DI MICHELE MORAMARCO
3/5/2021 – Luigi Bargi nacque, primo di otto fratelli e sorelle, in una laboriosa famiglia di Prignano sulla Secchia (provincia di Modena, al confine con quella di Reggio), il 13 maggio 1937. Ordinato sacerdote nel 1962, iniziò il proprio ministero come curato nella Parrocchia di San Pellegrino a Reggio Emilia , dove rimase fino al 1968, passando poi a quella di Poviglio.
Nel 1970 si trasferì come missionario in Brasile. Fu a Recife, in rapporto di collaborazione con l’“arcivescovo delle favelas”, il celebre Dom Hélder Pessoa Câmara, attivo nella promozione sociale degli emarginati, nella difesa dei diritti umani e nell’incontro tra le varie religioni (del resto, suo padre, João Eduardo Torres Câmara Filho, giornalista e critico teatrale, appartenne alla Massoneria e lo educò a valori costruttivi e universalistici).
Divenuto vicario nella Diocesi di Ruy Barbosa, Luigi vi avviò un grande progetto della “Legião da Fraternidade” (la Legione della Fraternità, una istituzione di coordinamento di vari enti di volontariato), occupandosi di assistenza ai malati di tubercolosi, distribuzione di vestiario, cibo, farmaci e ricerca di soluzioni abitative per loro. Il progetto è tuttora operante.
Negli anni 1978-1980 svolse attività pastorale con i detenuti nella Colonia Lafayete Coutinho, a Castelo Branco (Salvador de Bahia).
Nel 1980 ebbe luogo una importante svolta nella sua vita: iniziò un rapporto affettivo con l’avvocata Marlene Souza De Pires, giovane donna impegnata nel campo sociale, e depose l’abito talare.
Dal 1980 al 1983 operò nella periferia degradata di Marotinho – Fazenda Grande (Salvador de Bahia).
Il 2 febbraio 1983 si sposò con Marlene nell’Ufficio del Registro Civile di Penha (Salvador de Bahia). Il matrimonio religioso ebbe luogo solo nel 1994, superati gli ostacoli posti dal diritto canonico. Il rapporto con la gerarchia cattolica, negli anni della transizione alla vita laicale, fu causa di grande sofferenza per Luigi, che successivamente entrò nel movimento dei “Pais Casados” (I Padri [Sacerdoti] Sposati) del Brasile.
Luigi insegnò Filosofia e Sociologia negli Istituti statali “Newton Sucupira” e “Alípio Franca” fino al 2004, anno in cui andò in pensione. Si occupò di metodologia didattica, specializzandosi nel metodo Feuerstein (applicato in particolar modo con alunni che hanno difficoltà di apprendimento), sul quale scrisse una tesi sperimentale.
Dopo alcune serie vicissitudini cliniche, attraversate tra il 1990 e il 2003, ma seguite da quelle incredibili “resurrezioni” esistenziali che sembrano “segni” o indizi della Resurrezione finale e che gli permisero di viaggiare (tornando ogni volta che poteva a trovare i suoi cari in Italia), studiare, far musica, partecipare alle attività culturali e ricreative della comunità italiana in Bahia), la situazione precipitò all’improvviso il 20 marzo 2016, quando – dopo aver evocato, quasi profeticamente, una “nuova tappa nella mia vita“– chiese di essere accompagnato al pronto soccorso dell’Hospital Português. Seguirono nove lunghi giorni di lotta contro un tracollo clinico su più fronti, gli ultimi tre di coma profondo. E allora, scrive Marlene, restava ben poco da fare se non pregare il buon Dio di “accoglierlo nel Mistero della Vita”.
Tornò alla Casa del Padre il 29 marzo 2016.
Nel suo ministero cristiano, Luigi aveva sempre avuto come attiva partner la moglie (funzionaria, in successione, del Ministero delle Miniere e dell’Energia e di quello della Sanità, ma laureata altresì in Lettere e specializzata, come Luigi, in metodologia didattica): tra l’altro, Marlene è stata operativa in progetti sociali di assistenza ai malati e di alfabetizzazione. Fu accanto a Luigi fino al trapasso.
Caro Luigi,
qualche anno fa un ex-alunno, Matteo Gelmini, mi chiese un ricordo di don Angelo Cocconcelli per il settimanale La Libertà. Fu motivo di gioia per me, tanto più che le mie parole sarebbero state al riparo dal rischio dell’adulazione: da alcuni decenni mi ero avvicinato a comunità universaliste di matrice protestante e dedicato all’opera di raccordo tra Zoroastrismo (Mazdeismo) e Cristianesimo iniziata già da alcune minoranze dell’età post-apostolica e continuata – talvolta in contrasto con la Cristianità mainstream – fino al tempo presente, ragion per cui su molti orientamenti ero – e resto – distante dalle vedute di “Angiolino”.
