabinetto di Moro, Luigi Cottafavi e ciò per disposizione del capo del Servizio. […] Per quanto mi riguarda all’inizio questo contatto diretto si riferiva unicamente alla funzione del Giovannone di addetto alla sicurezza. Successivamente il rapporto diretto alimentò contenuti informativi. Io ero estromesso, benché capo della R, dal contenuto del dialogo diretto tra Giovannone e Cottafavi, in quanto, essendovi a monte una autorizzazione del capo del Servizio, era quest’ultimo che, verosimilmente, veniva relazionata dal Giovannone. In seguito ignoro a livello MAE a chi si rapportasse il Giovannone, ma comunque mi risulta per certo che continuò il Giovannone ad avere rapporti con l’on. Moro, anche se quest’ultimo era cessato dalla carica di Ministro e Presidente del Consiglio».
«A.D.R.: – Le riunioni di cui ho detto dianzi si incentravano sulla politica da seguire nei confronti della dirigenza palestinese; ritengo che, in ordine alle riunioni e alle decisioni conseguenti, all’esito delle stesse, vi fosse a monte l’avvallo della Presidenza del Consiglio. I contenuti essenziali delle riunioni vertevano sui comportamenti da tenere nei confronti di detta Dirigenza al fine precipuo di evitare che atti terroristici fossero consumati in territorio italiano. In occasione di quelle riunioni il Giovannone perveniva appositamente da Beirut: ciò l’avemmo a constatare direttamente noi della “R”.
A.D.R.: – l’operazione di aggancio dei Palestinesi, comunque, a livello dirigenza ed in sede locale, è avvenuto dopo il 74, cominciando nello stesso 1974. […]
A.D.R.: – già durante il mio periodo di gestione, il vice capo del servizio Terzani ebbe occasione di recarsi più volte a Beirut; Giovannone era il suo uomo operativo; ciò avvenne anche successivamente alla mia gestione. Fu lo stesso Terzani che mi riferì ciò anni dopo, nel corso di un incontro casuale avvenuto durante una cerimonia militare. Appresi e quindi compresi che il servizio, con la dirigenza palestinese, era pervenuto a tessere ottimi rapporti. […] All’epoca ricordo che Miceli addusse che l’R era la “faccia pulita” del servizio, alludendo al fatto che operazioni non ortodosse venivano gestite dal D: circa il fatto che io ho addotto che Giovannone era l’operativo di Terzani per quella particolare attività spiego che si trattava di un impiego “particolare” nell’ambito del servizio»[6].
Federico Marzollo, nato a Miane (TV) il 22 febbraio 1922. Già generale dei Carabinieri, in ambito Sid prestò con continuità servizio in qualità di comandante presso la struttura del Raggruppamento Centri C.S. (controspionaggio) dal luglio 1971 fino alla fine di novembre 1974.
