di Mario Paolo Guidetti*
9/6/2016 – Dopo che la Commissione Giustizia del Senato aveva votato all’unanimità il 3 maggio 2016 una norma che prevedeva il carcere fino a nove anni per il giornalista che diffama a mezzo stampa un politico, un magistrato o un dipendente pubblico, ieri 8 giugno l’Assemblea del Senato, nell’approvare il ddl n. 1932, disposizioni in materia di contrasto al fenomeno delle intimidazioni ai danni degli amministratori locali, ha deciso di “espungere dal testo il riferimento alla diffamazione per evitare polemiche infondate”.
Pur nel suo testo “marziano alla Totò e le comiche” queste due righe, tratte dal sito del Senato, stanno a significare che la “norma barbara” è stata sì proposta ma, folgorati poi sulla via di Damasco, ritirata. La traduzione lessicale del termine “espurgare” la si usa per definire ciò che è da ripulire, sfrondare, emendare un testo da ciò che l’analisi critico-comparativa porta a ritenergli estraneo.
E nei fatti ritenere che i giornalisti potessero essere strumento di intimidazione era estraneo alla condivisibile materia del ddl ed offensiva per i giornalisti, questi sì soggetti a continue minacce ed intimidazioni per evitare che scrivano parole di verità.
Noi che non siamo a priori contram ma (pro)positivi, prendiamo atto del voto del Senato ma non possiamo esimerci dal rigettare la motivazione dell’espurgere: “per evitare polemiche infondate”. Dissentire (documento dell’Esecutivo Ordine dei Giornalisti), protestare civilmente (lo faranno i giornalisti il 15 giugno in Piazza Monte Ciborio) e non con barricate o lancio di molotov, non sono “Polemiche infondate”: E’ il diritto per una categoria, “baluardo della democrazia”, di chiedere la depenalizzazione del reato a mezzo stampa. Mai più un giornalista in carcere ma qualora non rispettasse il codice deontologico scrivendo falsità, sia sì condannato, ma non al carcere che, “al momento resta di soli 6 anni”.
*Consigliere nazionale Ordine dei Giornalisti