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A duecento anni dalla nascita (trascorsi per la verità da più di un anno) Reggio Emilia dedica un’ampia retrospettiva ad Antonio Fontanesi, artista reggiano protagonista della pittura dell’Ottocento italiano e interprete straordinario delle novità del paesaggio romantico, uomo inquieto nella vita e innovativo sperimentatore nella pittura.
Promossa dai Musei Civici in collaborazione con la Fondazione Torino Musei-Galleria d’arte moderna e la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, la mostra ‘Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri’ è aperta al Palazzo dei Musei dal 6 aprile al 14 luglio.
La rassegna – curata da Virginia Bertone, Elisabetta Farioli, Claudio Spadoni – oltre a ricostruire attraverso le più importanti opere di Fontanesi il percorso dell’artista, intende offrire un nuovo contributo critico alla sua conoscenza mostrando l’influenza che la sua pittura ha avuto negli artisti che dopo di lui si sono riconosciuti nel suo particolare approccio alla natura e al paesaggio.
Un approccio sospeso tra l’esigenza di rappresentazione del vero e l’urgenza di esprimerne le più intime emozioni.
L’esposizione dei più importanti dipinti di Antonio Fontanesi, provenienti da musei e collezioni italiane, viene posta a confronto con la produzione degli artisti che la critica ha collegato con la sua produzione, individuandone possibili motivi di ispirazione in un arco cronologico che va dagli anni ’80 dell’Ottocento agli anni ’60 del Novecento.
Sono documentati i rapporti con la cultura simbolista e divisionista attraverso opere di Vittore Grubicy, Leonardo Bistolfi, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, ma anche la sua ripresa negli anni Venti ad opera di Carlo Carrà, Felice Casorati, Arturo Tosi.
L’ultima sezione sarà dedicata alle interpretazioni critiche degli anni Cinquanta di Roberto Longhi e poi di Francesco Arcangeli. Quest’ultimo, nell’individuare una continuità tra la concezione moderna dell’arte e la grande tradizione ottocentesca, inserisce Fontanesi nell’evoluzione di un naturalismo che nel dopoguerra arriva a Ennio Morlotti, Mattia Moreni, Pompilio Mandelli, spingendosi fino alle ricerche materiche di Alberto Burri.
ANTONIO FONTANESI: LA VITA, LE VISSICITUDINI , L’EREDITA’
Inquieto nell’arte e nella vita, esule, “artista randagio” per i contemporanei, “globetrotter” ante litteram, Antonio Fontanesi trascorse un’esistenza densa di esperienze e incontri.
A Reggio Emilia, città dove nasce nel 1818, rimane fino a trent’anni quando, spinto dall’urgenza di partecipazione irredentistica, si rifugia in Svizzera dove nel 1850 si stabilisce, a Ginevra, città che segna una tappa importante della sua vita. Da qui si sposta continuamente per dipingere tra i paesaggi del Delfinato, ma compie anche importanti viaggi europei fondamentali per la sua arte: Parigi nel 1855 e nel 1861, Londra nel 1865.
Il breve soggiorno a Firenze nel 1866 segna la sua volontà di tornare in patria, unitamente alla ricerca di un insegnamento accademico che gli offrisse stabilità economica; dopo la breve esperienza di Lucca finalmente nel 1869 ottiene la cattedra di paesaggio all’Accademia Albertina di Torino. Non si placa anche in questi anni la sua inquietudine di uomo e di artista; dal 1876 al 1878 si trasferisce a Tokyo dove insegna alla Scuola d’arte. Tornato a Torino, dove muore nel 1882, trascorre gli ultimi anni tra incomprensioni e difficoltà.
Dopo la morte nel 1882, in solitudine umana e artistica, già a partire dagli anni Novanta gli artisti più innovatori riconoscono nel maestro di Reggio un precursore della tecnica divisionista e ritrovano nei suoi paesaggi sintonia con la loro pittura di “stati d’animo”.
L’alba di Fontanesi è segnata al 1901, data della monografia dell’allievo Calderini ma soprattutto della grande mostra alla Biennale di Venezia dove la pittura dell’artista riceve unanimi riconoscimenti.
Negli anni Venti del Novecento, in piena svolta novecentista, nuova attenzione viene dedicata alla sua arte: Carlo Carrà gli dedica uno studio in cui i concetti di “numero”, “ordine”, “misura” diventano fondamentali per il suo rilancio nel clima di ritorno alla tradizione e ai valori della pittura.
Nel 1952 è Roberto Longhi a proporne una mostra alla Biennale di Venezia. Il suo apprezzamento costituirà un viatico importante per il più giovane critico Francesco Arcangeli proprio in questi anni impegnato nell’individuazione di ‘tramandi’ che per vie diverse potevano riconoscersi tra la pittura romantica e quella informale (dagli ultimi naturalisti fino, sia pure in accezione distinta, a Alberto Burri).
carlo baldi
08/04/2019 alle 10:34
Splendida mostra, come non si vedeva da anni a Reggio. Complimenti con chi l’ha predisposta. L’ho visitata con calma Sabato alle 15 e mi è piaciuta moltissimo. Anche l’esposizione è splendida.
Bravissimi !
Carlo Baldi
PS Avrei , all’ingresso, organizzato anche un’ampia esposizione di libri e di gadget, che avrebbero permesso di incassare qualcosa in più e come avviene in altri grandi mostre.