di Francesco Fantuzzi
28/3/2019 – Si fa un gran parlare dei Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia, un autentico capolavoro cinquecentesco della nostra città oggetto di un lungo intervento di “riqualificazione”.
I Chiostri sono un luogo di straordinaria bellezza e non rallegrarsi della loro apertura al pubblico sarebbe tanto folle quanto strumentale; ma qualche opportuna puntualizzazione è resa necessaria dalla pesantissima campagna autopromozionale della nostra amministrazione, non a caso in prossimità delle elezioni.
Il restauro della parte antica, ovvero quello realizzato nei due chiostri in cui si articola l’ex monastero benedettino, è in realtà una porzione limitata dell’intervento; quella più significativa, nonchè discussa, è relativa a una parte esterna e un edificio di fabbricazione più recente, che dovrebbe divenire sede di un “Laboratorio aperto urbano”.
Non si è trattata poi di una vera e propria apertura: i Chiostri erano già utilizzati in certi periodi dell’anno, come in estate e per la fotografia europea. Stupisce pertanto, ma non troppo, questa corsa affannosa ad accreditarsi come coloro che li hanno inaugurati per la prima volta.
Due aspetti, dunque, non possono non essere rilevati a margine della narrazione trionfalistica di questi giorni: da un lato, la costante dicotomia tra arte e cultura del passato e “proiezione nella contemporaneità e nell’innovazione”, secondo le stesse parole dei protagonisti, come anche la triste vicenda delle piazze testimonia; dall’altro, l’appropriazione a fini politici di un luogo che appartiene a tutta la città, non solo a chi la governa.
Dicotomia per la quale mi compiaccio del grande successo di partecipazione di questi giorni, ma non posso far mie le parole del Sindaco quando afferma di aver riconsegnato “alla città un grande patrimonio che i reggiani potranno vivere e apprezzare sempre più”. E poi: “Questo spazio rinnovato tiene insieme la cultura, la socialità e la storia di Reggio Emilia e con questo recupero ha fatto un grande salto di qualità rispetto al suo essere una polarità attrattiva del territorio capace di ospitare tantissimi eventi ed essere luogo della sperimentazione sociale e della creatività”.
Chiunque mi ha sempre dato atto di non essermi mai soffermato sugli aspetti estetici delle varie “riqualificazioni” di questi anni, non avendone peraltro le competenze: ritengo invece essenziale farlo ancora una volta su quale visione di cultura abbia espresso questa amministrazione in questi cinque anni.
Se tenere assieme il passato e la contemporaneità conduce a un frullato intellettuale e stilistico dove poi si perde memoria del valore del cinquecentenario dell’Orlando Furioso, del Bicentenario di Antonio Fontanesi e si stravolgono i luoghi del centro storico, credo che occorra riflettere a lungo.
Ripensare gli spazi per farli interagire con la città, sempre per utilizzare la prosopopea della Giunta, significa renderli fruibili per ciò che erano e che potrebbero essere tuttora. La contemporaneità, in un centro storico come il nostro e in un luogo unico come i Chiostri, dovrebbe limitarsi a preservare e valorizzare quell’unicità.
Ovvero, i Chiostri sono un luogo straordinario, ma lo erano già prima di sabato scorso, non perchè siano divenuti un laboratorio.
I laboratori aperti urbani e l’innovazione, vocazione temerariamente attribuita ai Benedettini sabato corso, mi fanno lo stesso effetto che la musica contemporanea faceva a Franco Battiato.
Ma, se occorre, me ne farò una ragione.
Francesco Fantuzzi