Ne uscì, comunque, una testimonianza di stima e di affetto. Menzionai ovviamente, tra i curati dello storico parroco di San Pellegrino, anche te. Immediatamente, questo richiamo mi riportò nel cuore degli anni ’60. Dal ’63 al ’67, per intenderci. E la tua presenza giocosa, rassicurante e istruttiva, con noi ragazzi, poco più che bambini all’inizio di quel periodo, mi brillò nel cuore, nuova di zecca, come se il tempo non fosse mai passato.
A dire il vero, la tua presenza, sia pur intermittente, c’era sempre stata. Dal 1968 non frequentavo la parrocchia e tu eri a Poviglio. Seppi poi che ti eri trasferito in Brasile come missionario. Quando partisti, nel 1970 (io avevo iniziato a sentire la meraviglia di quel paese già nel ’61, prima che tu fossi ordinato sacerdote, da un nuovo compagno di classe italo-brasiliano arrivato da Rio De Janeiro), stavo cominciando a coltivare la passione per la bossa nova e per l’idioma carioca, oltre a essere – dai Mondiali ’62 – un tifoso della “Seleção” di Pelé.
Dunque, dicevo, eri presente, di tanto in tanto mi capitava di pensare: chissà come sta don Luigi. Ma la vita adolescenziale prima, e giovanile poi, è centrifuga, perciò non mi fermavo a cercare tracce di te. Poi vennero l’entusiasmo per la costruzione di una famiglia e, sui quarant’anni, una separazione coniugale, di quegli eventi che ti fanno ripiegare su te stesso e, se hai la benedizione di essere il genitore affidatario, ti consacrano a una dedizione assoluta, nel quotidiano, verso tuo figlio (o i tuoi figli).
Dopo l’intervista di Matteo, però, mi fiondai al computer per cercare il tuo nome in rete. Scoprii, e ne fui ferito, che eri passato al di là del Velo nel 2016.
Che potevo fare?
Cercare qualcuno che ti conoscesse e ti fosse stato vicino. E lo – anzi: le – trovai, tramite facebook: le tue sorelle, la tua compagna di vita. Gentili, come eri tu, mi hanno confermato che hai vissuto da testimone di quell’Amore che dissolve la paura: “Una vita spesa per il prossimo, con amore e dedizione … Luigi era speciale. Ci ha insegnato a essere forti, a non temere nulla”, hanno scritto le sorelle, fino a quel “Luigi è amore”, di tua moglie Marlene, che vuole esprimere, credo, la tua aspirazione a imitare il Padre partendo dall’assunto “Dio è Amore”, scolpito nella Prima Lettera di Giovanni (4:8).
(Nella foto: una bella immagine con i fratelli e le sorelle Bargi, In occasione dell’ultima visita di Luigi in Italia. Da sinistra: Enrico, Ornella, Marlene (moglie di Luigi), Giuseppina, Raffaele, Luigi, Domenica, Paola e Carla).
Da tutte le testimonianze emerge un intento che sembra aver contraddistinto – in linea con l’Evangelo – la tua missione: irradiare bontà e coraggio. Già associavi le due qualità in una lettera a tua sorella Paola, da Recife, commentando una foto con dom Hélder Câmara: “… Questo vescovo che tu vedi è molto stimato in tutto il Brasile e all’estero… Si chiama dom Hélder Câmara. È coraggioso e molto buono…” Ecco, forse sta qui la radice di quel tuo sorriso che rassicurava e trasmetteva alle anime, insieme, pace e determinazione: l’unione di coraggio e bontà. E di dolcezza, al netto – per quanto possibile – di tutte le asperità del mondo.
Caro Luigi, ti ho parlato interiormente in questi ultimi anni.
Mi scusavo per non averti cercato prima. Avrei dovuto ringraziarti, per avere “gareggiato” con noi a pallone e a bigliardino, quando si era in pochi a San Pellegrino e il gioco languiva; per quella tua serietà efficace, lieve anche nei momenti solenni della Chiesa, una serietà che non diventava mai seriosa. Sai, quasi sempre, da insegnante, quando entravo per la prima volta in una classe dicevo qualche battuta demenziale e poi magari uscivo dall’aula – come dire, per scherzo: “basta, mi avete già stufato” (scoprii solo dopo che c’era una situazione del genere nel film L’attimo fuggente) – poi rientravo, tra le risatine un po’ perplesse degli alunni, e passavo una buona decina di minuti a illustrare la differenza tra serietà e seriosità. Che fosse chiaro: si può essere seri e scherzosi insieme. Forse c’era anche la tua impronta in questo approccio. Del resto, mi scrive Marlene che tu a volte ti vestivi da clown per far divertire i bimbi del Marotinho, una zona difficile di Salvador de Bahia. Grande don, Dio ti benedica sempre. A San Pellegrino, se vedevi un ragazzino che se ne stava a leggere “Capitan Miki”, solo, seduto sul muretto vicino all’albero di fichi, mentre gli altri facevano una partitella, gli chiedevi “tutto bene?”: ti accertavi, insomma, che non ci fossero stati problemi, conflitti, esclusioni, e se trovavi un po’ di tristezza cercavi di rincuorare con parole allegre che condividevi in semplicità, come si fa con un panino. Ma c’era anche sacralità in quel tuo modo d’essere: in fondo anche quella era una “comunione”, una condivisione di Amore Divino.
