di Pierluigi Ghiggini
25/4/2019 – Per la prima volta una bandiera d’Israele ha fatto la sua comparsa al corteo reggiano del 25 Aprile. La sventolava una indomita Stella Borghi: il fatto è da ricordare, perchè non molti anni fa avevamo visto il vessillo con la stella di David bruciato in piazza Prampolini a opera dei filo palestinesi. E infatti la cosa non è andata giù all’imbonitore del corteo dei centri sociali, in coda al corteo ufficiale, che ha sbraitato contro Israele, il governo «nazifascsita dell’Ucraina», naturalmente Salvini (assurto da simbolo del grande satana) e pure contro il sindaco Vecchi che era in testa alla manifestazione con tutte le autorità e le associazioni d’arma: «Non è questo il nostro 25 aprile».
Lo sforzo encomiabile della pattuglia europeista, che ha portato in piazza anche una bandiera Usa (pure quelle un tempo venivano bruciate) non è comunque bastato a restituire al 25 Aprile il suo significato unitario, di festa per tutti. Anzi: il giorno della Liberazione è stato, in tutto il Paese, e non solo a Reggio, un giorno di divisione, o meglio di non-condivisione.
E non perchè agli italiani non vada giù il concetto, tutt’altro: gli va di traverso piuttosto il monopolio di un settarismo rosso da epigoni del «socialfascismo» anni Venti, che ormai ha preso il sopravvento nell’assenza culturale e politica del mondo moderato, riformista e liberale. Il problema è generale, ma a Reggio per tradizione antica lo è ancora di più, e ha finito per fare scuola grazie anche ad alcuni cattivi maestri, secondo i quali oggi il fascismo si declina con revisionismo, sovranismo, nazionalismo, rivendicazione della sicurezza e persino socialdemocrazia. L’antifascismo, insomma, come clava da rivolgere contro gli avversari politici o contro i critici di una sinistra incapace di coinvolgere e di unire, ma bravissima a dividere e a vedere nemici ovunque.
Di tale egemonia settaria abbiamo avuto chiare dimostrazioni in questi giorni con la cacciata dell’associazione Italia-Ucraina Maidan dalla festa del 25 aprile di Casa Cervi. Bollata a furor di comunisti come fiancheggiatrice del nazifascismo, Maidan ha reagito con sdegno rivendicando il proprio antifascismo e preannunciando riparazione dagli insulti nelle aule giudiziarie. Ma nessuno intanto le ha rivolto un cenno di scuse.
Per non dire del corteo del 25 Aprile a Reggio, dove una buona metà dei partecipanti erano organizzati sotto le bandiere delle frange comuniste e hanno fatto l’ingresso in piazza Martiri cantando Bandiera Rossa. Ora, ognuno può cantare ciò che gli pare, ma Bandiera Rossa in una manifestazione teoricamente di unità nazionale, è una dimostrazione di arroganza politica, che da sola spiega come mai tante persone si siano stufate e abbiano deciso di partecipare più.
Abbiamo risentito, non credevamo alle nostre orecchie, lugubri slogan di 50 anni fa: «Col sangue delle camicie nere/ faremo più rosse le nostre bandiere», e persino un Viva Marx-Viva Lenin-Viva Mao Tse Tung che nel fallimento planetario del comunismo suona perlomeno surreale, da scavo archeologico.
Se Reggio è rimasta agli anni 70, le ragioni sono variamente sfaccettate, ma pur sempre con un’unica origine. In linea generale è stata perniciosa la scelta ideologica di nascondere, soprattutto ai giovani, il fatto fondamentale che l’Italia occupata dai nazisti fu liberata prima di tutto dai soldati americani, alleati e dagli italiani che combattevano nell’esercito e nella Marina del Sud, e anche dai partigiani, di cui peraltro nessuno disconosce il ruolo. Con l’aggravante, a Reggio Emilia, che l’antifascismo non ha avuto il coraggio (fatta eccezione per l’effimera stagione del Chi Sa Parli) di affrontare a viso aperto le proprie pagine nere, quelle delle centinaia di morti indifesi innocenti, in gran parte ancora oggi senza sepoltura, trucidati da partigiani assassini nella mattanza del dopoguerra. E se un tempo il silenzio sui delitti e sui sicari, comunque ingiustificabile, serviva a difendere una Storia non priva di gloria, oggi è usato per tenere insieme ideologicamente un sistema di potere. In questa mancanza di coraggio hanno preso sopravvento la mitologia manipolata a piacimento e una narrazione della Resistenza, della Liberazione e della guerra civile con troppe infami pagine strappate, nel quale inevitabilmente prospera il settarismo. Per questo l’antifascismo in salsa tipicamente reggiana perde credibilità, e non sarà Bandiera Rossa a restituirgliela. Ma,senza voler scomodare un grande Italiano, anche queste sono prediche inutili.
(DALLA VOCE DI REGGIO EMILIA)
La coerenza
25/04/2019 alle 21:07
Una donna radicale che sventola la bandiera di un ostato dove la leva è obbligatoria anche per le donne.. fantastico!
Carlo Menozzi
26/04/2019 alle 08:34
Poi accolgono a braccia aperte i palestinesi non sapendo che erano alleati con Hitler durante la seconda guerra mondiale. Questa tipologia di reggiani non cambierà mai. Ignoranti erano, lo sono e tali rimarranno.
Far from
27/04/2019 alle 12:21
Tipologia diffusissima dati i livelli in cui versa oggi questa che una volta fu una cittadina piacevolmente abitabile…
saluti
Carlo Menozzi
26/04/2019 alle 10:45
Gentilissima signora La coerenza, parità dei diritti ma anche dei doveri. Quindi?