DI GABRIELE PARADISI
26/6/2021 – Domenica 27 giugno 2021 ricorre il 41esimo anniversario della tragedia di Ustica, quando un DC9 dell’Itavia precipitò nel Tirreno meridionale provocando la morte di 81 persone tra equipaggio e passeggeri. Poco più di un mese dopo, il 2 agosto, sarà commemorato un altro episodio drammatico, avvenuto anch’esso in quella tragica estate del 1980: la strage alla stazione Centrale di Bologna (85 vittime identificate, oltre 200 feriti).
Il capoluogo felsineo si appresta, come ogni fine giugno – inizio agosto da 40 anni in qua, a ricordare quegli eventi con una serie di iniziative pubbliche, spettacoli culturali e momenti istituzionali.
Nonostante siano trascorsi quattro decenni da quelle due stragi, non si sono mai spente le polemiche politiche e storiche e tantomeno le attività giudiziarie. Nel gennaio 2020 infatti è stato condannato in primo grado per concorso nella strage di Bologna l’ex Nar Gilberto Cavallini, mentre attualmente è in corso il processo mandanti, voluto dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bologna, che vede sul banco degli imputati a vario titolo Paolo Bellini, Domenico Catracchia, Piergiorgio Segatel, anche se, il vero obiettivo dell’accusa è provare la responsabilità nell’organizzazione e nel finanziamento della strage di quattro persone ormai defunte da anni e quindi non più processabili. Nello specifico Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi. In altre parole, questo ennesimo sforzo della magistratura bolognese tende a mettere una parola definitiva, dopo oltre 40 anni, su un vuoto imbarazzante che le sentenze passate in giudicato, per questa ragione da alcuni definite “appese”, non sono mai riuscite a colmare: quale fu il movente della più grave strage del dopoguerra in Europa? Chi furono i mandanti? Ad oggi non ci sono ancora risposte a queste domande anche se, normalmente, ogni sentenza definitiva dovrebbe contenerle.
Premesso ciò, che ci pareva doveroso, il 10 giugno scorso, in Commissione Affari costituzionali alla Camera, primo firmatario il deputato Federico Mollicone (FdI), presidente dell’intergruppo parlamentare “La verità oltre il segreto”, è stata presentata una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle connessioni del terrorismo interno e internazionale con le stragi avvenute in Italia dal 1953 al 1989 e sulle attività svolte dai servizi segreti nazionali e stranieri.
Da qualche tempo il deputato di Fratelli d’Italia si sta battendo per far luce proprio sulle due stragi del 1980. In particolare egli preme, ad esempio, per arrivare alla desecretazione delle informative che il capocentro del Sismi a Beirut colonnello Stefano Giovannone inviò all’epoca a Roma. In quelle carte, sulle quali dopo 30 anni di segreto di Stato – dal 1984 al 2014 – insistono ancora le classifiche di segretezza, altri parlamentari, che durante i lavori della Commissione Moro 2 sono riusciti a consultarne una parte, ritengono vi sia la verità su quanto accadde quell’estate di 41 anni fa.
Tra questi Carlo Giovanardi (Ppl): «È davvero incomprensibile e scandaloso che […] l’opinione pubblica non sia messa a conoscenza di quanto chiaramente emerge dai documenti secretati in ordine alla tragedia di Ustica e più in generale degli attentati che insanguinarono l’Italia nel 1980, ivi compresa la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980» (La
Stampa, 5 maggio 2016); o anche Gero Grassi (Pd): «Ho avuto modo di leggere la Documentazione, ma non posso parlarne. Mi arresterebbero se lo facessi ed alcuni sarebbero felici. Gli atti non vanno nella direzione dei processi […] le carte ancora secretate cambiano radicalmente lo scenario relativo alla strage del 2 agosto 1980» (Aldo Moro: la verità negata, VIII Edizione 2021, pp. 143-144).
L’orientamento di Mollicone sulle due citate stragi non piace molto ad una parte della sinistra, dove senza mezzi termini si sostiene che l’intento di una siffatta Commissione sarebbe nientemeno quello di riscrivere la storia, assolvere i terroristi neri accreditando una tesi alternativa ovvero una “pista palestinese” o “teutonico-palestinese”.
