di Pierluigi Ghiggini
26/4/2016 – In fretta e furia hanno smontato il palco della ghigliottina e mandato a casa le tricoteuses, già sedute in piazza a sferruzzare e a urlare in attesa dell’esecuzione. Volevano il sangue di Giuseppe Pagliani, ma non lo hanno avuto perché in fondo, anche in mezzo al linciaggio pianificato, c’è ancora un giudice a Berlino. Volevano il sangue dell’innocente per salvare le loro terga, a costo di vendere l’anima al diavolo e di lordare la nobiltà dell’antimafia, ma la giustizia ha compiuto il suo corso e li ha lasciati in braghe di tela.
Ora dovranno fare i conti con la loro coscienza e con un disastro politico difficile da gestire, perchè i forcaioli (non per vocazione, ma per interesse) non hanno più copertura.
Sin dalla sentenza del Riesame che più di un anno fa aveva restituito la libertà a Pagliani dopo 23 giorni di ingiusta detenzione, era apparso chiaro che l’esponente azzurro veniva perseguitato per un pregiudizio politico. Ma anche prima, la falsa accusa di aver attaccato Sonia Masini (di cui sarà bene tornare a parlare, di lei e del fetore che si levò dall’appalto del Global Service) su ordine dei mafiosi, avrebbe dovuto allarmare chi ha a cuore la democrazia: in base al teorema della Dda, qualsiasi oppositore degno di tale nome poteva rischiare la galera.
Eppure il linciaggio era continuato al di là di ogni ragionevole dubbio e anzi è diventato parossistico con l’avvicinarsi del giorno della sentenza di Bologna, come a voler esercitare un’indebita pressione sul giudice. Le parole scritte da Pier Saccardi nel documento presentato lunedì scorso in consiglio comunale (e ritirato in zona Cesarini dal Pd) suonano orribili e persino incomprensibili nella loro violenza: Pagliani era diventato per il Pd e i 5 Stelle “un pericolo per il futuro stesso della città di Reggio”. Un invito all’esecuzione sommaria dopo un anno di torture.
Ma a rivelare in modo scoperto quale fosse il disegno forcaiolo è stata la dichiarazione congiunta del sindaco Luca Vecchi e del presidente della provincia Giammaria Manghi i quali, subito dopo il verdetto di assoluzione totale di Pagliani, anzichè rallegrarsi perché l’ombra era stata cancellata dalle assemblee elettive, hanno algidamente “preso atto” del pronunciamento del giudice, per aggiungere subito che ” resta il giudizio politico circa l’inopportunità della sua condotta, nell’aver frequentato persone con connessioni dirette con la mafia”. Insomma, non bastano due sentenze, non basta un’assoluzione totale per non aver commesso il fatto: il marchio d’infamia su Pagliani deve restare.
Una dichiarazione del genere ha un significato univoco: questi signori volevano, aspettavano, cercavano una condanna. E quando il disegno è fallito, sono imbizzarriti. Ora, anche un bambino capisce che alla luce delle sentenze continuare a sostenere che l’avvocato azzurro ha frequentato” persone con connessioni dirette con la mafia” è in primo luogo diffamatorio, in secondo luogo di un’arroganza sconfinata (ma quante mani hanno stretto questi signori, con quanti personaggi hanno trescato ai tempi del sacco edilizio?), in terzo luogo rivela una debolezza politica sorprendente.
Se proprio si vuole esaminare l’inopportunità delle condotte, è chiaro che ciò non può avvenire in base al capriccio dell’onorevole Spadoni, o di un sindaco che galleggia nei conflitti d’interesse, o di un partito che ha fatto il bello e il cattivo tempo nel grande banchetto dell’edilizia e pure in un comune sciolto per mafia, o di un consigliere che da vicepresidente della Provincia aveva il naso tappato e non ha avvertito il fetore che si levava dall’appalto del Global Service.
In secondo luogo, se vogliamo far valere il principio dell’inopportunità, esso deve valere per tutti, tutti devono sottoporsi all’esame in base a criteri oggettivi, e a questo punto anche il Comune di Reggio – con tutto ciò che sta emergendo – va sottoposto a una commissione di accesso.
