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La battaglia di Fabbrico, Tadolini scrive al sindaco: “Basta con i falsi”

26/2/2016 – Anche quest’anno, la mattina del  27 Febbraio 2016 una delegazione del Centro Studi Italia e dell’Unione Combattenti RSI si reca a Villa Ferretti a Fabbrico per rendere omaggio ai Militari caduti nello scontro nel 1945. L’iniziativa – spiega Luca Tadolini nel darne l’annuncio – “si svolge  nello spirito della Riconciliazione Nazionale”.

Sempre nella stessa mattinata di sabato 27 Febbraio 2016 il comune di Fabbrico organizza la celebrazione nel7° anniversario della battaglia partigiana. La manifestazione inizia alle 10,15 con al ormazione e la partenza del corteo da via Roma per i monumenti ai caduti di Piazza V. Veneto e Via Pozzi. Orazione ufficiale del professor Furio Honsell, sindaco di Udine. Alle 12,30 Pranzo della Resistrenza alla mensa “al Falcone”.

Alle 21 al Teatro Pedrazzoli  va in scena “Finisce per ‘A’ – Soliloquio tra Alfonsina Strada, unica donna ad aver partecipato al Giro d’Italia maschile nel 1924, e Gesù”, per la  regia di Gabriele Tesauri

In questa occasione Luca Tadolini, storico e presidente del Centro Studi Italia, ha inviato un lettera al sindaco di Fabbrico nella quale, in base alle testimonianze storiche, definisce “una bugia” l’affermazione secondo cui i fascisti uccisi in battaglia furono decine: In battaglia morirono solo tre partigiani e tre militari”, tutti gli altri erano militari fatti prigionieri, disarmati e mitragliati dai partigiani. “Signor sindacio – così conclude Tadolini – la battaglia di Fabbrico insegna molte cose”.

IL TESTO DELLA LETTERA

 Al Signor Sindaco di Fabbrico a gli organizzatori e partecipanti della celebrazione della Battaglia di Fabbrico del 27 Febbraio 1945.

 Signor Sindaco ha letto  “Capire e ricordare la Resistenza” pubblicato a Fabbrico dall’Istituto per la Storia del Movimento Operaio e Socialista  (ISMOS) “Pietro Marani”?

Questa ricerca, svolta da una istituzione  locale antifascista che ha consentito un confronto incrociato tra i partigiani  ed il  ricercatore cattolico Giovanni Pedrazzini, ha chiarito dati storici che  ormai devono essere comunicati alla popolazione ed inseriti nelle celebrazioni.

Il preludio è la sanguinosa imboscata alla squadra fascista -transitata in Fabbrico, senza far vittime- che pur senza perdite partigiane, si tramutò in un massacro di prigionieri: “Rimasero feriti i giovanissimi Lino Luppi, poi passato per le armi, Domenico Cocchi a cui venne segata la testa da una raffica di mitra sparata da distanza ravvicinata nella casa in via Ca’ Ronfa e Luigi Sanferino. Questi, catturato ferito, fece una fine orribile, ripetutamente immerso e ripescato nel pozzo nero di casa Bussei, dove infine venne annegato; nello stesso pozzo nero venne gettato prima di lui il Cap. Gino Ianni, gravemente ferito ma ancora vivo. Passarono due tedeschi disarmati che si arresero: furono portati nella casa dei Ferretti e furono uccisi e occultati“.

La Battaglia è la conseguenza di questa violenza che il comandante partigiano Gora definirà una “pazzia, provocare così i fascisti, mentre la guerra stava per finire…

I Fascisti, infatti, tornarono per cercare il loro soldati scomparsi: ” L’indomani calarono circa 120 uomini della 30° Brigata Nera e della GNR con l’intento di conoscere la fine del Cap. Ianni e recuperarne la salma”, testimonia   il parroco Mons. Francesco Bassoli. “Furono così prelevati una cinquantina di civili e fatti allineare e a loro venne mostrato il cadavere completamente nudo di Luigi Sanferino, ripescato dal pozzo nero. Per alcune ore, venne chiesto che cosa ne fosse stato del Cap. Ianni; l’ufficiale decise di portare gli ostaggi a Novellara dando al paese 15 giorni di tempo per consegnare il Cap. Ianni vivo o morto, pena l’esecuzione degli ostaggi. Così si formò un lugubre corteo composto da due ali di fascisti con gli ostaggi inframmezzati, quali scudi per una probabile nuova imboscata”.

Nello stesso luogo del 26 i partigiani di Fabbrico e Rolo aprirono il fuoco con una mitragliatrice:  rimase ucciso l’ostaggio Genesio Corgini e un medico militare tedesco che passava in auto. “Si sparò per tre ore e alla fine i partigiani dovettero ritirarsi. Le salme dei partigiani e dell’ostaggio vennero recuperate solo alle ore 2 del 28 febbraio“.

 

Da anni viene comunicato che i fascisti in battaglia uccisi furono decine (per dare risalto alla battaglia?). Una bugia, che nasconde una drammatica verità emersa dalla testimonianza partigiana rilasciata da Agostino Nasi, presente allo scontro : “cinque o sei brigatisti erano rimasti in coda e si sono arresi…. I brigatisti catturati erano tenuti sotto controllo nel fosso. Manganel è arrivato lì e li ha mitragliati uccidendoli tutti.”

Signor Sindaco ormai bisogna dire la dura verità: “Sul campo rimasero undici morti: l’ostaggio Genesio Corgini, i partigiani Piero Foroni, Leo Morellini e il giovane Luigi Bosatelli; da parte fascista il S.Ten. Ostilio Casotti, il Serg. Corinto Baliello, Luigi Spoto della G.N.R –  ma anche con una tessera partigiana -, Giancarlo Angelini, Franco Volpato, Ugo Fringuelli, Giuseppe Ghisi della B.N.: questi ultimi erano giovani, nemmeno ventenni e benché arresisi e distesi a terra, vennero falciati da un’unica raffica sparata da un partigiano fabbricese”.

In combattimento morirono solo tre militari e tre partigiani, tutti gli altri erano disarmati o uccisi come prigionieri.

Oggi la celebrazione della Battaglia ha preso il posto della festa del Patrono, ma ingiustamente, perché fu Don Igino Artoni, curato di Fabbrico, quella stessa notte, “che si recò in Prefettura dal Capo della Provincia, con l’intento di scongiurare una nuova rappresaglia ai danni del paese e della sua popolazione.”

Ecco Signor Sindaco la Battaglia di Fabbrico, insegna molte cose.

 

Reggio Emilia, 26  Febbraio  2016

 

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