di Pierluigi Ghiggini
17/9/2018 – Sono passati più di sessant’anni dalla pubblicazione de “I miei sette figli” di Renato Nicolai, un libro voluto da Togliatti e Giorgio Amendola per fissare con una vulgata per così dire inscalfibile la tragedia dei sette fratelli Cervi. Libro venduto in milioni di copie e che ha forgiato non solo la coscienza della mondo comunista italiano, ma anche la stessa visione della Resistenza e della guerra civile.
Nondimeno da decenni è in corso una revisione critica da parte di studiosi di varia estrazione che ha messo in luce sottovalutazioni, silenzi e parzialità nel lavoro di Nicolai (revisionato da Italo Calvino) di portata tale da rendere ormai indifferibile un lavoro ri-costruzione del martirio dei Cervi e di Quarto Camurri, del contesto, degli eventi e delle ragioni che portarono all’epoca il comando militare del Partito comunista a decretare un drammatico isolamento della famiglia di Praticello di Gattatico, e successivamente la condanna a morte di Dante Castellucci, in realtà il leader del gruppo con Aldo Cervi, poi diventato il comandante partigiano Facio.
Il Castellucci che aveva progettato un tentativo di evasione dei sette fratelli e che nella prima metà del 1944 voleva fare giustizia di un non meglio identificato «traditore».
La ricostruzione dei Pisanò, che mette in luce il ruolo del cospiratore “doppiogiochista” Riccardo Cocconi, è ampiamente nota. Inoltre la pubblicazione – ormai 14 anni fa – dei verbali degli interrogatori dei Cervi, ritrovati da Tadolini e oggi riversati all’Archivio di Stato, ha contribuito a gettare nuova luce su misteri e interrogativi ancora aperti.
Ma un altro filone di ricerca, ormai piuttosto consistente, riguarda la storia per certi versi incredibile di Dante Castellucci, il Calabrese, all’interno della banda Cervi, e il legame tra l’esecuzione sette fratelli e la fucilazione del comandante partigiano comunista Castellucci-Facio, avvenuta otto mesi più tardi nell’alta lunigiana, su ordine dei suoi stessi compagni comandanti partigiani: una sorta di esecuzione differita della condanna decisa nel gennaio 1944 dal comando militare del Pci di Reggio Emilia.
Agli studi, cominciati nel 1989-90 con l’inchiesta di Pierluigi Ghiggini su “Lunigiana La Sera” e culminati con il bel libro “Il piombo e l’argento” di Spartaco Capogreco (2007), oggi si aggiunge un nuovo tassello verso la verità un saggio dello studioso Massimo Salsi di Parma, fra i principali studiosi di Facio.
Il saggio, denso e scritto bene, si intitola “Le due Fughe – l’indicibile storia di Dante Castellucci a Reggio Emilia”: è on line su Amazon Libri a soli 2,99 euro.
Max Salsi sostiene in modo convincente una tesi clamorosa: il tentativo di liberare i fratelli Cervi dalle carceri di San Tomaso a Reggio avvenne per davvero, ma fallì a causa o di una “soffiata” o forse da alcune parole di troppo pronunciate sventatamente dalla guardia carceraria De Paolis (che poi diventerà partigiano in montagna). Secondo la vulgata “ufficiale” Dante Castellucci fuggito la notte di Natale in modo rocambolesco dalla Cittadella di Parma, poche ore di essere fucilato dai tedeschi, avrebbe tentato di organizzare l’assalto a S. Tomaso, ma il blitz fallì a causa del delitto Onfiani (il segretario comunale di Bagnolo caduto in un agguato dei Gap) che spinse i fascisti alla terribile rappresaglia sui Cervi.
Lo studioso Massimo Salsi, autore del saggio “Le due fughe – l’indicibile storia di Dante castellucci a Reggio Emilia”
Secondo Salsi invece, le cose andarono ben diversamente: Castellucci (che si faceva passare per il francese degaullista Jean Marie Canonne) e altri stranieri della banda Cervi riuscirono a fuggire durante il trasferimento a Parma, subito dopo l’arresto avvenuto durante l’assalto fascista ai Campi Rossi. Tornato a a Campegine, insieme a Otello Sarzi, al cognato di Alcide Cervi, Massimo, al russo Victor Pogorov e un irlandese e due sudafricani progetta e organizza nei minimi dettagli la fuga dei Cervi dal carcere. Secondo Salsi l’assalto avviene davvero, a differenza di quanto si è voluto far credere sino ad oggi. O quanto meno avviene un molto concreto «principio di attuazione». Castellucci e altri due partigiani in divisa da carabinieri sono già entrati nel carcere quando inatteso scatta l’allarme e vengono arrestati. Gli altri , rimasti all’esterno – Sarzi, Pigorov e Doride Querenti – ricevono l’ordine di ripiegamento dal comando miliare.
