26/11/2015 – Un’inchiesta giudiziaria durata anni che ha scoperchiato il cancro della ndrangheta in Emilia e a Reggio, con le sue “porte girevoli” tra mafie, economia, amministrazioni e politica, oppure un’indagine che si è fermata alla soglia del sancta sanctorum ?
E’ la domanda che fa da sfondo alla presentazione del libro “Operazione Aemilia – Come una cosca di ndrangheta si è insediata al Nord“, scritto dalla giornalista Sabrina Pignedoli per la casa editrice Imprimatur e che sarà presentato oggi, venerdì 26 novembre (ore 17) su iniziativa della Cgil, nel salone “Di Vittorio” della Camera del Lavoro di Reggio Emilia in via Roma 53.
Con l’autrice ne discutono Vittorio Mete, ricercatore di Sociologia all’Università Magna Graecia di Catanzaro e Guido Mora, segretario della Camera del Lavoro di Reggio Emilia. Coordina il dibattito Matteo Alberini, della segreteria CdL.
Sabrina Pignedoli, 31 anni, cronista del Resto del Carlino, si occupa di mafie dal 2010, dai tempi dell’inchiesta Pandora. La sua è una “summa” sulla penetrazione della cosca Grande Aracri nel reggiano, vale a dire nella terra che doveva avere, secondo studiosi e politici, sufficienti “anticorpi” per tenere a bada le mafie. Il libro risente inevitabilmente del fatto che il processo Aemilia è ancora in corso (prevedibile quindi una puntata successiva) tuttavia l’indagine sul campo porta l’autrice ad affermare una verità non ancora chiara a tutti: per fare un matrimonio bisogna essere in due, quindi se la ndrangheta è a Reggio è insediata a reggio da decenni “vuol dire che gli imprenditori emiliani l’hanno fatta entrare, che hanno fatto affari con i suoi uomini e le imprese a lei collegate, che la politica – quando non l’ha usata come bacino elettorale – è stata incapace o non ha voluto vedere”.
Pignedoli è coinvolta nell’operazione Aemilia come vittima, tanto da essere parte civile al processo: le intimidazioni nei suoi confronti perchè la finisse di scrivere dei Muto, imprenditori cutresi, costituiscono un capo d’accusa pesante come un macigno nei confronti del poliziotto Domenico Mesiano, all’epoca dei fatti autista, addetto stampa e uomo di fiducia del questore di Reggio Emilia (quello precedente all’attuale).
La giornalista in più occasioni ha sottolineato che, se determinati partiti non sono coinvolti nel processo Aemilia, non per questo devono esultare, perchè “sicuramente esistono responsabilità a livello politico”. E oggi si spinge ad affermare che è “già cominciata la Restaurazione”.
Del resto, il fatto che a firmare la richiesta di costituzione di parte civile da parte del comune di Brescello, il paese di don Camillo e dei Grande Aracri, sia stato il sindaco Marcello Coffrini in persona, è la conferma che il trasformismo politico è capace di manipolare anche l’antimafia.
Non è poi una novità: il trasformismo è riuscito a coprire con una coltre di silenzio persino lo scandalo (o la tragedia) dei rapporti tra quel costruttore ritenuto, secondo le accuse, parte del cerchio magico di Michele Zagaria, e l’amministrazione comunale solidamente “rossa” di Fabbrico. E che dire degli anni quando le concessioni edilizie di Reggio Emilia venivano “governate” da un potente funzionario cutrese, s’intende in modo legittimo?
Sarà interessante, al dibattito di oggi, capire perchè si parla di “restaurazione” a processo ancora aperto e a inchiesta Aemilia bis tuttora in corso, o se piuttosto non siano i limiti stessi dell’inchiesta pur imponente della dda di Bologna, limiti di cui molti si lamentano ma solo sottovoce, ad alzare un muro sulla natura profonda e autentica della penetrazione mafiosa a Reggio Emilia.
(pierluigi ghiggini)