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Coppie gay
e adozioni: una sentenza ideologica e sbagliata

di Giancarlo Tarquini*

In questi giorni la stampa ha pubblicato la notizia di una sentenza (n. 299 datata 30 giugno 2014 – depositata il 30 luglio 2014) del Tribunale per i Minorenni di Roma, che ha accolto l’istanza della convivente della mamma di una minore, nata in Spagna mediante procreazione assistita, diretta ad ottenere l’adozione della stessa, dopo peraltro che le due conviventi avevano tra di loro contratto matrimonio all’estero (Spagna), ovviamente  non trascrivibile in Italia per contrasto con la normativa qui vigente.

Tale sentenza ha ritenuto che l’accoglimento dell’istanza
fosse consentito in applicazione della legge 184/183, come parzialmente modificata dalla legge 149/2001, superando peraltro il parere contrario della relativa Procura della Repubblica motivato dalla carenza dell’imprescindibile condizione che il minore si trovasse in stato di abbandono in quanto orfano di padre e di madre, quest’ultima invece vivente e in grado di provvedere alla figlia.

La sentenza motiva ampiamente sul concetto di uguaglianza tra le convivenze eterosessuali e quelle omosessuali, ciò che soprattutto ha richiamato l’attenzione dei mass media e che verosimilmente ne tradisce l’impostazione culturale, ma si tratta di una sorta di non richiesta ed errata giustificazione dell’esattezza della lettura in diritto, che invece appare  palesemente sbagliata, come ha sostenuto in udienza lo stesso rappresentante della Pubblica Accusa.

Infatti l’argomento di diritto offerto in sentenza come architrave della stessa è che sia applicabile alla fattispecie l’ipotesi di adozione particolare di cui all’art.44, comma 1- lett. d, della legge 184 del 1983, secondo cui l’adozione è consentita  quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo, impossibilità però malamente intesa dal Tribunale integrata, in assenza  dello stato di abbandono della minore (convivente con la madre), anche dalla impossibilità giuridica dell’affidamento preadottivo, proprio perché la minore,  non essendo in stato di abbandono, non poteva essere ammessa a siffatta forma di affidamento.

E’, sia consentito, il fatidico caso del cane che si morde la coda, in quanto la condizione mancante per potere procedere all’adozione ordinaria è stata letta in sentenza come condizione legittimante il ricorso all’adozione particolare. Si tratta di una palese illogicità.

La sentenza, a parere di questa Unione Giuristi Cattolici, non potrà sottrarsi alle censure del giudizio d’appello.

*Presidente Unione Giuristi Cattolici – Sezione di Reggio Emilia

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