Nell’inchiesta Camaleonte la Dda di Venezia ha acceso un faro sulla penetrazione in Veneto della cosca di ndrangheta che fa capo a Nicolino Grandi Aracri, con 33 ordinanze di custodia cautelare, ben 58 indagati e sequestri patrimoniali per oltre 10 milioni di euro.
Secondo le indagini che si sono spinte a ritroso sino ai primi anni del decennio, si è trattato di una migrazione del tutto particolare del clan Bolognino, (un ramo rilevante della cosca Grande Aracri) da Reggio Emilia verso il Nord Est perchè il “business” da queste parti (soprattutto l’edilizia) era ormai troppo affollato dai conterranei cutresi. I campi d’imputazione individuati dalla procura antimafia veneta sono ben 139, compreso episodi di violenza privata, estorsioni, pestaggi e minacce di ogni genere per piegare gli imprenditori al volere del clan, sino a un sequestro di persona che sarebbe avvenuto nel maggio 2013, quando già a Reggio la cosca era nel mirino delle interdittive antimafia e l’inchiesta Aemilia in pieno svolgimento.
Il reato più grave, quello di associazione di stampo mafioso, viene contestato a quattro arrestati: Michele Bolognino, il capo famiglia, già in carcere per la condanna complessiva a 38 anni e un mese nel processo Aemilia (20 anni e 7 mesi nel rito ordinario più 17 anni e 4 mesi nell’abbreviato); il fratello minore Sergio – condannato a 21 anni complessivi in Aemilia – che era il terminale della famiglia in Veneto, pronto a individuare aziende in difficoltà da fagocitare con le buone o con le cattive; il commercialista di fiducia Donato Agostino Clausi (condannato in Cassazione – rito abbreviato a 10 anni e 4 mesi di carcere, e Giuseppe Richichi (9 anni in Aemilia).
Tanto per avere un’idea, nell’ordinanza del gip di Venezia vengono citate le minacce dei fratelli Bolognino, subite nel 2012 da una famiglia di imprenditori di Galliera Veneta: “Tu devi fare quello che dico io… Se non fai quello che dico io ti spacco le gambe… Ti spacco la testa… Tu e la puttana di tua moglie dovete lavorare per me e stare zitti… Dovete compiacere la nostra famiglia”. Un caso dal quale partì la prima indagine giudiziaria.
Sempre nel 2012 Sergio Bolognino e Antonio Genesio Mangone (originario di Cariati, è residente a Finale Emilia) riservarono “trattamento” a suon di pugni e schiaffi al titolare della De Zanetti di Vigonza (Padova), promettendogli che lo avrebbero fatto “a piccoli pezzi”, per costringere l’imprenditore a cedere le quote di un’azienda partecipata, poi diventata Gs Scaffalature.
Nel maggio 2013 i fratelli Bolognino (ma con loro, secondo le accuse, c’era Richichi: fecero intendere che aera armato) sequestrarono in una stanza un imprenditore, che fu minacciato da Sergio: “O mi dai la procura o ti stacco la testa”. Bolognino ottenne la procura, e i fratelli si presentarono come i nuovi titolari al 50% e i gestori della Gs Scaffalature.