DI LAURA BRUSSI*
10/12/2020 – Correva la primavera del 2018 quando Don Eugenio Morlini, un sacerdote reggiano che interpretava la storia alla luce di una naturale sensibilità cristiana, espresse un parere sostanzialmente scontato avallando la richiesta di perdono formulata cinque anni prima, ad opera di Meris Corghi, figlia di un partigiano che negli anni tempestosi delle guerra civile aveva ucciso “in odium fidei” il seminarista Rolando Rivi: la richiesta esprimeva una conclusione logica e inoppugnabile, se non altro per coerenza con la vocazione e con l’abito di Don Eugenio.
Era presumibile che fossero tutti d’accordo ma non fu così: il solerte e funzionale Istituto reggiano per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea, tramite il Dr. Massimo Storchi, dirigente del suo Archivio, fece sapere che “la riconciliazione è un atto privato che non c’entra con la storia” e che nei commenti alle vicende degli anni Quaranta “non c’è più animosità, salvo quando parliamo con i fascisti“. Di qui, secondo lui, la sostanziale impossibilità di elevare a ruolo “pubblico” un perdono che “riguarda solo la morale e la metafisica”.
Il carattere opinabile dell’assunto è di tutta evidenza.
La riconciliazione, vera o presunta che sia, è un atto pubblico ancor prima che privato, come ha dimostrato, fra tanti episodi, il “pellegrinaggio” a Basovizza compiuto nel luglio 2020 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal suo omologo di Lubiana Borut Pahor per rendere omaggio congiunto a Caduti dell’una e dell’altra sponda, sebbene i quattro sloveni fucilati nel 1930 fossero rei confessi di attentati terroristici causa di Vittime civili e di gravi danni.
Ciò, senza dire che il perdono appartiene alla sfera etica espressa dalla legge morale sin dai tempi di Antigone (lasciando stare la sua commistione con la metafisica che adombra un errore di natura filosofica, politicamente e culturalmente inaccettabile).
Quanto all’animosità dei fascisti, anch’essa vera o presunta che sia, resta da vedere in qual misura sia causa, e in qual misura effetto: cosa che nella fattispecie non dovrebbe essere ardua, perché il Dr. Storchi è storico capace di essere oggettivo, avendo scritto senza remore – e distinguendosi da talune “vulgate” spesso prevalenti – che “la Resistenza non fu fenomeno di massa” .
La premessa era necessaria per mettere a fuoco la figura del medesimo Storchi, assurto alla ribalta non soltanto emiliana per avere indotto la Commissione toponomastica del Comune di Reggio, di cui egli fa parte in rappresentanza di ISTORECO, a porre in lista d’attesa la delibera di intitolare un luogo pubblico alla memoria di Norma Cossetto sulla falsariga di quanto hanno già fatto circa ottanta Amministrazioni comunali, senza contare le 850 italiane (e quelle estere di Austria, Australia, Canada, Croazia e Sudafrica) che hanno adottato analogo provvedimento a carattere generale per le 20 mila Vittime infoibate o diversamente massacrate dai partigiani di Tito e per i 350 mila Esuli dispersi nel mondo.
La Commissione, composta da cinque membri , esaminando una precedente mozione istituzionale che aveva già approvato l’iniziativa a larga maggioranza, ha disposto per nuovi accertamenti accogliendo le pregiudiziali di Storchi, riassumibili nel fatto che sulla tragedia di Norma esisterebbero solo fonti verbali; che la famiglia era fascista; e che il padre, appartenente alla Milizia, sarebbe morto combattendo contro i partigiani.
C’è di più: non potendo negare che la stessa Norma fu insignita di Medaglia d’Oro dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (2006) per il nobile comportamento assunto davanti ai suoi stupratori e massacratori, la Commissione ha deciso di chiedere chiarimenti al Quirinale nell’ipotesi, oggettivamente offensiva, che l’istruttoria non sia stata sufficientemente “approfondita”.
Peccato che, a completamento di scrupoli tanto solerti, la richiesta non sia stata inviata anche all‘Università di Padova per la laurea “honoris causa” a suo tempo conferita alla memoria di Norma.
Le motivazioni della sospensione sono oggettivamente allucinanti: la prima, secondo cui la tragedia della compianta Vittima avrebbe riferimenti nella sola tradizione orale, è contraddetta in primo luogo dal buon senso.
Non è forse vero che le Spoglie mortali della sventurata studentessa istriana furono recuperate dalla squadra dei Vigili del Fuoco di Pola, comandata dall’eroico Maresciallo Arnaldo Harzarich, con tanto di verbali e di dettagli angosciosi su cui la “pietas” invita a stendere un velo di commosso silenzio, e già pubblicati dallo storico Guido Rumici ? Quelle Spoglie non sono forse una prova?
Non è forse vero che la storiografia e le testimonianze, fra cui quelle degli ultimi allievi in vita, è stata prodiga di testi esaustivi sulla tragedia di Norma, fino a ricostruirne il dramma in ogni dettaglio?
Si vuole forse insinuare che la Medaglia d’Oro conferita “motu proprio” dal Presidente Ciampi non abbia avuto il supporto di un’indagine propedeutica che è prassi normalmente dovuta?
Quanto all’affermazione secondo cui Giuseppe Cossetto, padre di Norma, sarebbe caduto combattendo a fianco dei tedeschi e dei fascisti, si tratta di un vero e proprio falso: in realtà, essendo stato informato della scomparsa di sua figlia, si era affrettato a rientrare in Istria da Trieste, per porsi alla ricerca di ogni traccia utile, assieme al cugino Mario Bellini.
Ebbene, ebbero la disgrazia di incrociare una squadra partigiana: entrambi furono catturati e passati per le armi, e a loro volta gettati in foiba. Certo, Giuseppe era fascista (come buona parte degli italiani) e apparteneva a una famiglia altolocata e benestante, ma si distingueva per l’atteggiamento collaborativo nei confronti di chiunque, se non anche per una riconosciuta opera di benefattore, sia a vantaggio dei concittadini italiani, sia in favore della minoranza croata.
Un’ultima considerazione riguarda i dubbi che possono essere avanzati sulla reale idoneità giuridica della Commissione toponomastica a entrare nel merito della questione, di competenza degli Organi volitivi del Comune che avevano già deliberato, laddove il parere della Commissione in parola è richiesto funzionalmente ai soli fini delle valutazioni circa la disponibilità effettiva dei luoghi e l’eventuale opportunità di “rinomina” sia pure parziale di altri già in essere, ma allo stato delle cose si tratta di un argomento secondario: la questione, prima di essere rilevante in linea di diritto, ha finito per diventare soprattutto etica e politica.
A quest’ultimo proposito, è bene rammentare agli ignari che sin dal 2007 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, celebrando il “Giorno del Ricordo” (10 febbraio) aveva posto chiaramente in luce come quello perpetrato a danno del popolo giuliano istriano e dalmata fosse stato un delitto contro l’umanità; e che il suo successore ha ribadito l’affermazione nella ricorrenza del 2019.
Nondimeno, la storia del confine orientale si sta rivelando ancor più “complessa” di quanto effettivamente sia, a causa di un negazionismo strisciante davvero degno di miglior causa. Sul piano morale l’Olocausto di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia non è certo inferiore a quello di tanti altri popoli, se non altro per essersi distinto nell’alta visione cristiana della sua lunga tragedia.
*Laura Brussi, esule da Pola – Volontariato per non dimenticare; e Carlo Montani – Storico, esule da Fiume