Il Parmigiano Reggiano? E’ figlio della carestia
L’atto di nascita svelato in un libro di Giovanni Tadolini

26/9/2015 – E’ il formaggio più amato, più ricercato e anche il più copiato  il più rubato  al mondo. Il Parmigiano Reggiano, anzi,  è molto più di un formaggio: è un segno distintivo, una “griffe”, una leva finanziaria. Ha le sue quotazioni, e più invecchia più vale, proprio come le bottiglie di vino millesimato. E questo non da oggi, ma da millenni: già Marziale scriveva dei “grandi caci capaci di sfamare mille giovani di buon appetito” e raccomandava alle matrone romane di averne sempre in casa per assicurare innumerevoli colazioni ai propri figli.

Va da sè che il “grana” ha subito molte trasformazioni nel tempo, e che il “formadio” come lo conosciamo oggi – prodotto di una evoluzione, di un affinamento progressivo delle tecniche, e anche figlio della necessità –  ha un preciso atto di nascita.

Proprio di questa genesi si occupa l’imprenditore e studio Giovanni Tadolini, autore di numerosi saggi e articoli di storia locale, in un piccolo trattato fresco di stampa: si intitolata appunto “Origini del Parmigiano Reggiano – Come, dove quando“.

Giovanni Tadolini

Giovanni Tadolini

In esso Tadolini compendia studi approfonditi, analisi e deduzioni che lo hanno portato a concludere come il “nostro” Parmigiano Reggiano – un grana semigrasso prodotto con il latte munto la sera, scremato della panna per farne il burro, e aggiunto a quello intero della mattina – sia nato nel pieno della carestia che afflisse il Nord Italia nel 1234, ormai quasi ottocento anni fa, dai benedettini del monastero di San Giovanni di Parma, che lo produssero con tali modalità per la prima volta nel podere del Roarolo – il Traghettino – oggi nel comune di Cadelbosco Sopra.

Nel XII e XIII secolo, spiega dunque Tadolini. si viveva una situazione di forte carestia, particolarmente nelle campagne, per guerre di confine, invasioni, rivolte popolari, epidemie e catastrofi naturali. Davano assistenza a contadini e servi in fuga dalle campagne impoverite e insicure, alcuni grandi monasteri benedettini gestiti da monaci, novizi, e oblati, che oltre alla missione religiosa, bonificavano, coltivavano terre, ricoveravano ammalati ed accoglievano alle loro mense vere moltitudini di poveri.

Nell’alimentazione, all’epoca, persistevano consuetudini e pregiudizi millenari. Nei paesi mediterranei, e anche tra Parma e Reggio,  si cucinava e si condiva solo con l’olio di oliva. Il burro era bandito come alimento ed i popoli nordici, che invece lo utilizzavano, erano disprezzati.

ll formaggio, ritenuto di difficile digestione e quindi per gente dallo  stomaco forte, era consumato solo dai contadini, dai servi e dai monaci Benedettini: il loro fondatore S. Benedetto lo aveva inserito nella rigida dieta dei frati, abbondante sulla carta, ma anche ricca di digiuni. Lo producevano sulle loro terre con latte intero, in quantità sufficiente al consumo del Monastero. In questa situazione iniziò nei monasteri il passaggio dal solito formaggio grasso, ad altro semigrasso, il grana.

Un’operazione tecnicamente semplice e già nota: ma quale evento può averla imposta a costo di rompere con la tradizione, implicando la contemporanea produzione di burro che, per ataviche usanze e pregiudizi nessuno utilizzava come grasso per cucinare e condire?

L’evento – questa la conclusione dell’anziano studioso – si è presentato nel 1234, quando il gelo ha distrutto tutti gli ulivi ed è mancato l’olio. I monasteri benedettini, grandi consumatori in quanto per la stessa loro regola erano obbligati a rifocillare chiunque si presentasse al convento, non potendo utilizzare grasso animale come il lardo e lo strutto, proibito dalla stessa regola, si sono trovati nell’urgenza di cercare un surrogato e l’hanno trovato nel già disprezzato burro. che così si è imposto per l’effetto congiunto dell’ bbedienza alla dieta e l’ovvia accettazione per fame da parte dei poveri che frequentavano la loro mensa.

Una stagionatura di Parmigiano Reggiano

Una stagionatura di Parmigiano Reggiano

L’importanza di questa operazione, che può considerarsi come una significativa rivoluzione alimentare, consiste nell’avere ottenuto con la stessa quantità di latte, il burro necessario, unitamente alla medesima quantità di formaggio prodotto in precedenza e soprattutto per avere iniziato inconsapevolmente la produzione di quel grana che poi, con adeguate varianti è diventato l’eccellente Parmigiano Reggiano.,

In conclusione, Giovanni Tadolini asserisce che la decisione di iniziare la produzione del grana per sostituire l’olio col burro è maturata nel 1234 nel Monastero Benedettino di S. Giovanni di Parma, il maggiore degli esistenti in zona e con  la mensa più affollata, mentre la prima fabbricazione è avvenuta nella sua azienda agraria Roarolo (Traghettino, oggi nel Comune di Cadelbosco Sopra), allora la più idonea ed adeguata della zona. 

In quarta di copertina, una citazione da Giovanni Boccaccio: “… et eravi una montagna di formaggio Parmigiano, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosafaceva, che fare maccheroni, e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan giù, e che più ne pigliava e più sen’ haveva…”. Per dire come il Parmigiano Reggiano, sia un sogno gastronomico nato dalla fame, sin dall’antichità.

Parmigiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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