di Pierluigi Ghiggini
7/8/2016 – Dopo l’occupazione della nuova controllata Ireti, da parte del Pd, si prepara un nuovo colpo di mano nel Gruppo Iren. Avverrà con tutti i crismi, nella prossima assemblea dei soci del 22 aprile, ma con effetti potenzialmente devastanti.
L’assemblea approverà l’introduzione del cosiddetto “voto maggiorato” approfittando di una norma (che comunque potrebbe essere cassata, vista la violazione dei diritti riconosciuti agli azionisti) introdotta nel decreto competitività. Tale norma permette le modifiche allo statuto per l’introduzione del voto maggiorato, in base al quale le quote in possesso da più di 24 mesi di uno stesso azionista, in assemblea varranno il doppio.
Una richiesta in questo senso è stata avanzata ufficialmente ai soci pubblici dai sindaci di Reggio Emilia Luca Vecchi, di Torino Piero Fassino e Marco Doria di Genova, che in una nota congiunta hanno sottolineato come il “voto maggiorato” verrebbe fatto valore “solo” per la nomina o la revoca dei consiglieri di amministrazione e relative azioni di responsabilità.
Senza giri di parole, nel gruppo Iren significa perpetuare il potere della politica “sine die” a scapito degli azionisti di minoranza, che sono investitori istituzionali o anche piccoli risparmiatori, molti dei quali reggiani, viste le radici di Iren in Agac-Enia. Anche se i piccoli facessero valere il voto maggiorato,verrebbero comunque tagliati fuori dalle decisioni che contano, perchè ai soci pubblici basterebbe il 25%.
Quale situazione si prospetta? I Comuni, che detengono insieme poco più del 50% delle azioni, oggi fanno il bello e il cattivo tempo. Però hanno bisogno di vendere la parte non sindacata delle loro azioni per far quadrare i conti che non tornano mai. Ma dovrebbero scendere sotto il 50%, dovendo così trattare con gli azionisti di minoranza, riconoscendo loro un ruolo nel cda e in una gestione quanto mai complicata, fatta di certa quantità di controllate e subcontrollate dove oggi il Pd la fa da padrone piazzando i suoi tesserati e i giovani e vecchi elefanti dappertutto. C’è poi il capitolo scarsamente indagato delle sponsorizzazioni dove finisce una quantità stupefacente di milioni, senza considerare la partita di gran lunga più grossa: il sistema delle forniture di gas con relative mediazioni (Sinergie Italiana, creatura dell’ex direttore generale Viero, è finita in liquidazione con una novantina di milioni di buco, ma non si sa ora come avvenga la gestione degli acquisti di materia prima).
Come aggirare l’ostacolo e mettere definitivamente all’angolo gli altri azionisti? Il voto maggiorato arriva a fagiolo. Con le azioni che valgono il doppio, i Comuni – vale adire la politica, cioè il Pd dei sindaci Fassino, Vecchi e Doria – potrebbero vendere sul mercato una quantità di azioni enorme, rimpinguare le casse che piangono, finanziare altri investimenti e pagare fior diconsulenza, ma nel contempo mantenere il controllo totale su Iren: basterebbe a quel punto solo il 25% delle azioni.
La strada è stata spianata dal governo (dove il ministro Delrio è nella stanza dei bottoni) col decreto competitività. Secondo chiarimenti delle ultime ore, per modificare lo Statuto nell’assemblea del 22 aprile i soci pubblici (Reggio Emilia, Torino, Genova, Parma e decine di altri comuni) dovranno trovare un accordo con gli investitori istituzionali per raggiungere i due terzi. Ma la sostanza non cambia: una manovra costruita e decisa in sede politica, nel loft nazionale del Pd.
Si dice che l’operazione sia necessaria per impedire scalate a Iren, cioè il rastrellamento sul mercato di azioni -da parti di investitori potenti – finalizzate a scalzare i Comuni che controllano la società.
Ma, a parte il fatto che senza il consenso dei comuni stessi (che dovrebbero vendere le loro azioni) nessuna scalata sarebbe possibile; a parte il fatto che si deve ancora vedere l’investitore determinato a prendersi un pacco con un debito aggregato stratosferico, si dice superiore ai 2 miliardi 700 milioni di euro, la storia insegna che per controllare una società non è necessario detenere il 50%: il caso della Fiat è celebre e fa scuola.
Non bisogna trascurare il fatto che Iren è una società quotata in Borsa, dove le sentenze si pronunciano ogni 24 ore. Dovrebbero preoccupare gli effetti potenzialmente rovinosi, per la quotazione del titolo Iren, di una decisione sul voto maggiorato: gli investitori istituzionali soprattutto stranieri, non ne vogliono sapere di fare i portatori d’acqua finendo all’angolo nelle assemblee, senza avere alcuna voce in capitolo ad esempio sui bilanci e gli indirizzi per la gestione. Assogestioni, del resto, ha già alzato la voce contro questo meccanismo.
Il rischio perciò è la fuga degli investitori, del titolo e la vendita sul mercato di notevoli quantità di azioni Iren, con una nuova fase depressiva. Speriamo che ciò non avvenga e che prevalgono altre valutazioni, ma sarebbe da irresponsabili non tener conto di questo rischio. In alternativa i fondi potrebbero essere indotti a rastrellare azioni nel mercato per arrivare all’assemblea con un numero di azioni sufficiente a bocciare il voto maggiorato
Anche perchè Iren non una società qualsiasi, e in questo caso il voto maggiorato servirebbe non a impedire scalate, come abbiamo visto, bensì a perpetuare il potere della politica, e segnatamente del Pd: come se non avesse già combinato abbastanza disastri nella gestione del gruppo. L’ingordigia del partito, che ha già occupato al 100% la nuova società Ireti (aumentando il numero dei consiglieri per ritagliare un posto prezioso per Moris Ferretti, legato a doppio filo al potente vicepresidente reggiano avvocato Ettore Rocchi), evidentemente non ha limiti.
In questro scenario, si parla anche di rientro del comune di Parma nel patto di sindacato: lo ha scritto ieri la Gezzetta di Reggio. Il comune ducale, che dopo le vendite massiccie delle proprie azioni, detiene un piccolo ma significativo 1,6%. Tuttavia il sindaco 5 Stelle, ma molti incline all’autonomia, Federico Pizzarotti dovrà pagare un prezzo: la fine della guerra all’inceneritore di Uguzzolo, col via libera all’assorbimento dei rifiuti di Reggio Emilia, e un diktat sulla governance che, detta senza giri di parole, significherebbe far fuori Lorenzo Bagnacani, entrato nel cda di Iren in quota Parma.
Bagnacani, reggiano, esperto e consulente in questioni ambientali, è visto come il fumo negli occhi dal Pd che lo considera una specie di Pierino la peste sin dai tempi in cui guidò la battaglia contro l’inceneritore di Cavazzoli: è uno dei pochi a spere di ciò che parla, nelle riunioni del cda Iren,e che sa leggere i bilanci. Non piace nemmeno al presidente Profumo e all’ a.d. Bianco, e tanto meno alprofessor Rocchi, a causa delle sue puntute richieste di chiarimento. Infatti era presidente di Iren Acqua Gas, assorbita di Ireti, e gli hanno sfilato la seggiola per darla a Moris Ferretti-.
Ma una società quotata in Borsa può essere gestita davvero da un partito? Non bastano i grami risultati sinora ottenuti, e neppure la lezione del Montepaschi?