Il Calabrese viene così catturato una seconda volta, e questa volta davvero entra in in catene nella Cittadella a Parma. E’ la vigilia di Natale del 1943: nella notte fucilazione riesce a fuggire con la complicità di prigionieri inglesi e sovietici.
La sera di Natale si affaccia alla porta della casa dei Campi Rossi, dove ci sono Genoeffa Cocconi, moglie del patriarca Alcide, le mogli e i figli di sette fratelli: solo tre giorni dopo quelle mogli saranno vedove.
Non sappiamo a questo punto se il calabrese tentò davvero un secondo blitz, sfumato a causa del delitto di Bagnolo ordito dai Gap. E’ chiaro invece che un blitz era avvenuto prima, che fallì per un soffio, o meglio “una soffiata”, che fu organizzato da Castellucci e Sarzi e che il calabrese – di fatto il comandante militare della piccola brigata internazionale di casa Cervi, fu arrestato due volte dai fascisti, per due volte riuscì a fuggire. Da qui il titolo del saggio, appunto “Le due fughe” . La ricostruzione è suffragata dall’attenta rilettura di documenti rilevanti per il caso Cervi: la narrazione di Tarasov, le interviste di Otello Sarzi, l’intervista a Vittorio Marini, la testimonianza di Francesco Donelli, la testimonianza di Luigi Porcari all’epoca dei fatti segretario provinciale del Pci di Parma – l’uomo che sospende l’esecuzione di Facio e lo manda a combattere in Lunigiana – la citazione di una testimonianza inedita di Renzo Querenti, figlio di Doride.
A conti fatti, lo scritto di Salsi apre, se possibile, nuovi problemi: viene da chiedersi come mai la doppia fuga di Castellucci fu taciuta da Nicolai, in una sorta di gioco di specchi volto a far credere che il tentativo di far fuggire i Cervi, pur, progettato, non era avvenuto. La risposta di Salsi è decisa: la figura e la storia di Dante Castellucci dovevano restare nell’ombra: un eroe di dimensioni epiche destinato all’oblio.
Inoltre la scoperta della doppia fuga e del blitz a S. Tomaso prima di Natale, rende ancora più sconcertate la famosa condanna a morte decisa dal Pci reggiano a carico di Facio: condanna di cui fu incaricato lo stesso Otello Sarzi, il quale però sapeva bene come stavano le cose, non la eseguì e anzi favorì la fuga di Dante verso Parma. Fu ammazzato comunque ad Adelano di Zeri, otto mesi più tardi, in nome del Partito Comunista.
cesare cattani
29/10/2018 alle 15:50
Peccato che in 33 anni di stretta frequentazione, ricerche assieme, registrazioni, Otello Sarzi non abbia mai parlato ne di un primo ne di un secondo tentativo attuati. Il primo fu pensato “con quelli di Parma, con Gorreri” per il 31 dicembre 1943, ma non fu attuato perché i Cervi furono fucilati prima. Per inciso: uno dei due che doveva entrare in carcere travestito da carabiniere era Dante Castellucci. Fra quelli che disarmarono la caserma nel mantovano per prendere le divise c’erano James Cervi, Gino Saccani, Facio, Otello Sarzi, Terenzio Mori. Le testimonianze provengono da James Cervi, Olga Federici, vedova di Terenzio Mori “Flavio” (per inciso uno dei 9 del Lago Santo), Otello Sarzi, Alfredo Gianolio. Gianolio riporta la testimonianza di Francesco Donelli “Red”, di S. Ilario, dal quale si recò nei primissimi giorni del ’44 Facio per “eliminare” la guardia carceraria De Paolis che si era rifugiato da lui. Secondo Facio De Paolis aveva rivelato il piano a un detenuto di nome “Cipolla” che aveva cantato mandando così a monte il piano. (S.Ilario dall’ Unità d’Italia alla Liberazione”, Comune. 1998, pagg. 381,383. Le altre testimonianze registrate sono nel mio archivio. Facio evase dalla cittadella di Parma la notte tra il 24 e il 25 dicembre 1943. Il 28 Otello e Facio tornarono a Campegine (Caprara, al Tagliavino) dopo avere disarmato la caserma nel mantovano. Qui appresero da Massimino Cervi dell’ avvenuta fucilazione. Intorno al 4 di gennaio fu decretata la condanna a morte dal PCI reggiano e Facio andò da Porcari a Parma. Tra il 28 e il 4 Otello e Facio si recarono a Mandrio di Correggio dove Morgotti portò l’ordine di eliminare Facio a casa dei Gelosini. Il 26 dicembre Facio era a Casa Cervi dove lo vide Maria. Il giorno dopo era al Tagliavino, dove fu curato da un Saccani, farmacista a Parma, ospite sfollato di Massimino. Testimonianze di James e Walter Cervi. Tra il 28 e il 4 a cosa sarebbe servito attaccare S. Tomaso ormai vuoto dei Cervi?