19/9/2018 – Non un’alluvione, ma una marea salita lentamente fino a sommergere tutto. Così la ‘ndrangheta ha attuato la “conquista dal basso” di Brescello, il paese reso celebre dai personaggi di Guareschi e il cui Comune, sciolto per mafia nel 2016 e poi commissariato, è ora governato da una nuova giunta di fatto in continuità con quelle dell’ex sindaco Marcello Coffrini e del padre Ermes, per decenni deus ex machina del Pci e successori, sino al Pd.
Fu proprio Marcello con la sua dichiarazione su Francesco Grande Aracri, condannato per mafia residente Brescello (“E’ gentilissimo, molto tranquillo e ha sempre vissuto a basso livello”) a innescare il tracollo dell’amministrazione comunale di cui aveva ereditato il timone dal padre. E come la ndrangheta sia arrivata a condizionare l’amministrazione, di pari passo con il dominio politico dei Coffrini (il cui studio ha difeso Francesco Grande Aracri, e ha rappresentato la famiglia cutrese davanti al Tar di Catanzaro) lo hanno raccontato le relazioni della commissione di accesso e del Prefetto di Reggio Emilia.
E oggi, a sviscerare nei dettagli come la ‘ndrangheta si sia sostituita a Peppone e Don Camillo e fino a che punto abbia avuto la strada spianata da cittadini e istituzioni è una ricerca dell’Osservatorio sulla Criminalità organizzata dell’università di Milano, diretto da Nando Dalla Chiesa, commissionata da Cgil, Anpi e Auser di Reggio Emilia.
Una sintesi è stata presentata stamattina nella sede reggiana della Camera del Lavoro: il testo integrale sarà pronto fra alcune settimane.
La ricerca è avvenuta incrociando i materiali della commissione di accesso, gli articoli e le inchieste dei media e numerose interviste sul campo a brescello e in Lombardia. Ma – hanno avvertito gli autori – non sempre a Brescello si è trovata collaborazione. Insomma, c’è ancora oggi chi non vuole parlare, per paura o per contiguità.
Non a caso il segretario generale della Cgil Guido Mora, introducendo l’incontro nella sala Di Vittorio della Cgil di Reggio, ha spiegato che la decisione di commissionare la ricerca ha preso le mosse anche “dalle difficoltà che le nostre organizzazioni, anche nel rapporto con gli attivisti presenti sul territorio di Brescello, hanno da subito incontrato nell’incidere dal punto di vista sociale sul tema delle infiltrazioni”. Con “il momento di studio e approfondimento di oggi- aggiunge il segretario- vogliamo gettare le basi per una nuova fase di impegno e tornare a Brescello per superare con la comunità quel clima di negazione e autoassoluzione che altrimenti continuera’ a inquinare la società”.
Un punto confermato da Dalla Chiesa: “Quando le organizzazioni mafiose arrivano in un territorio tendono ad instaurare un modello mafioso. E se ci riescono e’ poi molto difficile uscirne”, dice il professore.
Passando ai risultati del rapporto di studio, il primo dato emerso e’ che- in linea con quanto emerso anche dalle requisitorie dei Pm del processo Aemilia- dopo gli omicidi legati alle faide del 1992 la ‘ndrangheta in Emilia ha mostrato quasi sempre solo il suo “volto buono”. Il rapporto parla di un inserimento “omeopatico”, a “piccole dosi, in modo indolore e non aggressivo”. Una trappola sottile a cui i cittadini di Brescello non sono sfuggiti anche perche’ “reputare gli affiliati alla ‘ndrangheta persone normali” puo’ “giustificare, di fronte agli altri e addirittura a se stessi, i propri atteggiamenti di tolleranza, di indifferenza, di accettazione e di convenienza rispetto ai soggetti mafiosi”.
Don Evandro Gherardi porta il Cristo “parlante” in processione sul Po. Accanto a lui l’ex sindaco Marcello Coffrini
Insomma una sorta di alibi per non occuparsi del problema e per evitare eventuali pericoli che potrebbero sorgere, o per usufruire dei vantaggi offerti dall’organizzazione. A cio’ si aggiunge che gli ‘ndranghetisti residenti sono riusciti talvolta a porsi addirittura come “benefattori” della comunita’, come nel 2002 quando fornirono sabbia gratis in occasione dell’alluvione del paese.
Infine di fronte al “trauma” dello scioglimento del Consiglio comunale, si legge ancora nella ricerca, i brescellesi si sono divisi tra i sostenitori della tesi “del sacrificio”, e chi vi ha visto un’occasione di cambiamento e di rottura rispetto al passato.
Per i primi, largamente maggioritari, il paese di Brescello sarebbe stato un capro espiatorio per distogliere l’attenzione dal caso di Reggio Emilia, ancora stordita dagli arresti di ‘ndrangheta del gennaio 2015.
“Chi sostiene questa tesi- osserva il rapporto dell’università di Milano- considera ingiusto e ingiustificato lo scioglimento, minimizza le esternazioni dell’ex sindaco Marcello Coffrini su Francesco Grande Aracri e biasima lo scioglimento in quanto infangherebbe la reputazione del paese creando un danno alla sua vocazione turistica”.
