Processo Aemilia: il costruttore Antonio Gualtieri diventò viceboss dopo lo “sgarro” di Villirillo a Grande Aracri
Quando gridò “dimissioni” a Bini, da Telereggio, parlava in nome del clan

 27/5/2016 – Il costruttore cutrese Antonio Gualtieri, ex vicepresidente dell’Aier, condannato a 12 anni di carcere al 41 bis più tre anni di libertà vigilata nel rito abbreviato del processo Aemilia, assunse una posizione di preminenza nella rete ndranghetista reggiana legata al boss Nicolino Grande Aracri, dopo il declino della stella di Romolo Villirillo.

Lo ha affermato questa mattina nel corso del processo Aemilia, nell’aula bunker di palazzo di Giustizia, il luogotenente dei carabinieri Camillo Calì che da Fiorenzuola diede il via alle indagini che portarono all’inchiesta Aemilia. La deposizione di Calì, fondamentale per inquadrare il potere e la struttura del clan emiliano, va avanti da parecchie udienze. L’investigatore ha spiegato che Villirillo finì in disgrazia per essersi impossessato di grosse somme destinate al boss Manuzza. che gliela fece pagare bruciando la sua macchina e quella del cognato. Da lì l’ascesa di Gualtieri come uomo dei business più importanti.

Il collegio giudicante col presidente Caruso visto dal monitor

Il collegio giudicante col presidente Caruso visto dal monitor

Fu il presidente Antonio Rizzo a volere Gualtieri accanto a sè nell’Aier, l’associazione dei costruttori calabresi di Reggio: una lobby che esercitava pressioni e condizionamenti sul potere politico.  Fu proprio  Gualtieri a gridare “dimissioni, dimissioni, dimissioni” all’indirizzo dell’allora presidente antimafia della  Camera di Commercio Enrico Bini dagli studi di Telereggio, mentre veniva intervistato da Marco Gibertini nel famoso ring della trasmissione Poke Balle. Evidentemente Gualtieri non gridava solo per sé, e non soltanto per l’Aier: la richiesta di dimissioni di Bini arrivava direttamente dal vertice della ‘ndrangheta.

Le rivelazioni sulla posizione di preminenza di Gualtieri aprono una nuova, significativa finestra sull’impasto tra economia reale, affarismo, finanza occulta, politica e ndrangheta che ha condizionato Reggio per anni.

All’udienza di questa mattina intanto, si sono presentate due delegazioni di Anpi di Reggio Emilia e Istituto Cervi, oltre a una  ventina di studenti reggiani  dell’istituto “Canossa”.

“Attraverso questo processo si arriverà a stabilire la verità, ma soprattutto attraverso quest’aula verrà fuori nei prossimi anni una nuova Reggio Emilia”, ha dichiarato la presidente dell’Istituto Cervi, Albertina Soliani. “Con questo processo alle spalle la città sarà cambiata. Sono conapevole che la vecchia Reggio, con il suo territorio, sta finendo e ne sta nascendo una nuova soprattutto per la forza delle coscienze delle persone”.

La presenza dell’Anpi, ha detto  il presidente provinciale Ermete Fiaccadori, “ha un significato di impegno sulla giustizia e sulla necessità di vigilare sulla presenza delle infiltrazioni mafiose che si sono verificate”. Per il presidente dell’ANPI “bisogna capire come queste cose si siano verificate con tale forza e anche ragionare del perché non ce ne siamo accorti in tempo”. C’era anche  Luca Bosi, numero uno della cooperativa Boorea e di Sicrea group: “Di questo cancro mafioso dobbiamo liberarci. Ma per farlo bisogna essere testimoni presenti e conoscerlo”.

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