«Dopo qualche mese dall’arresto dei quattro [cinque] elementi arabi arrestati ad Ostia [il 5 settembre 1973], io fui convocato dal generale Maletti e ricevetti mandato di contattare la Autorità Giudiziaria [il consigliere istruttore dott. Achille Gallucci, il procuratore capo della Repubblica dott. Elio Siotto, il giudice istruttore Francesco Amato] al fine di trovare una soluzione tale che consentisse che gli arrestati si allontanassero dalle Carceri italiane e tornassero in Patria. […] Ricordo che l’Istruttore rappresentò che due [tre] degli arabi arrestati potevano essere liberati qualora avessero versato una cauzione piuttosto considerevole. […] Sempre io fui incaricato da Maletti di contattare i medesimi Magistrati già citati all’esito dell’arresto di persone arabe arrestate per avere posto un giradisco esplosivo su di un aereo. Gli stessi furono liberati senza versamento di cauzione. […][Relativamente agli arabi di Ostia] Fu il Capo Servizio che interessò per la cauzione il capitano Lo Stumbo, e ciò dopo che io lo avevo relazionato circa l’esito dei colloqui con il Giudice Istruttore Amato. Sul punto ricordo che il Capo Servizio consegnò al Lo Stumbo una busta chiusa da consegnare al difensore degli arabi arrestati: tanto mi disse lo stesso Lo Stumbo all’esito della consegna. È un fatto che subito dopo gli arabi fruirono della scarcerazione ed erano due [tre, come si correggerà lo stesso Marzollo con lettera del 30 settembre 1986]. Ricordo che nel Carcere di Viterbo fruì di un colloquio con gli arabi arrestati il colonnello Giovannone che si trovava a Roma […]. Fui io ad accompagnare il Giovannone a Viterbo ed in questo contesto egli mi spiegò che, con i colloqui esperiti, gli arabi dopo la scarcerazione avrebbero riferito ad Arafat che egli si era prodigato per la liberazione. Solo adesso ricordo con certezza che i miei colloqui con Amato avvennero prima della strage di Fiumicino [17 dicembre 1973] e quindi io non mi occupai della scarcerazione successiva avvenuta all’esito della fase dibattimentale nel febbraio 1974. All’uopo fu il Vice-capo servizio generale Terzani che si occupò del rientro concreto dei due [tre] arabi rimasti in carcere dopo l’istruttoria e condannati, per il trasporto dei quali fu impiegato non so quale mezzo e se fu impiegato un aereo, così come era avvenuto per i primi due arabi. In questa circostanza di tempo non mi risulta comunque che il SID avesse a disposizione aerei. […] I magistrati li ho sempre avvicinati su deleghe di Miceli e Maletti per questi fatti specifici. […] Direttive per le liberazioni degli arabi arrestati negli episodi che ho menzionato furono date al generale Miceli dal Presidente del Consiglio Rumor e da Moro Ministro degli Esteri. Le direttive generali per quanto riguardava il nostro rapporto con l’OLP partivano dalla persona dell’On.le Moro che era in costante contatto con Giovannone, che tanto mi riferì. Quando veniva a Roma mi disse che si rapportava a Moro dietro autorizzazione del Capo del Servizio»[7].
«[…] e – dei cinque arabi arrestati il 5 – IX – 1973, perché responsabili dell’introduzione e detenzione dei missili di Ostia, due furono, in sede istruttoria, prosciolti per minori indizi nella partecipazione al caso il 30 – X – 1973. Furono questi due, per i quali non risulta sia stata pagata cauzione alcuna, che a bordo del DC 3 Argo 16 a disposizione del SID furono condotti a Tripoli. Gli altri tre, rinviati a giudizio per introduzione e trasporto armi da guerra, furono processati il 14 – XII – 1973; il 17 successivo, dibattimento durante, si verificò la strage a Fiumicino e pertanto il processo, per motivi precauzionali, fu rinviato a data da destinarsi. Alla fine del febbraio 1974, i tre, previo pagamento di una cauzione di venti milioni pro capite furono posti in libertà provvisoria. Durante questo periodo furono da me tenuti contatti con i magistrati, già citati nella deposizione a lei rilasciata, e con il giudice Zamparella, giudice istruttore e firmatario del mandato di cattura. I tre arabi, a seguito di ordine impartitomi dal gen. Terzani, furono consegnati, dopo brevissima permanenza in un appartamento del Servizio, da personale del raggruppamento Centri C.S. al col. Giovannone, che provvide a farli rientrare nei loro paesi»[8].
Pasquale Notarnicola, generale. Da settembre 1978 a settembre 1983 direttore della Prima Divisione fino a luglio 1981 e poi da luglio a settembre 1981 a disposizione dello Stato Maggiore Esercito presso il Sismi con incarichi speciali, in seguito nominato con decreto interministeriale capo reparto operazioni Sismi.
