DI PIERLUIGI GHIGGINI
7/2/2017 – Il Pd non ci sta a fare il convitato di pietra del processo Aemilia, sbatte la porta e se ne va. E’ accaduto ieri in consiglio comunale a Reggio Emilia, dove si è assistito a uno scontro senza precedenti tra democrat e azzurri. Il Pd, in testa il condottiero Capelli hanno abbandonato l’aula, bloccando i lavori del consiglio, prima di discutere la mozione del capogruppo azzurro Giuseppe Pagliani sulla difesa del Parmigiano Reggiano dalle sirene che vorrebbero l’unificazione col Grana Padano. Mozione che il Pd avrebbe dovuto votare a favore, per dar adito a sospetti.
«Quando si getta fango sulle istituzioni, non è possibile alcun tipo di confronto. Non ci sono le condizioni per procedere col dibattito». Così ha tuonato Andrea Capelli, annunciando una riedizione dell?Aventino. Venuto meno il numero legale, i lavori sono stati sospesi e tutti a casa.
Perchè un gesto così clamoroso? Il Pd non accetta le accuse formulate tra sabato e domenica non solo da Pagliani, ma anche da pezzi da novanta di Forza Italia come Gasparri e il coordinatore regionale Palmizio, di aver funszionato con le proprie amministazioni come un cavallo di Tria che ha fatto infiltrare Reggio dalle mafie: “Il processo Amilia dovrebbe indagare su di voi”, aveva rispoto Pagliani al segretario provinciale Costa. Accusa per la verità sempre latente, ma mai pronunciata con tanta chiarezza come oggi.
Il fatto è che al Pd viene l’orticaria quando si ricordano certe cose parecchio scomode: i rapporti fraterni con i costruttori cutresi senza distinzione, la satrapia dei Coffrini a Brescello (comune sciolto per mafia), il viaggio elettorale di Delrio a Cutro (quali mani strinse l’ex sindaco e oggi ministro?) e soprattutto la smemoratezza del sindaco Luca Vecchi, che si era dimenticato di avvertire il consiglio comunale che lui e sua moglie, la dirigente Maria Sergio (ora a Modena) avevano comprato casa da un imprenditore poi imputato nel processo Aemilia.
Ma dopo i fatti della settimana scorsa, era evidente che Forza Italia non sarebbe stata ferma. Pagliani, assolto in primo grado nel rito abbreviato del processo Aemilia e prima ancora scagiunato dal riesame, infine scagionato dal Gup che ha archiviato la querela di Sonia Masini nei suoi confronti, si è ritrovato nel tritacarne di Aemilia con il pm che di fatto lo ha rimesso sono processo pubblico (ma senza chelui sia imputato,quindi senza la possibilità di difendersi) mandando in onda in aula le intercettazioni relative alla cena degli Antichi Sapori. Tra queste, quella dell’avvocato Sarzi amadè che il giorno dopo la cena non ha avuto vergogna a chiedere “una mano” a Pagliani per confezionare un dossier contro Enrico Eini “che vuole diventare sindaco di Reggio”. Dossier che fortunatamente non ha mai visto la luce, così assicura Sarzi Amadè mentre è continuata la guerra sotterranea contro Bini da parte del suo stesso partito. A seguito di quella udienza kafkiana, il segretario provinciale del Pd Andrea Costa ha spedito ai media una dichiarazione al vetriolo, affermando che Pagliani – nonostante sia assolto con formula piena -“non può restare nelle istituzioni”.
Da qui la reazione sdegnata degli azzurri, che mai come ora hanno messo alla sbarra il Pd reggiano per la sua leggerezza nei confronti degli ndranghetisti. A ciò si è aggiunto Pierluigi Saccardi, tornato a promettere che sarebbe uscito dall’aula ogni qual volta avrebbe preso la parola Pagliani.
Ecco il contesto in cui il Pd, pestando i piedi e sbattendo la porta, ha sfasciato la seduta di Sala del Tricolore.
. «Gli esponenti politici di Forza Italia, non solo Pagliani, ma anche Palmizio, Gasparri e Nicolini hanno usato il tema della mafia per gettare fango sulle istituzioni, secondo noi si è passato il limite» ha spiegato Capelli a margine del Consiglio, come riferisce Vanina Cocchi sulla Voce di Reggio in edicola oggi. «Quando si insinua il dubbio che le amministrazioni locali sono colluse con la mafia solo perché a guida Pd, si è valicato il limite di democrazia e di rispetto reciproco. E’ un’accusa inaccettabile che rigettiamo in toto e non siamo disponibili al dialogo né sul Parmigiano né su altro».
A stretto giro di posta è arrivata la replica degli azzurri Giuseppe Pagliani e Nicolas Caccavo: «Abbiamo assistito all’ennesima pagliacciata del Pd in sala del Tricolore che per motivi sfarfugliati ed incompresi usciti dalla bocca del capogruppo Andrea Capelli ha abbandonato l’aula, in quanto ha ritenuto gravi attacchi alle istituzioni reggiane senza specificare quali e quanti provenienti dalle fila di Forza Italia. Neanche attraverso uno sforzo di fantasia inaudito si può comprendere un motivo accettabile di abbandono dell’aula».
I due azzurri proseguono: «In realtà noi sappiamo bene perché i consiglieri del Pd se ne sono andati – scrivono Pagliani e Caccavo -. Non hanno espresso in questi giorni una sola parola per giustificare tre vicende che li vedono completamente coinvolti». Il riferimento, appunto, è alla casa del sindaco, alla vicenda di Brescello e pure ai viaggi di Delrio a Cutro: <Come mai nessuno ha speso una sola parola sui pellegrinaggi elettorali a Cutro dell’ex sindaco di Reggio Graziano Delrio oggi ministro della Repubblica, il quale accompagnò una delegazione di consiglieri dalla prefetto De Miro durante il periodo in cui furono emesse alcune interdittive alle imprese cutresi>.
Su quanto accaduto in sala del Tricolore intervengono anche i 5 Stelle, che pure aveva chiesto le dimissioni di Pagliani, criticando i democrat. «Il Pd – scrivono – invece di preoccuparsi delle infiltrazioni mafiose che stanno devastando Reggio Emilia e che si sono verificate indisturbate durante i decenni in cui ha governato la città, abbandona il Consiglio comunale rifiutando di affrontare gli argomenti previsti, sulla base di una querelle ‘privata’ con Forza Italia».
giuseppe
07/02/2017 alle 10:54
Per favore, anziché fare sceneggiate, affrontiamo seriamente il problema della delinquenza nella nostra città, che sta acquisendo sempre più i problemi( furti e violenze) delle grandi metropoli.