di Pierluigi Ghiggini
17/9/2017 – La vicenda del partigiano Dante Castellucci “Facio”, con tutti i suoi misteri, con ciò che è stato scritto e invece è ancora taciuto intorno alla figura dell’eroe della battaglia del Lago Santo parmense – il più importante partigiano figlio del Sud che combattè la Resistenza al Nord – sarà rievocata a Santo Stefano Magra sabato 22 settembre nell’ambito della prima biennale che il comune della Val di Magra dedica alla Guerra di liberazione da mercoledì 19 a domenica 23.
Sabato a Villa Pratola, alle ore 16, conferenza sul libro Il Piombo e L’Argento di Carlo Spartaco Capogreco, lo scrittore e storico cosentino autore della più importante biografia su Facio.
Sarà presente l’autore. Nella stessa giornata sarà scoperta una targa commemorativa nella Biblioteca civica di Santo Stefano.
Interverrà anche Marco Branda, il sindaco di Sant’Agata d’Esaro (Cosenza) , il paese natale di Castellucci che dieci anni fa ha dedicato una piazza al partigiano. L’amministrazione guidata da Branda ha riaperto la pratica per il riconoscimento della medaglia d’oro al valor militare.
Dante Castellucci, dopo essere stato un uomo di punta della banda Cervi – di fatto il comandante del gruppo dei partigiani stranieri rifugiati ai Campi Rossi – e poi essere arrestato con i sette fratelli, diventa col nome di battaglia Facio uno dei combattenti più prestigiosi e valorosi della Resistenza in Lunigiana, sino a quando il 21 luglio 1944 non viene fucilato su ordine del Partito Comunista (lui stesso era comunista) dopo un processo farsa su cui non è mai stata fatta chiarezza sino in fondo.
Un delitto politico in piena regola, i cui intrecci furono riportati alla luce nei primi anni Novanta con l’inchiesta storica del mensile Lunigiana La Sera, che mise a nudo la vicenda del principale avversario e accusatore di Facio, Antonio Cabrelli (imprigionato in Francia come spia dell’Ovra) e pubblicò fra l’altro un’ intervista in cui Otello Sarzi rivelò che a condannare a morte Dante Castellucci era stato il comando militare del Pci di Reggio Emilia, quasi un mese dopo la fucilazione dei Cervi. circostanza confermata dai documenti consegnati dal comandante partigiano ed ex sindaco di Sarzana Paolino Ranieri.
Laura Seghettini, la fidanzata di Facio ora deceduta, davanti alla tomba di Dante Castellucci nel cimitero di Pontremoli. A sinistra Mafalda Castellucci, sorella di Dante
Ma in definitiva è stato il libro di Capogreco a mettere in moto un movimento nazionale, con due petizioni, di cui una firmata da una quarantina di storici italiani, per la medaglia d’oro e la correzione della motivazione della medaglia d’argento conferita nei primi anni Sessanta secondo cui Facio era caduto in combattimento, e non invece ucciso dai suoi stessi compagni in quella che resta ancora oggi una delle vicende più oscure della Resistenza italiana: un falso storico evidente, al quale tuttavia lo Stato non ha mai messo rimedio, nonostante un’esplicita richiesta al presidente Napolitano da parte dell’allora presidente della Provincia di Spezia, Fiasella.
In questi anni studi e ricerche intorno a un cold case tra i più appassionanti della Resistenza, hanno fatto non pochi passi avanti dal ritrovamento dei verbali degli interrogatori dei fratelli Cervi e di Quarto Camurri, sino al libro “L’ultima notte dei fratelli Cervi”, romanzo storico di Dario Fertilio nel quale la fucilazione di Facio viene messa esplicitamente in relazione alla condanna a morte emessa dal Pci a Reggio contro Castellucci; e passando per le ricostruzioni sul ruolo controverso di Riccardo Cocconi, cospiratore e comandante in montagna il quale sino a un certo punto aveva mantenuto una doppia identità, fascista e comunista.
Proprio a questo movimento va ascritta la recente pubblicazione di un saggio di Massimo Salsi, studioso fra i più impegnati nella scavo intorno alla figura di Facio.
Il saggio, breve ma denso e scritto bene, si intitola “Le due Fughe – l’indicibile storia di Dante Castellucci a Reggio Emilia” ed è disponibile in una edizione on line su Amazon Libri al prezzo di 2,99 euro.
Appoggiandosi a fonti storiche solide, e alla testimonianza identia del figlio di un testimone oculare, Salsi sostiene una tesi clamorosa: a differenza di quanto “codificato” ne “I miei sette figli” di Nicolai (la storia dei sette fratelli Cervi pubblicata per la prima volta nel 1955, su iniziativa del Pci, e poi ristampata in milioni di copie), il ricercatore parmigiano arriva alla conclusione che il tentativo di far evadere i Cervi dal carcere di San Tomaso fu effettivamente messo in atto da Castellucci e Otello Sarzi insieme a un manipolo di coraggiosi alla vigilia del Natale del 1943. Il calabrese e altri due partigiani, in divisa da carabinieri, erano anche riusciti a entrare nel carcere, ma il blitz fallì a quanto pare per una soffiata che fece scattare l’allarme generale. Il comando militare del partito, presente sul posto, diede l’ordine di sganciamento.
Una vicenda lasciata volutamente in ombra, secondo Salsi, per sminuire il ruolo di Castellucci nell’affare Cervi e di conseguenza, aggiungiamo noi, per rendere meno imbarazzanti le responsabilità del triangolo sportivo” del Pci reggiano.
Salsi, intanto, promette un seguito di questo “volume primo”, con un nuovo saggio su Castellucci.