Di questo avviso è di certo Roberto Morassut vicepresidente del gruppo Pd alla Camera che ha reagito con veemenza alla notizia della proposta di istituire un’ennesima Commissione: «Le sentenze hanno chiarito che la strage del 1980 fu una strage fascista provocata dal terrorismo nero in accordo con settori della criminalità organizzata e le coperture di servizi segreti deviati. Perché la destra italiana fa fatica ad ammettere queste verità storiche e giudiziarie? Cosa si vuole ancora coprire? Cosa si vuole ancora cancellare? Perché non si riesce con coraggio a fare i conti con questo cuore nero d’Italia? Altro che ‘Fratelli d’Italia’: così la destra italiana non sarà mai ‘nazionale’. Se fosse una destra moderna oggi sarebbe qui ad onorare la figura di Matteotti, un patriota. Invece cerca ancora di far dimenticare le responsabilità dei criminali fascisti di Bologna. Proprio come Mussolini che mai ammise di essere lì mandante politico dell’omicidio di Matteotti, ma fece sempre di tutto per mistificare le sue responsabilità materiali e rigettarle su altri» (Affaritaliani.it, 10 giugno 2021).
Questa dichiarazione potrebbe anche essere così sintetizzata: le sentenze definitive si rispettano a prescindere, anche quando si tratta di sentenze deboli, basate magari solo su prove indiziarie o, come abbiamo visto sentenze “appese”, ancora senza movente e mandanti, come lo è per l’appunto quella sulla strage del 2 agosto 1980.
Ma è proprio vero che sia sempre così e cioè che le sentenze passate in giudicato si rispettano sempre e comunque?
Evidentemente no. Molto più probabilmente o prosaicamente le sentenze si rispettano quando coincidono con certe aspettative. Ne è un esempio eclatante il destino riservato sempre dalla stessa parte politica a cui appartiene Morassut, alla sentenza definitiva riguardante la strage di Ustica. Le conclusioni a cui giunse la Corte d’Assise di Roma sono trancianti: da un lato non è stato possibile processare, poiché ignoti e mai individuati in istruttoria, gli eventuali responsabili della strage; la presunta battaglia aerea avvenuta nei cieli di Ustica è stata definita in sentenza “fantapolitica o romanzo […] frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda o fredda”; infine sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” i vertici dell’Aeronautica Militare dall’accusa di aver depistato. Nonostante ciò, lo scorso anno, alcuni autobus cittadini erano tappezzati di scritte tipo: “C’era la guerra quella notte del 27 giugno 1980”.
E quest’anno, addirittura, nell’ambito della rassegna “Attorno al museo” è stata realizzata nel parco cittadino della Zucca un’ installazione artistica a opera del due PetriPaselli e curata dal direttore del Mambo, il Museo d’arte moderna di Bologna, Lorenzo Balbi, intitolata “Battaglia aerea”. Una giostra in piena regola, quella dei mitici dischi volanti che facevano la gioia dei ragazzini negli anni Sessanta, con le navicelle che si alzano, roteano e simulano lo scontro aereo. L’intento degli autori è sferrare un vero e proprio “pugno nello stomaco… creare un contrasto fastidioso…” perché a loro “pare doveroso il ricordo della verità, di quello che è venuto fuori nel corso degli anni…”.
Per non dire dei palinsesti televisivi regolarmente inondati da trasmissioni “verità” che rilanciano la tesi del missile partito con ogni probabilità da un aereo della Nato o statunitense; la pubblicistica ogni anno assume contorni sempre più visionari – postbruciatori di aerei militari che fondono finestrini e pannelli elettrici facendo precipitare il DC9; serbatoi sganciati a velocità supersonica dagli stessi aerei militari, di cui peraltro non vi è traccia nei radar, che colpiscono con traiettorie che si fanno beffe delle leggi della fisica e della statistica e spaccano l’ala sinistra del DC9 provocandone la caduta; film d’avventura che pescano nel sensazionalismo complottistico e… chi più ne ha più ne metta.
A questo punto la domanda sorge spontanea, naturale e persino ovvia: perché queste sentenze che riguardano Ustica, contrariamente a quanto avviene per Bologna, non si rispettano? Che cosa ha da dire in proposito l’onorevole Morassut?
A noi pare un paradosso tutto bolognese: una sentenza definitiva (Bologna 2 agosto 1980), debole, viene difesa strenuamente anche quando emergono nuove evidenze meritevoli di approfondimenti (la scoperta scientifica di una probabile 86ma vittima mai identificata, l’inspiegabile ed impossibile sparizione del corpo di una vittima certa – Maria Fresu), mentre un’altra sentenza definitiva (Ustica) viene del tutto ignorata, e invece viene presa per buona e spacciata per “sentenza” l’ordinanza-sentenza del giudice istruttore, che poi non resse al dibattimento e il processo si concluse come abbiamo visto.
Se le “sentenze si rispettano” perché una sì (Bologna) e l’altra no (Ustica)?