31/5/2015 – Per indicarci la strada, Dio entra nel nostro quotidiano servendosi di strumenti umili e semplici. E’ questo l’insegnamento che sorge dalla breve vita, intensa di fede, e dal martirio del beato Rolando Rivi. E’ il concetto intorno al quale si sono dipanatele riflessioni del vescovo Massimo Camisasca nell’omelia pronunciata venerdì sera a San Valentino, nella messa al termine della processione per la seconda festa del beato Rolando, salito agli onori degli altari nel settembre 1913.
Rolando era un seminarista di 14 anni quando, dieci giorni prima della Liberazione fu rapito dalla casa dei suoi genitori a San Valentino di Castellarano da un commando di partigiani comunisti, umiliato seviziato per tre giorni e infine trucidato in odio alla fede cristiana in un bosco a Palagano di Monchio. Negli stessi giorni, in cui crollava il fascismo, altri ragazzi come lui, di 16 anni opoco più, venivano trucidati nel bosco di Cernaieto. Era l’inizio della seconda guerra civile, quella dell’ecatomber compiuta in Emilia nell’immediato dopoguerra, andata avanti per anni con una sequela di delitti politici e l’uccisione di numerosi sacerdoti.
Di tutto questo e del contesto del martirio di Rivi, però, il vescovo Camisasca non ha fatto cenno nella sua omelia: de lresto già altre volte aveva insistito sul giovanissimo Rolando come portatore di pace e di riconciliazione, non di divisione.
Il martire bambino è piuttosto la dimostrazione della “ordinarietà dell’azione di Dio nella nostra vita”. Da qui la preghiera e la speranza che “per l’intercessione del beato Rolando Rivi una nuova stagione dell