Senza contare che “molte difficoltà a interloquire con le agenzie educative come la scuola e la parrocchia si sono registrate, non solo prima ma anche dopo che Brescello divenisse un caso nazionale”.
Significativa l’analisi sulla “impreparazione e l’alto livello vulnerabilità dei Consigli comunali che hanno gestito il paese. Vulnerabilità testimoniata dalle assunzioni in Comune di “soggetti controindicati” e legati ad esponenti della cosca; dalla “evidente sottovalutazione della deliocatezza degli uffici tecnici”; dalla variante al Prg di una zona ex industriale che ha prodotto un vantaggio economico per una società amministrata dai parenti di un capo cosca. E ancora dall’assegnazione della casa ex Fer a “persona con pregresso criminoso nel contesto dei reati spia in materia di criminalità organizzata”, per non dire dei lavori effettuati nella casa dell’ultimo sindaco da parte di una ditta interdetta prima e dopo l’affidamento dei lavori. Episodio stigmatizzato nel decreto di scioglimento del consiglio comunale di Brescello: “Non è concepibile che un Avvocato, assessore all’Urbanistica di un comune di appena 5 mila 500 abitanti non sia al corrente della contiguità di una ditta locale”.
Non ultimo, bisogna aggiungere la vulnerabilità del sistema politico con ” la presenza di soggetti con legami o presunti collegamenti con la ndrangheta in comitati e liste elettorali” sino a entrare “direttamente o indirettamente” in consiglio comunale. Inserimenti “che riguardano sia le forze di maggioranza sia quelle di minoranza”.
MA E’ ANCORA VIETATO NOMINARE IL PD
Nella sforzo senz’altro lodevole di dare una lettura sistematica e inedita del caso Brescello come cartina al tornasole della penetrazione della ndrangheta al Nord, la ricerca e lo stesso Dalla Chiesa sono caduti in un errore di omissione che fa trasecolare: non hanno mai pronunciato una volta, che sia una, il nome del Pd, o del Pci suoi successori. Vale a dire il partito che ha dominato nel corpo elettorale, nelle Giunte locali, nei consigli comunali di Brescello, il partito in mano alla famiglia Coffrini e che ha spianato la strada alle infiltrazioni nelle amministrazioni e nella società. Persino la vicenda di Catia Silva, minacciata in pubblico dal figlio di Francesco Grande Aracri, è appena accennata, e tacendo che Silva era una consigliera di opposizione della Lega Nord e aveva subito un ostracismo indecente da parte della maggioranza Pd. Ancora peggiore di quello subito a Reggio Emilia (ma chi se ne ricorda più?) da Enrico Bini.
Catia Silva parla alla manifestazione antimafia della Lega a Brescello. Accanto a lei Gianluca Vinci
Certo, riconoscere e documentare la responsabilità del Pci-Pd non è un boccone facile da mandare giù, però la reticenza è peggiore. La stessa reticenza che spiega come mai – come ha lamentato con lucidità l’ex commissario Giacomo Di Matteo – sia mancata nel corso del commissariamento la pure necessaria azione parallela delle forze politiche e delle istituzioni, come la prefettura, per incidere con un’operazione culturale e una comunicazione adeguata negli orientamenti della popolazione brescellese.
Ancora una volta, il Pd non deve essere neppure nominato. Ma così girano le cose a Reggio, e a quanto pare anche al Cross di Dalla Chiesa. E che questa faccia bene all’antimafia, è tutto da dimostrare.
(Pierluigi Ghiggini)
Poli
21/09/2018 alle 21:48
I Coffrini ? Sembrano cosi’ per bene.
Gabry
22/09/2018 alle 09:46
Già mi suona fuori tempo massimo, che si venga ancora a pontificare su una questione sulla quale è già stato detto di tutto e di più, se non per eviscerarla dal ruolo fondante del Pd. Un’ autopsia rapida che ha il solo scopo di cavar via il marcio della politica, poi si richiude il tutto con toni trionfalistici, nel segno della ” insaputa contezza” tanto cara all’ ex ministro Delrio”. Un copione logoro e patetico. Riscrivere la storia per assolvere il Pd, con tutto quello che fortunatamente viaggia indipendentemente in rete, è come tappare la falla del Titanic con le mani. Questa sorta di “vangelo secondo il PD” resterà sempre un’ opera apocrifa.
Fausto Poli
22/09/2018 alle 13:54
Io penso che il Partito Democratico abbia le Sue enormi colpe. Quando a Reggio Emilia, la Democrazia Cristiana, fece il famoso gemellaggio con Cutro, per mano del Sindaco Ugo Benassi, gia’ era nell’aria che Reggio Emilia non sarebbe stata piu’ tranquilla. Da qui le tappe per la proliferazione malavitosa (riciclo di denaro sporco, costruzione di innumerevoli appartanìmenti con soldi riciclati provento di spaccio di droga ed estorsioni, poi la mano con la manica larga, del partito demoocratico, prima democrazia cristiana, che ha avuto l’apice con la giunta Del Rio. Certamente anche il crollo del polnte Morandi ha avuto come benedizione lo stesso Del Rio. Percio’sia a Reggio Emilia che in Paesi insospettabili, la collusione ha avuto vita facile.