«[…] Reso edotto che agli atti risulta che dopo la strage di Fiumicino si articolarono accordi anche difatto tra servizi palestinesi e italiani miranti anche al libero transito di armamento palestinese dall’Italia verso paesi esteri e che, all’uopo, destinatari delle relative direttive furono i direttori della prima divisione […]»[9].
Dal mandato di comparizione per l’imputato Luigi Cottafavi emesso il 22 settembre 1986
«[…] Cottafavi Luigi imputato del reato p. e p. dell’art. 372, 81 cpv c.p. [falsa testimonianza] per aver – deponendo avanti al G.I. di Venezia in data 11.2.1985 e 8.10.1985 nel corso della istruttoria formale del procedimento penale 204/83 A G.I. contro Arafat, Abu Ayad ed altri, imputati per i reati di introduzione clandestina di armi da guerra nel territorio dello Stato – con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, taciuto:
di aver intrattenuto contatti di contenuto informativo e di servizio con Stefano Giovannone – Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri prima solo formalmente addetto alla sicurezza dell’On.le Moro, indi, dal 1972, capo Centro del SID, Servizio Informativo Difesa, a Beirut; il Giovannone a tanto delegato dal Capo del Servizio suo esclusivo referente; il Cottafavi, dal canto suo, su deleghe formulategli dall’On.le Moro – durante la gestione politica da parte del medesimo del Ministero degli Affari Esteri (6 agosto 69; 26 giugno 72) nonché della Presidenza del Consiglio (23 novembre 74; 30 aprile 76) – nelle sue qualità, progressivamente, di Capo di Gabinetto e poi di ambasciatore a Teheran, area a livello sicurezza, gestita fino al 1982 dal Giovannone; nonché per aver taciuto quanto sapeva:
in ordine ai contenuti delle riunioni intrattenute da funzionari del Ministero Affari Esteri dopo la strage di Fiumicino e da alti esponenti del SID quali il capo del Servizio Miceli, il Vice Capo Terzani, il Capo dell’Ufficio “D” Maletti, il Giovannone, (operativo nell’ambito dell’Ufficio R) – riunioni autorizzate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; […]».
«[…] per aver altresì taciuto quanto a sua conoscenza:
in ordine agli accordi conseguenti intercorsi tra i servizi di sicurezza italiani – gestiti, per delega dal Governo, da Terzani e Giovannone – e la dirigenza dell’OLP, accordi finalizzati anche ad evitare la consumazione di atti terroristici di matrice palestinese nel territorio italiano e a garantire la integrità di interessi italiani all’estero; accordi anche di fatto coevamente contemplanti pure concreti apporti logistici del Governo Italiano all’OLP, nonché il libero transito di armamento gestito da palestinesi in territorio italiano verso paesi stranieri – contesto nel quale si articolò anche il transito dei missili per il cui trasporto fu arrestato l’autonomo Pifano nonché il giordano palestinese Abu Saleh Anzeh, straniero poi residente anche in Italia, contattato dal Giovannone sin dal 1974 – accordi di converso contemplanti progressivi apporti, in sede comunitaria e in sede ONU, da parte delle competenti autorità italiane circa un progressivo riconoscimento di fatto dell’OLP; per aver taciuto quanto a sua conoscenza in ordine alla qualità e quantità dei contatti tra il Giovannone e la persona dell’On.le Moro così come articolatisi dal 1970 in poi; per aver taciuto quanto a sua conoscenza in ordine alla funzione di tramite – svolta a Roma e in Beirut dal Col. Giovannone e dal Generale Terzani – dal Governo Italiano al Servizio delegata prima degli accordi di Camp David – tra servizi di sicurezza americani e servizi di sicurezza dell’OLP, il Cottafavi fuori luogo presso le nazioni Unite in qualità di Segretario Generale aggiunto; Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite in Ginevra dal 16 gennaio 1978»[10].
