di Dario Caselli
12/1/2016 – La crisi di diverse banche ordinarie, in particolare Mps, ha fatto passare sotto silenzio l’ampia trasformazione in atto nel mondo delle BCC (banche di credito cooperativo). La vicenda dell’assorbimento del Banco Emiliano di Reggio Emilia da parte di Emil Banca di Bologna (ma col soccorso “bianco” che acquista a prezzo di saldo 200 milioni di sofferenze), appartiene a pieno titolo a questo scenario.
E’ vero che spessissimo sono piccole , ma sono tante e qualche numero aiuta a capire di cosa stiamo parlando. Si tratta di 337 banche, con 4380 sportelli, con circa 1.240.000 soci, 36. 000 dipendenti, 20 miliardi di patrimonio, 158 miliardi di raccolta, comprese le obbligazioni, 134 miliardi circa di impieghi, che rappresentano il 22,5% dei crediti alle imprese artigiane, 8,5% alle famiglie consumatrici, il 18% alle famiglie produttrici, 8,5% alle società non finanziarie e il 13% dei crediti al terzo settore.
La nuova legge spinge verso processi aggregativi, dove le più forti si facciano carico delle più deboli e verso la creazione di un gruppo nazionale, insomma un modello simile al Credite Agricole francese.
I problemi sono subito sorti perché la legge consente alle più grandi, come quella di Roma, o a un paio di toscane, come Chianti banca, di chiamarsi fuori, ma soprattutto perché nell’Italia dei campanili, non è possibile costituire un solo gruppo attorno ad Iccrea, visto che le rurali trentine hanno dato vita ad un secondo polo, spingendo così verso le dimissioni il presidente di Federasse, Azzi.
Ora, meglio due gruppi. Piuttosto che la frammentazione attuale, resta da vedere quale sia il reale stato dei crediti di banche che finanziano settori non internazionalizzati che risentono fortemente della stagnazione dei consumi interni o aziende del terzo settore, legate agli appalti del sistema pubblico nazionale e locale, che paga con grandissimo ritardo, nonostante le promesse dell’ex premier Renzi.
A lume di buon senso, lo stato di salute della maggior parte di questi istituti non è buono, come testimoniano anche i contratti recentemente stipulati da alcune Bcc, che prevedono una riduzione del 10% del salario dei dipendenti. Se le trentine, che già si sono trascinate dietro Chianti Banca, presieduta da Bini Smaghi, porteranno con sé le più grandi e le più sane, che sono al centro nord, il polo Iccrea sarà ancora più debole e ben difficilmente riuscirà a gestire in modo autonomo la crisi, visto che la ripresa riguarda soprattutto le aziende esportatrici.
Vi è poi il problema dei membri dei consigli, spesso privi di competenze specifiche e molto legati alle realtà territoriali, elementi che influenzano spesso in negativo la concessione del credito, pure la patrimonializzazione è insufficiente rispetto all’erogato.
Certo la vigilanza ancora affidata a Banca d’Italia è meno occhiuta di quella europea, ma questo non è necessariamente un bene, come si è visto per le banche maggiori. Ci auguriamo il bene, ma temiamo il peggio, cioè che dopo le grandi banche, Mps e Carige, dopo le popolari e le Casse di Risparmio, si apra pure il fronte delle BCC.