di Pierluigi Ghiggini
27/10/2018 – Il giorno dopo il patatrac, la Cgil di via Roma, di solito brulicante di funzionari e delegati, era deserta. Tutti riuniti da una parte o dall’altra, nel primo giorno di una guerra senza quartiere, e senza precedenti nella storia del sindacato di via Roma, scatenata con il voto che a sorpresa ha “fucilato” il segretario provinciale Guido Mora, unico candidato alla guida della Cgil più rocciosa (e importante) d’Italia.
Il verdetto dell’assemblea generale, mercoledì sera, a conclusione del 18 congresso provinciale della Cgil, è stato impietoso e devastante. Guido Mora (che avrebbe concluso il mandato nel 2020, quando andrà in pensione) è stato sfiduciato dall’assemblea generale nel segreto dell’urna. Dei 141 componenti dell’organo elettivo 66 hanno espresso voto favorevole per la sua riconferma, 75 hanno votato contro.
La reazione di Mora, persona di pacatezza proverbiale, è stata durissima: «Questo è il mio 25 aprile. Ringrazio i farabutti dell’assemblea generale». Forse voleva dire l’8 settembre, ma il senso è lo stesso. L’invettiva rimbombata all’interno della bomboniera del teatro Ariosto, ormai in pieno caos, è immediatamente finita sui media.
«Farabutti»: mai si era arrivati a tanto alla Cgil.
Una doccia gelata, anzi uno tsunami inimmaginabile sino a ieri in via Roma, dove per decenni la sinistra interna, di cui Mora – sindacalista di prestigio – è l’ultima espressione, aveva dominato incontrastato, anche col pugno di ferro. Per la verità gli scricchiolii nella gestione monolitica di via Roma si erano avvertiti già nel 2015, con la costituzione di un coordinamento dei “dissidenti”. Mora però era riuscito a ricucire la frattura, ricostituendo una gestione unitaria della segreteria.
Ma non è bastato: il segretario uscente era convinto di poter contare una una maggioranza di almeno il 55%, forse qualcosa di più: aveva dalla sua parte i metalmeccanici, la Filt, i grafici e non trascurabili componenti di altre categorie. Nel segreto dell’urna, invece, la maggioranza sulla carta si è dissolta come neve al sole.
Si dice che la fronda, che ora è diventata maggioranza, volesse circoscrivere la prova di forza portando Mora al limite del 51% e costringere così la sinistra a scendere a patti con la minoranza interna. Ma il gioco sarebbe sfuggito di mano, spalancando la porta di un inferno interno molto difficile da gestire senza vittime (politicamente parlando) e macerie.
Di certo Reggio è diventato un caso eclatante per la Cgil nazionale, anzi il problema numero 1, in questo momento.
Ora si cercando di scandagliare le ragioni profonde della rivolta.
Secondo alcuni minimalisti, avrebbero pesato i dissapori determinati dalla gestione di Mora, sindacalista autorevole ma – dicono i suoi critici – anche autoritario.
Tuttavia, anche se fosse vero, ciò non basta a spiegare un’operazione evidentemente preparata a tavolino, contando i voti uno per uno, avvicinando i delegati singolarmente e in gran segreto. Nel suo genere un’operazioni magistrale.
Un disegno che ai più navigati ha richiamato alla mente la storica bocciatura del segretario Occhetto al congresso nazionale dell’ex-Pci, in anni ormai lontani.
Dunque si è trattato fondamentalmente di un’operazione politica: una lezione alla sinistra interna, che perde un caposaldo dominato a lungo dai sabattiniani: un voto contro Mora ma per colpire Maurizio Landini, candidato da Susanna Camusso quale nuovo segretario generale del sindacato nazionale: il Landini che accarezza il progetto di un nuovo soggetto della sinistra. E non a caso Mora aveva basato la sua proposta politica al congresso reggiano, per una Cgil «soggetto politico della sinistra». Per dirla in termini chiari, una sorta di sindacato partito, destinato a entrare in competizione diretta sullo stesso terreno del Partito Democratico.
E il vero nodo è proprio questo: il particolare con l’universale, il locale con lo scontro nazionale, è proprio questo. C’è, nella ridda di interpretazioni anche avventate che si accavallano in queste ore, con promesse di rivalse, vendete e regolamenti di conti, chi attribuisce l’esecuzione politica di Mora ai «renziani». Più prosaicamente, altri osservatori interni ritengono che il Pd non possa permettersi una Cgil non neutrale, ma soggetto politico pronto a scendere in campo, alla vigilia delle elezioni amministrative. E si sa che il partito di via Roma ha sempre fatto sentire il suo peso nelle urne comunali.
Se le cose stanno così, come pare, Guido Mora nel momento in cui ha lanciato la proposta di una Cgil «soggetto politico della sinistra», avrebbe messo volontariamente la testa nel ceppo del carnefice. Ma non per sè, bensì per conto di Landiniedella vecchia guardia sabattiniana in una battaglia politica senza quartiere per il controllo del sindacato. Resta il fatto che quanto accaduto al congresso del teatro Ariosto, è l’ennesimo segno della fine di un’epoca.
L’ultimo tassello che mancava – dopo il collasso delle grandi cooperative e l’implosione elettorale del Pd – al declino forse irreversibile della sinistra, in Italia e a Reggio.
Gianni Casali
28/10/2018 alle 14:55
Un altro caso Prodi!