«[…] ADR Ritengo che ci sono stati degli incontri, a livello interministeriale, tra Giustizia, Interno ed Esteri, Moro Ministro degli Esteri, secondo cui i terroristi palestinesi arrestati dovevano sortire dalle carceri italiane perché, altrimenti, avrebbero ricattato, avrebbero chiesto scambi previo commissione di altri atti di terrorismo.
[…] Nell’occasione dello svolgimento delle mie funzioni, allorché fui richiamato da Teheran [settembre 1973], ricordo che Moro mi espresse la sua preoccupazione per possibili reazioni negative da parte del Governo e dell’opinione pubblica israeliana e ciò in relazione alla non punizione degli arabi arrestati ad Ostia. […]
ADR; nulla so circa il libero transito di armamento palestinese, così come configurato nel capo d’imputazione: è verosimile che tanto possa essere avvenuto, ma non al mio livello, bensì a livello Ministri e Giuristi, in casi eccezionali ritengo che siano state indette riunioni a questo livello»[11].
Giuseppe Vedovato, nato a Greci (AV) il 13 marzo 1912. Deputato e senatore democristiano dal 1953 al 1976 per 5 legislature, presidente dell’Assemblea Parlamentare Europea dal 1972 al 1975. Fondatore e direttore della Rivista di Studi Politici Internazionali.
«Alla fine del 73, Presidente dell’Assemblea Parlamentare Europea, resi dichiarazione molto dura in ordine alla strage di Fiumicino e con lettera al giornale “Le Monde” precisai il mio pensiero. Dal Ministro Dainelli […] seppi che dei palestinesi arrestati ad Ostia furono mandati a Tripoli con un aereo militare. Nel febbraio 1974, come presidente dell’Assemblea parlamentare, suggerii una riunione dei Ministri degli Affari esteri dei paesi del Consiglio d’Europa per discutere, a porte chiuse, della strage di Fiumicino e del problema del terrorismo. Indi scrissi sulla Rivista precitata [Rivista di Studi Politici Internazionali] una serie di articoli sulla politica estera italiana che poi, raccolti in un volume, furono pubblicati dalla “Le Monnier”, con titolo “Politica estera italiana e scelta europea”. Scrissi sul volume predetto, poi tradotto in tedesco con un’aggiunta relativa all’ultimo periodo della politica estera italiana, che facevo, come studioso, alcune riserve sul coinvolgimento dell’OLP nei tentativi di mediazione tra Israele e il mondo arabo che sembravano essere caratteristica, in quel momento, dal 1970, della politica estera di Moro. Nel capitolo aggiuntivo del volume tedesco, pubblicato dell’Europa Union Verlag, con prefazione dell’ex cancelliere tedesco Walter Scheel [in realtà fu vice cancelliere dal 1969 al 1974 e poi presidente della Repubblica Federale Tedesca dal 1974 al 1979], scrivevo, con riferimento al problema specifico, che facevo delle riserve sulla suddetta impostazione e aggiungevo che vi era stato una specie di accordo con i palestinesi da parte italiana con il quale i palestinesi avrebbero potuto soggiornare in Italia purché non avessero svolto attività terroristica. […] Il Dainelli mi riferì con riferimento alla restituzione dei palestinesi arrestati a Tripoli, che sarebbe stato concluso un accordo in virtù del quale i palestinesi avrebbero potuto soggiornare in Italia a condizione che non avessero commesso atti di terrorismo. Gaja, sul “Tempo” addusse dell’inesattezza di alcune mie affermazioni relativamente all’atteggiamento di Moro nei confronti del mondo arabo e della Libia.
R. Dainelli era abbastanza legato agli ambienti del SID per il lavoro che svolgeva. […]»[12].
LE RISPOSTE DI VITO MICELI
Vito Miceli, nato a Trapani il 6 gennaio 1916, è stato capo del Sios (Servizio informazioni operative e situazione) dell’Esercito Italiano dal 1969 al 1970 e direttore del Sid (Servizio Informazioni Difesa) dal 18 ottobre 1970 al 30 luglio 1974.
