Perchè il Pd ha perso il 5% tra le europee e le comunali?

27/5/2014 – Si nota una differenza vistosa nel voto al Pd tra le europee e le comunali di Reggio capoluogo.

I democrat hanno senza dubbio conseguito una vittoria dilagante. In certi comuni i sindaci, come Bini a Castelnovo Monti, hanno sfiorato l’80% o addirittura sono arrivati alle soglie del 90: i povigliesi hanno rieletto Manghi con l’89% dei voti. Tuttavia qualche scostamento al ribasso, a livello locale, c’è.

Riguarda essenzialmente la differenza dei risultati del Pd alle europee e alle comunali. Sono cinquemila gli elettori che, in pochi secondi, dopo averlo votato per l’Europa, hanno abbandonato il Pd  a favore di un’altra lista. Il dato che stiamo analizzando riguarda le 161 sezioni del comune di Reggio.

In 46 mila 094 hanno votato Pd alle europee, ma “solo” 40 mila 908 hanno confermato il voto alle comunali. 55,31% alle europee e “solo” 49,87 alle comunali. Il che significa che, sia pure per tredici centesimi, senza l’apporto delle altre liste della coalizione (in particolare di Sel) Luca Vecchi non solo non avrebbe conseguito il bel 56,39% che gli ha permesso di diventare sindaco di gran carriera e con un risultato largamente superiore a quello di Delrio nel 2009, ma avrebbe dovuto affrontare il ballottaggio. Il ragionamento è quello che è, però serve a evidenziare un problema che, smaltita la sbornia della vittoria, il Pd farebbe bene a non trascurare.

Dovrebbe chiedersi, insomma, dov’è finito quel 5,7% venuto a mancare al conto di Vecchi: è sufficiente liquidare la questione con la dispersione del voto anche all’interno della coalizione? Probabilmente no, perché alle europee c’era la lista Tsipras col 5,32%, mentre nel rassemblement del sindaco Sel ha portato il 3,07%. Non si può neppure scaricare la colpa sui grillini, visto che hanno preso più voti alle europee che al comune di Reggio (e anche in questo caso viene da chiedersi perchè).

Altre peculiarità non trascurabili di queste elezioni sono:

a) il risultato deludente delle liste civiche, che hanno pagato da un lato la mancanza di un aggancio nazionale e dall’altra un ingresso ufficiale in campo dei candidato troppo vicino al voto;

b) il disastro di Forza Italia, che (parliamo sempre del capoluogo) si riduce al 7,6% rispetto al 15,52% del 2009 e al 13,51% delle ultime politiche.

Diciamo pure che il partito è rimasto in vita grazie essenzialmente alla campagna forsennata condotta dal capolista Giuseppe Pagliani e anche da Claudio Bassi: uno ha portato 671 preferenze, record interno e anche la miglior performance in queste elezioni, l’altro 468: un’iniezione ricostituente rivelatasi essenziale per far uscire il paziente dalla prognosi riservatissima.

Per Forza Italia si apre un periodo di lavoro duro, di ricostruzione e cambiamenti radicali. Il centrodestra, come ha notato un Sandro Bondi inascoltato e ormai sull’Aventino, non ha saputo rispondere in modo adeguato alla novità “enorme” rappresentata da Matteo Renzi. Infatti una buona fetta di elettorato moderato è migrata, anche a Reggio, da Berlusconi a Renzi. Il problema è inedito e, fra le altre cose, rivela come il rimescolamento di carte nell’elettorato sia più profondo di quanto non si creda. (p.l.g.)

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