E’ sufficiente togliersi gli occhiali della partigianeria politica per scoprire così che l’unico ad aver superato la prova-finestra, una prova terribile con 23 giorni di carcere ingiusto, è proprio Giuseppe Pagliani. Il Pagliani che a differenza di Delrio e di altri, non andò a fare l’inchino elettorale a Cutro. Mentre il sindaco in carica si è dimenticato di rendere noto in tempo utile di aver comprato casa da un imputato di Aemilia, non ha ancora mostrato le fatture dei lavori, e parenti di sua moglie – già apprezzata dirigente all’urbanistica – hanno interessi in due importanti piani edilizi. Nè si può trascurare il fatto che il ministro Delrio, secondo quanto afferma Stanislao Zurlo – non smentito – zitto zitto aveva incontrato una settantina di impresari edili reggiani a Cutro. E pure Sonia Masini e Pier Saccardi devono ancora spiegare come un consorzio affiliato a un’organizzazione diretta dal marito della Masini abbia potuto vincere in cordata (tra le proteste inascoltate degli altri concorrenti) l’appalto da 14 milioni del Global Service della Provincia, ente guidato all’epoca dei fatti dalla stessa Masini. A proposito, Manghi non ha niente da dire?
Si potrebbe continuare a lungo. Lo sconcio peggiore però riguarda la matrice di autoritarismo che emerge dalle falsificazioni e dai silenzi di cui è costellata la vicenda Pagliani. L’esponente di Forza Italia è stato messo in ceppi dalla Dda anche e soprattutto per aver esercitato il legittimo ruolo di oppositore, per aver denunciato senza sosta lo scandalo (perchè, anche se sul filo della norma l’appalto forse è in regola, lo scandalo politico c’era e resta) del Global Service. Quelli che strillano, che sbavavano facendo il tifo per una condanna, quelli che sono arrivati a dichiarare Pagliani “un pericolo stesso per il futuro di Reggio Emilia”,sapevano benissimo come stavano le cose, ma hanno taciuto. Avevano il dovere di difendere i diritti democratici di chi fa politica, invece hanno voltato la testa dell’altra parte e anzi hanno partecipato in prima fila alla lapidazione, perchè faceva comodo mettere in croce un oppositore in modo da lasciare in un cono d’ombra i loro problemi, che sono molto seri.
Viene da chiedersi se non provino qualche scrupolo quando vanno a fare i paladini della democrazia e della libertà nei comizi del 25 aprile. Proprio non gli dice niente la coscienza?
Viene da chiedersi quali ragioni profonde abbiano messo in moto la ferocia degli ultimi tempi, culminata con le parole irripetibili contenute nel documento firmato da Saccardi, Vaccari, Cantergiani e Claudia Aguzzoli e poi, subito dopo la sentenza, con la richiesta pervicace di esilio politico per Pagliani. Eppure solo poche settimane prima in consiglio comunale il capogruppo dei 5 Stelle, architetto Vaccari, aveva dichiarato: “Quando Pagliani verrà assolto, sarò il primo a stringergli la mano”.
La risposta a questo interrogativo è negli eventi degli ultimi mesi, nell’ emergere dell’affare della casa di Masone, nelle rivelazioni sui piani edilizi in cui hanno interessi i parenti di Maria Sergio, nelle esplosive affermazioni contenute in rapporti del Carabinieri, dell’Aisi (servizi segreti interni) e dell’ex questore Savi agli atti del processo Aemilia. Un intero sistema è finito sotto accusa, e nel contempo si è scatenata una guerra sotterranea, ma all’ultimo sangue, nel Pd.
In questa guerra Pier Saccardi – che vuole evidentemente la testa di Vecchi – ha deciso di sparare al bersaglio su Pagliani per alzare il tiro al momento buono sul sindaco, in modo di mandarlo alla sbarra contando sull’alleanza occasionale dei grillini. Vecchi, dall’alto della sua intelligenza, non si è reso conto della manovra, e Manghi gli ha dato il bacio della morte. Il prezzo è il danno collaterale della crocifissione di Pagliani.
Solo dietrologie? Aspettate e vedrete.
Ma è questo il modo di fare politica sulla pelle di un innocente? Questi devono andare a casa.
La ferocia degli ultimi tempi..
26/04/2016 alle 13:47
…è la medesima dei tempi andati.
Love affaire…Caro Ghiggio 🙂
marco
26/04/2016 alle 15:05
Ciò, anche se la storia si ripete, è amaro e dimostra il limite della classe politica reggiana ed italiana.
SALVATORE OCCHIUTO
27/04/2016 alle 00:51
Un’altra brutta pagina della politica reggiana che acuirà notevolmente la distanza tra istituzioni e cittadini.
Fausto Poli
27/04/2016 alle 20:09
A veder quanti sono andati al referendum non direi.
Trovo che i cittadini si siano avvicinati alla politica. Spero si avvicinino pure ai politici, perché penso che non le buone non si ottenga tanto.
Con questo sono contrario alla violenza, ma sicuramente qualche tirata di orecchie gioverebbe a molti, quelli che fanno il doppio gioco.