«La libertà (con espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno alla comunità. E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado di immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c’era l’esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimonianze ineccepibili che permetterebbero di dire una parola chiarificatrice». [lettera di Aldo Moro alla Democrazia cristiana][13]
È questo il brano di una delle lettere spedite da Moro dalla “prigione” delle Brigate rosse. È vera la circostanza ricordata dal presidente della Dc? Lo chiediamo al generale Vito Miceli, capo dei nostri servizi segreti (Sid) al tempo in cui i fatti sarebbero avvenuti, eletto successivamente alla Camera dei deputati nelle liste del Msi-Dn.
— On. Miceli, a suo giudizio Moro ha accennato a fatti veramente accaduti?
«Sì, Moro ha detto la verità. Una dimostrazione, questa, a mio parere, che il presidente della Dc era nel pieno delle sue facoltà, anche se la prova psicologica e umana cui è stato sottoposto fu durissima, e fa ricordare i crudeli metodi staliniani». […]
— On. Miceli, lei è stato al centro di polemiche, ma Moro l’ha sempre difesa. È vero?
«Moro è stato un difensore dei servizi segreti perché è l’uomo politico che più di altri ha avuto il senso dello Stato»[14].
IL GENERALE MORI
Mario Mori, nato a Postumia Grotte il 16 maggio 1939 è un generale e prefetto italiano. È stato comandante del Ros (Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei carabinieri) e direttore del Sisde dal 1º ottobre 2001 al 16 dicembre 2006.
«[Del Lodo Moro] ne ho sentito parlare […] Dell’esistenza ne ho avuto la conferma da uno dei protagonisti [dal colonnello Armando Sportelli, già capo della Seconda Divisione del Sismi].
C’era questo accordo tra gentiluomini, sulla parola, per evitare attentati in Italia da parte dell’Fplp di George Habbash. Si chiudeva insomma un occhio sulle attività di questi elementi in Italia […] Non so se valeva anche per gli obiettivi ebraici, anzi non valeva»[15].
ABU DAUD
Mohammad Daoud Oudeh detto Abu Daud (1937-2010), tra i fondatori di Settembre nero, sarà uno degli organizzatori del massacro alle Olimpiadi di Monaco nel 1972.
«In Italia, nel ’74, concludemmo un accordo con il governo. Se l’Italia avesse impedito agli israeliani di colpirci, noi avremmo terminato ogni azione. Quell’anno Fatah liquidò anche Settembre Nero. Il nostro obiettivo era raggiunto. La causa palestinese era sull’agenda delle cancellerie occidentali»[16].
GIUSEPPE FIORONI
Giuseppe Fioroni (1958), presidente della Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (Commissione Moro-2) e Bassam Abu Sharif (1946), membro influente dell’Fplp poi dell’Olp.
«Abu Sharif ha ammesso che dopo l’attentato di Fiumicino del 1973 le intelligence italiana e palestinese avviarono una serie di contatti sfociati in un documento unilaterale firmato da George Habash a nome del Fplp e consegnato al colonnello Giovannone affinché lo portasse a Roma. In quella lettera, che Abu Sharif inquadra nella politica estera di Moro centrata allora sui Paesi arabi e sul Mediterraneo, c’è l’impegno a impedire attentati in Italia e a considerarci solo un Paese di transito. Se Abu Sharif ne troverà copia negli archivi del Fplp lo avremo presto in mano»[17].
BASSAM ABU SHARIF
Bassam Abu Sharif, è stato sentito il 26 giungo 2017 dalla Commissione Moro-2. La sua audizione è stata secretata in 3 passaggi.
