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Aemilia, il pentito Cortese inguaia il costruttore Pasquale Brescia
“Riciclava in case e terreni i soldi della cosca”

14/2/2017 – Anche il processo Aemilia ha “festeggiato” San Valentino.. Il pentito n. 1 della ‘ndrangheta Angelo Salvatore Cortese, che oggi ha continuato la deposizione iniziata nell’udienza di giovedì scorso, ha fatto outing e ha rivelato che, dopo 25 di fatti di sangue, rapine e traffici di droga tra l’Emilia e la Calabria,  trovò la donna giusta: ciò lo spinse a tagliare i ponti col passato, e a diventare collaboratore di giustizia. «A 40 anni mi sono innamorato e volevo uscire da quel fango», ha detto Cortese rispondendo alle domande degli avvocati della difesa nell’aula bunker del tribunale di Reggio Emilia.

Il pentito Cortese testimonia protetto da un paravento

Il pentito Cortese testimonia protetto da un paravento

Ma  a spingerlo verso il grande passo è stata l’aria irrespirabile delle cosche, in clima di sospetto permanente alimentato da delazioni (“tragedie” nel gergo delle ndrine) e alleanze molto variabili  (“false politiche”).
«In  25 anni ne ho viste di tutti i colori.  e avendo vissuto la ‘ndrangheta sulla mia pelle ho deciso di uscire da quel fango. Ho trovato una compagna, mi sono innamorato». E ha aggiunto: «In quel mondo è  normale che nessuno si fidi dell’altro, e se pensano che sei passato con qualche rivale, ti uccidono in amicizia, invitandoti a mangiare il pesce o il capretto».
Nella sua conversione c’entra anche – ha spiegato Cortese – il trattamento riservatogli dal clan Grande Aracri, che lo avrebbe abbandonato dal punto di vista economico dopo il suo arresto («Facevo la fame in carcere») nonostante il suo un ruolo di vertice nell’organizzazione,: di fatto il braccio destro del boss Nicolino, al punto da rappresentarlo al matrimonio del figlio del patriarca di San Luca Antonio Pelle. «Tuttavia – ha aggiunto il pentito – verso Nicolino Grande Aracri non nutro alcun rancore».
Ma non è stata un’udienza solo all’insegna dell’amarcord. Cortese, commentando le fotografie sottoposte dal p.m. ha messo nei guai Pasquale Brescia, l’imprenditore titolare del ristorante Antichi Sapori di villa Gaida teatro della cena del 21 marzo 2012 che mise in moto l’inchiesta Aemilia.
«Brescia nella sua posizione di imprenditore riciclava i soldi della ndrangheta nell’edilizia e comprando terreni. Faceva parte della cosca, ma non era affiliato: può capitare. E faceva affari come Valerio e i Sarcone. Il suo ristorante era un punto di ritrovo per gli associati, anche per questioni operative. Un modo per discutere senza dare nell’occhio a pranzo o a cena».
Cortese ha detto anche di non sapere niente di Antonio Gualtieri (ex vicepresidente dell’Aier, costruttore già condannato nel rito abbreviato di Aemilia) , mentre ha riconosciuto in fotografia Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo, definendolo come un costruttore vicino ai Grande Aracri, ma senza saper dire «niente di preciso» su di lui.
Non ha riconosciuto in foto neanche altri imputati  come Antonio Muto classe 1955 nè Alfredo amato (di cui però ha sentito parlare dal fratello Francesco), o Vincenzo Mancuso.
Prima del pentito erano andati al tavolo dei testimoni alcuni ex agenti della Squadra Mobile della Questura di Reggio che indagarono sul rogo della Bmw dell’imprenditore Michele Colacino avvenuto in via Cecati a Reggio  la sera del 14 novembre del 2011.
Trai testimoni anche Felice Caiazzo imputato per favoreggiamento nel processo, che si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Dalle testimonianze è emerso che a mettere sulla buona strada gli investigatori fu una fonte confidenzale, che indicò quale responsabile dell’attentato Giuseppe Villirillo, padre di Romolo, in contrasto con Colacino per questioni di soldi.

 

 

 

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