Mi viene in mente il prete della canzone Azzurro, che chiacchiera con un bambino in una domenica pomeriggio, nel cortile all’oratorio, e lo aiuta così a vincere la noia, quel tedium vitae che qualche volta si insinua, strisciante, anche nell’infanzia e che un bravo educatore, come un padre volenteroso, sa allontanare. Mi sembra allora del tutto logico che tu e Marlene siate stati nominati affidatari di due bimbe, nipoti di lei, che avete tenuto per mano nel tempo in cui i loro genitori naturali non erano in grado di prendersene cura. Credo che la paternità celeste si riflettesse in te, e forse è anche per questo che i miei genitori ti tenevano in grande simpatia. E così mio figlio, al quale ho parlato di te a lungo: è necessario che la memoria della bontà si trasmetta da una generazione all’altra.
In una delle foto che tua sorella Paola mi ha mandato, ci sei tu giovanissimo, sorridente e a braccia spalancate, in cima a un colle che sembra famigliare, potrebbe essere nell’Appennino tra Modena e Reggio, e invece si trova vicino alla cittadina di Ruy Barbosa (così chiamata in omaggio a un altro difensore dei diritti umani, il giurista Ruy Barbosa de Oliveira).
In quel momento e in quel gesto, così solari, sembravi esprimere la tua vita abbracciante, tanto qui come oltreatlantico, in quel Brasile che ha per icona la statua abbracciante del Redentore sul Corcovado, di cui avresti poi contemplato la sublimità cantata da Tom Jobim…
“… Da janela vê-se o Corcovado
O Redentor, que lindo…”
(“dalla finestra si vede il Corcovado
il Redentore, che bello…”)
Un Cristo insieme cosmico, universale, e umanissimo, pronto ad avvolgere l’immensità traendola a Sé verso le altezze del Bene, ma anche a consolare i più piccoli nei loro minuscoli o enormi drammi quotidiani.
Caro Luigi, avviandomi a concludere queste povere parole – ma non il nostro dialogo interiore – voglio informarti che il mio secondo nome è Luigi, preso dal nonno materno che lavorava nei campi come mezzadro e come te amava la giustizia e giocava con i bambini, lui con quelli della famiglia, i loro cugini e i loro amici, lasciando che gli “rubassero” il cappello e glielo spiegazzassero, senza brontolare, per farli contenti e perché l’allegria e la serenità aleggiassero tra quelle semplici mura, vicino alla stalla dove stavano i buoni animali che secondo la tradizione scaldarono il bambino Gesù a Betlemme. Forse anche a loro arrivava l’eco di quella bontà gioiosa. E a me, da mio nonno che morì prima che io nascessi, è arrivata anche una piccola complicità onomastica con te.
Allora ciao, caro Luigi, e grazie di tutto. Sarei presuntuoso o folle se dicessi: sono sicuro che le mie parole, anche solo in forma-pensiero, arriveranno a te. Ma sperarlo è bello, anzi meraviglioso, e soprattutto è giusto. Se il mondo spirituale è reale e non è prigioniero dello spazio e dal tempo, se è come una interfaccia, un risvolto della nostra dimensione (in una specie di universo-cipolla, i cui vari strati sono divisi ma contigui, attaccati l’uno all’altro e “permeabili” l’uno dall’altro), allora forse le mie parole ti sono già arrivate e tu mi hai anche già risposto, soprattutto in certi momenti, verso sera.
Purtroppo, non ti ho ritrovato nel mondo – e dire che avremmo potuto discutere su tante questioni, e magari fare una suonatina insieme, visto che amavi esercitarti alle tastiere – ma in compenso ti ho sentito più che mai vivo nel cuore, soprattutto in quel suo centro invisibile che tremola quando incontra certe parole di Gesù: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt. 18:3).
Perciò, fidando nell’Amore supremo – per il quale c’è un nome, “Dio”, che deriva dalla radice indoeuropea indicante la Luce diurna – spero che ci rivedremo in un bel giorno di Sole, una domenica senza tramonto. Intanto, come ha scritto il tuo compagno di missione Ernesto Bottazzi, per Luigi c’è “grande “saudade” [nostalgia] sulla terra, grande allegria in Cielo”.
Con affetto e riconoscenza,
Michele
Marlene de Souza Pires
04/05/2021 alle 23:24
Querido Michele,
Estou perplexa com a leveza, transparência,sentimentos e descrições escritas com as tuas palavras de amor ao teu amigo Luizinho.
Deus te iluminará sempre pois , é um excelente escritor.
Abraços.
Michele Moramarco
05/05/2021 alle 10:28
Obrigado querida Marlene,
acho que foi o Luizinho, com sua bondade e gentileza, que inspirou a transparência e o brilho das minhas lembranças. Obrigado também por sua importante colaboração na reconstrução, embora parcial devido às limitações de espaço de um artigo, do seu trabalho.
Abraços.