Il 22 febbraio 2018 uno dei 3 passaggi è stato desecretato. In esso Sharif sostiene:
«È stato George Habbash in persona a firmare l’accordo di fronte a me. La firma era in qualità di segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. L’intero documento era accompagnato da una missiva firmata dal dottor George Habbash indirizzata al Governo italiano. L’ha ricevuta Giovannone per consegnarla al Governo italiano. La missiva era della massima chiarezza e affermava che egli assumeva l’impegno, in qualità di segretario generale del FPLP, a non compiere nessuna azione che potesse minacciare la sicurezza degli italiani, dell’Italia o del suolo italiano da parte del Fronte popolare. Secondo punto: si parlava di collaborazione con l’Italia in tutto quello che riguarda l’Italia e la sua sicurezza e si dichiarava che l’Italia avrebbe facilitato la lotta nazionale palestinese e la lotta del Fronte popolare nell’ambito di questo concetto, cioè il non intaccare la sicurezza e dell’Italia e degli italiani».[18]
Dunque, le testimonianze riportate sembrano dimostrare l’esistenza di un accordo tra il nostro governo e le organizzazioni palestinesi. Accordo che pur di garantire “la sicurezza dell’Italia e degli italiani” (con esclusione, probabilmente, di quelli di fede o di origine ebraica), avrebbe imposto al nostro Paese di operare per “facilitare” la lotta palestinese e del Fronte in particolare. Un compito molto delicato e pericoloso, che metteva a rischio le relazioni con i nostri alleati, quando, con la “protezione” dei nostri servizi, i palestinesi non solo transitavano indisturbati con armi da guerra sul territorio italiano per andare a compiere attentati in altri Paesi, ma anche quando quelle stesse armi venivano depositate in luoghi sicuri sul nostro territorio, custodite da terroristi nostrani e distribuite agli altri movimenti rivoluzionari europei. Armi che, per una diabolica legge del contrappasso, furono utilizzate per colpire al cuore lo Stato e quello statista che quell’accordo aveva voluto.
I patti col diavolo, reggendosi su equilibri precari ed eticamente discutibili, riservano sempre spiacevoli e indesiderate conseguenze. Cosa accade quando per ragioni le più disparate e magari casuali essi vengono disattesi?
GLI APPUNTI DA BEIRUT RITROVATI A BRESCIA
Per concludere questo capitolo riportiamo un brano di una informativa proveniente da Beirut datata 12 maggio 1980 (integralmente riprodotta in appendice). Questo documento, insieme ad un precedente appunto datato 24 aprile 1980 (presente anch’esso in appendice), è stato ritrovato tra gli atti della strage di Brescia – piazza della Loggia dallo storico Giacomo Pacini. Il documento, se da un lato conferma l’esistenza del “lodo”, indicandone la genesi sette anni prima (quindi nel periodo 1972-1973), evidenzia la pericolosità dello stesso nel momento che per qualche ragione un accadimento ne avesse messo in discussione le clausole fondamentali.
Nella primavera del 1980, il responsabile del Fplp in Italia, Abu Anzeh Saleh, che abbiamo visto essere l’alter ego di Giovannone, si trovava agli arresti con una condanna di primo grado a sette anni di reclusione, per via dei missili sequestrati a Ortona nel novembre 1979 a tre autonomi romani. Il Fronte chiedeva minacciosamente alle autorità italiane la liberazione di Saleh e la restituzione o il risarcimento dei missili.
Queste le terribili parole che precedettero di poche settimane due gravi stragi avvenute nel nostro Paese: Ustica, 27 giugno 1980 (81 morti); Bologna, 2 agosto 1980 (85 vittime identificate):
«è confermata la data del 16 maggio [1980] quale termine ultimo per la risposta da parte delle Autorità italiane alle richieste del Fronte. In caso di risposta negativa, la maggioranza della dirigenza e della base del F.P.L.P. [Fronte popolare per la liberazione della Palestina] intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti».
(5. CONTINUA)
[1] M. Ne., Giovannone incontrando in Libano Arafat gli avrebbe svelato segreti di Stato, Corriere della Sera, 21 giugno 1984.
