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Da Reggio al califfato islamico: marocchino che lavorava da un gommista ora combatte con i macellai dell’IS

30/9/2014 – Nessuno lo conosce, ed è sconosciuto anche agli archivi della polizia, però ha lavorato per alcuni mesi da un gommista di Reggio Emilia il marocchino Noori Birar, età sulla trentina, che si è arruolato in Siria nella cellula Sham Haraqat Al Islam composta da circa duemila marocchini che combattono al fianco dei macellai dell’IS, il califfato islamico guidato da Al Baghdadi.

Quel poco che si sa di Noori Birar, compresa la sua tappa a Reggio Emilia, è stato raccontato dal fratello Ahmed Birar di 38 anni al giornalista Luigi Guelpa del “Giornale” di Sallusti. Anche Ahmed combatteva per il “califfato”, ma è tornato indietro. Il fratello no, è rimasto a Raqqa e sino a martedì scorso era ancora vivo.”Io e mio fratello siamo partiti insieme animati dall’idea di cambiare il mondo, perché l’Islam è il nostro cammino. Ma Al Baghdadi è andato ben oltre gli iniziali propositi”.

A Reggio non sono rimaste tracce di Noori, o forse qualcuno le ha sapientemente nascoste. D’altra parte per anni la città è stata, e forse è ancora, uno snodo importante per i fondamentalisti religiosi e gli estremisti islamici che odiano l’Occidente e i cristiani. Gli esempi, da Daki sino ad arrivare all’inquietante corteo dell’11 febbraio 2006, sono numerosi. Ora ai tratta di capire se lo jihadista fosse approdato qui per caso, o se a Reggio sia presente qualcosa di simile a una cellula dormiente, una base logistica oppure un gruppo di reclutatori. Ma è come cercare un ago nel pagliaio.

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Una risposta a 1

  1. Giorgio Cassinadri Rispondi

    01/10/2014 alle 10:29

    Dell’inquietante, a dir poco, corteo del 2006 ricordo il vergognoso silenzio delle nostre istituzioni cittadine che non osarono profferire verbo contro lo scempio di una via Emilia riempita di striscioni inneggianti alla morte degli infedeli ed al futuro predominio dell’islam. Ci si deve chiedere il perché, cosa fa sì che non si affronti nella misura adeguata e con adeguata fermezza un movimento che marcatamente odia e combatte l’Occidente, la sua cultura ma soprattutto il suo non essere “puro”.
    L’IS, ma anche a seconda delle attribuzioni del califfo assassino, ISIL o ISIS racchiude un “presunto” mistero che i media ci ammanniscono in maniera parziale, perché cioè nel volgere di un solo anno si è potuto allevare e lasciar crescere una simile mostruosità senza che nessuno se ne rendesse, perlomeno apparentemente, conto?
    Il califfato ha potuto reclutare una incalcolabile numero di nuovi guerriglieri sunniti come reazione alla politica finto ingenua dell’ex premier sciita Al Maliki, si è appropriato dei più moderni ed efficaci armamenti in dotazione all’esercito iraqeno allo sbando, e dulcis in fundo, ha colto impreparati analisti e esperti di Pentagono e NATO.
    Questa città, un tempo fucina città dell’ingegno produttivo e della lotta per il benessere collettivo, ora ha la parvenza di un agglomerato urbano a metà fra un collettore di memoria romana e la sua diretta confinante suburra. Nell’ultimo decennio con la penosa classificazione di “città delle persone” ha aperto le braccia indistintamente a gente per bene ed ai terroristi, inutile a tal proposito riesumare il blocco temporale degli anni di piombo. Sulla stessa scia le miopi politiche del multiculturalismo, che è fattispecie assurda, si è fatto di ogni erba un fascio ma peggio ancora non ci si è preso cura nemmeno di dividere il grano dal loglio, con gli effetti nefasti che conosciamo e che sono sotto gli occhi di tutti.
    A meno che la zona compresa nel “triangolo del degrado” sia un modello di sviluppo civile ed urbanistico.

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