di Pierluigi Ghiggini
16/5/2014 – Altro che boomerang. Sulla velina che scotta sono in corso indagini non solo per identificare l’autore, ma anche per verificare la veridicità dei fatti che vi sono descritti. Sembra di capirlo dalle parole del candidato sindaco Luca Vecchi e anche del procuratore della Repubblica Giorgio Grandinetti.
Rispondendo ai giornalisti, ieri Grandinetti ha precisato che secondo lui nella lettera non si ravvisano ipotesi di reato: “Ci sono fatti che possono interessare l’opinione pubblica o la politica. Fatti che richiedono una certa conoscenza, comunque un collage di elementi già noti”. E ha aggiunto: “Sicuramente è stata architettata, le finalità possono esser di attacco, come anche essere legittime“.
Grandinetti, scrive a sua volta il Carlino Reggio, non vede “che sbocco possa avere dal punto di vista penalistico, può fornire elementi utili per chi studia il fenomeno”. Per quel che riguarda la diffamazione, “tutto dipende se quanto riportato dalla missiva anonima, che ha avuto una progressiva diffusione, sia vero oppure no”. Grandinetti invece non ha voluto rispondere alla domanda se la lettera sia stata trasmessa alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna: “Su questo non posso fornire informazioni“. Ogni ipotesi a questo punto è aperta, ed legittimo arguire che il testo abbia potuto sollecitare l’attenzione degli inquirenti.
Si sa invece chi è il cittadinio che per primo ha portato la lettera ai Carabinieri. E’ il consigliere comunale Giacomo Giovannini, capolista di Progetto Reggio, che ha reso nota questa circostanza alla presentazione del libro “La banalità del bene, per esempio”, scritto a più mani dai “partigiani urbani”. “E’ una lettera vergognosa da tutti i punti di vista ed è per questo che quanto l’ho ricevuta, sono andato dai Carabinieri. E Luca Vecchi ha fatto bene ad “autodenunciarsi” in procura: è necessario indagare sia per arrivare all’autore, sia su quanto c’è scritto. Ciò detto – ha aggiunto – abbiamo bisogno al governo di Reggio di una classe dirigente nuova, non quella che per anni si è cullata nella storia degli anticorpi (che non c’erano) e neppure di persone inconsapevoli della portata del fenomeno mafioso. Di inconsapevoli alla Roberto Ferrari, che ha comprato una villa da un costruttore finito sotto inchiesta per i rapporti con il clan di Michele Zagaria, non ne abbiamo proprio bisogno».
Chi invece ribalta l’accusa di mafiosità sull’autore della lettera, è Luca Vecchi, una delle persone tirate in balle, e che l’altro ieri è andato a presentare denuncia contro ignoti.
Secondo alcuni, ciò si spiega perché ai vertici del Pd reggiano lo scritto verrebbe interpretato come come un tentativo ricattatorio, di condizionamento da parte di persone portatrici di interessi economici e legate alla ‘ndrangheta.
Oggi Vecchi, in un’intervista a Benedetta Salsi, si dilunga sorprendentemente su particolari non rivelati sinora da nessuno: «Il punto è – afferma – che in quella lettera si provano a teorizzare legami di parentela che non ci sono; con persone che io non conosco, non solo: lo si fa sulla base di presunti fatti che legano queste persone a vicende che non so neanche se siano vere. Da qui poi mi si attribuisce una presunta relazione con ambienti malavitosi: un’infamia di una pesantezza irricevibile. E quindi, necessariamente, da condannare».
E ha aggiunto: «Devo stare attento a quello che dico, c’è un’inchiesta aperta. Ma ho ritenuto di procedere con una denuncia contro ignoti perché aveva in sé contenuti pesantemente diffamatori e intimidatori non solo miei, ma più in generale della mia famiglia». «Credo che sia un’operazione di stampo mafioso… Qui ti dicono che sei un mafioso, ma in realtà chi ti sta facendo queste accuse lo fa attraverso atteggiamenti mafiosi».