[2] Intervista alla storia: Abu Anzeh Saleh e i lanciamissili di Ortona, Arab monitor, marzo 2009.
[3] Su Giovannone si veda Francesco Grignetti, La spia di Moro, E-letta edizioni digitali 2012
[4] Le due lettere sono quelle inviate al presidente del gruppo parlamentare della Dc Flaminio Piccoli e al presidente del Comitato parlamentare per il controllo sui servizi di informazione e di sicurezza e sul segreto di Stato Erminio Pennacchini (entrambe recapitate il 29 aprile 1978, ma scritte a partire dal pomeriggio del 23 aprile); si veda Aldo Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di Miguel Gotor, Einaudi 2008 (a Piccoli, pp. 103-107, p. 104 e nota 8 a p. 106; a Pennacchini, pp. 107-110, p. 108 e nota 6 a p. 110) e Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani. Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia, a cura di Michele Di Sivo, 2013, consultabile online, con la riproduzione a colori degli originali manoscritti di Moro, n. 14 (a Piccoli) e n. 13 (a Pennacchini).
[5] Lettera della Presidenza del Consiglio dei Ministri datata 7 agosto 2020 e indirizzata a Giuliana Cavazza De Favero, presidente dell’Associazione Verità su Ustica, la quale aveva richiesto l’accesso alla documentazione del Sismi, prodotta dal capocentro a Beirut – colonnello Stefano Giovannone – nel periodo 1979-1980.
[6] G.I. Carlo Mastelloni, deposizione del generale Fausto Fortunato in qualità di testimonio tenutasi il 13 settembre 1986, nell’ambito del procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5378.
[7] G.I. Carlo Mastelloni, deposizione del generale Federico Marzollo in qualità di testimonio tenutasi il 18 settembre 1986, nell’ambito del procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5388-5389.
[8] G.I. Carlo Mastelloni, missiva del 30 settembre 1986 del generale Federico Marzollo quale integrazione e precisazione alla precedente deposizione del medesimo, Procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5390-5391.
[9] G.I. Carlo Mastelloni, interrogatorio del 24 settembre 1986 di Pasquale Notarnicola in qualità di imputato, Procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5441-5443.
[10] G.I. Carlo Mastelloni, Procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5419-5420.
[11] Dall’interrogatorio del 16 ottobre 1986 di Luigi Cottafavi in qualità di imputato davanti al giudice istruttore Carlo Mastelloni, Procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5603-5606.
[12] Dalla deposizione di Giuseppe Vedovato in qualità di testimonio al giudice istruttore Carlo Mastelloni tenutasi il 23 ottobre 1986, nell’ambito del procedimento n. 204/83 contro Abu Ayad ed altri, vol. IX, affogliazione 5635-5637.
[13] Di questa lettera si conoscono tre versioni diverse, si veda Aldo Moro, Lettere dalla prigionia, cit., pp. 140-146 (per la citazione pp. 141-142 e nota 10 a p. 145); pp. 147-150; pp. 151-155; per la riproduzione a colori della prima lettera, scritta il 27 aprile e recapitata il giorno seguente, si veda Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani, cit., online, n. 5; si veda anche Massimo Mastrogregori, La lettera blu. Le Brigate rosse, il sequestro Moro e la costruzione dell’ostaggio, Ediesse 2012.
[14] n.p., “Con i palestinesi abbiamo trattato” – Intervista con l’ex capo del Sid sulla lotta alle Brigate rosse, Famiglia Cristiana, 21 maggio 1978, p. 67.
[15] Dalla deposizione di Mario Mori in qualità di testimone al processo per la strage di Bologna (imputato Gilberto Cavallini), 3 ottobre 2018.
[16] Intervista ad Abu Daud raccolta da Alix van Buren e pubblicata sul quotidiano la Repubblica il 25 gennaio 2006 (nel testo dell’intervista è utilizzata la grafia Abou Daoud).
[17] Francesca Paci, Fioroni: “Ecco perché le Br diedero i verbali di Moro ai palestinesi”, La Stampa, 28 giugno 2017.
[18] Il documento firmato da George Habbash, citato da Bassam Abu Sharif non risulta sia stato poi inviato alla Commissione Moro-2.
1 – APPUNTO SID DEL 17 DICEMBRE 1972 SU COLLOQUI RISERVATI E NON UFFICIALI – CLASSIFICA SEGRETO
LINK AL DOCUMENTO:
APPENDICE-Puntata-5-Allegato-1-Appunto-17.12.1972TESTO
1 – In relazione all’attività terroristica sul piano internazionale, sono in corso
colloqui riservati e non ufficiali con i vertici di varie note organizzazioni, in
aderenza ai nostri interessi.
Al riguardo risulta che analoga segreta iniziativa è sviluppata da taluni Paesi
europei; per le rispettive esigenze.
2 – Nel quadro dei citati colloqui viene considerato, in particolare, il problema
concernente i due guerriglieri arabi attualmente detenuti in carcere italiano
(accusa di tentativo di strage – episodio aereo israeliano).
Interlocutori qualificati, hanno formulato le seguenti proposte:
– “assicurare ai due detenuti il massimo benessere, esaminando anche la
possibilità di porli in condizione di disporre di somme di denaro per l’acquisto
diretto di generi di conforto”;
– “esaminare la possibilità di conseguire la massima celerità nello
svolgimento degli atti di competenza della Magistratura”.
3 – Si tratta di contatti caratterizzati da difficoltà (anche in relazione ai risultati)
determinate dall’esistenza di numerosi gruppi di estremisti, che talvolta,
indipendentemente dalle direttive dei vertici, pianificano ed effettuano azioni
terroristiche in aderenza a proprie particolari finalità e ad interessi connessi con
obiettivi indicati da organismi di altri Paesi arabi o di centrali internazionali.
SEGRETO
2 – APPUNTO SISMI DEL 24 APRILE 1980 “MINACCE CONTRO GLI INTERESSI ITALIANI” – CLASSIFICA RISERVATISSIMO
LINK AL DOCUMENTO:
APPENDICE-Puntata-5-Allegato-2-Appunti-Sismi-24.04.1980-e-12.05.1980PER LEGGERE LE PUNTATE PRECEDENTI (QUI SOTTO I LINK):
DI GABRIELE PARADISI E GIORDANA TERRACINA
DI GABRIELE PARADISI E GIORDANA TERRACINA
«Superata senza scosse la prima domenica austera». Questo il titolo a nove colonne della prima pagina del Corriere della Sera di lunedì 3 dicembre 1973. L’occhiello addirittura parlava di rivoluzione seppure tra virgolette: «Una “rivoluzione” che sta mutando i nostri costumi». Il sommario riportava gli aspetti positivi di quella prima “domenica a piedi”: «“La popolazione – ha detto Rumor – ha sopportato un indubbio sacrificio con esemplare compostezza” – Risparmiati da trenta a cinquanta milioni di litri di benzina – L’anno scorso in incidenti stradali vi erano stati trentacinque morti e 730 feriti: quest’anno siamo a quota zero […] Pedoni e ciclisti padroni delle strade».
L’Italia, in quel difficile inverno del 1973, si trovava a gestire una situazione alquanto complicata, poiché se da un lato la diplomazia ufficiale lavorava strenuamente per ottenere dai Paesi arabi lo status di Paese amico, dall’altro doveva cercare di sbrogliare l’imbarazzante e complessa situazione che si era venuta a creare con l’arresto e la successiva carcerazione dei fedayn palestinesi trovati in possesso di un paio missili in settembre a Ostia…
DI GABRIELE PARADISI E GIORDANA TERRACINA