3/2/2014 – Con una sentenza del 30 gennaio la Corte di Cassazione ha ribadito la piena validità della norma dello Statuto dei Lavoratori che vieta l’installazione di telecamere per la sorveglianza a distanza senza accordo con i lavoratori o senza l’autorizzazione della Direzione territoriale del Lavoro. In mancanza di queste condizioni, gli apparecchi non possono essere neppure installati e il datore di lavoro è soggetto a condanna penale anche se non sono funzionanti.
Dunque, con la sentenza n. 4331 la Suprema Corte ha stabilito che il datore di lavoro che installa una telecamera senza attendere le autorizzazioni della Direzione Territoriale del Lavoro è penalmente responsabile anche se l’impianto non viene attivato fino al rilascio di queste ultime.
Nel caso in questione il titolare di un supermercato era stato condannato dal Tribunale per violazione dell’articolo 4 comma 2 del legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) in quanto aveva installato un impianto composto da telecamere a circuito chiuso per il controllo a distanza dei lavoratori impiegati alle case, senza ver ancora ricevuto l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Da qui il ricorso in Cassazione del datore, il quale ha lamentato che l’installazione dell’impianto non poteva integrare ipotesi di reato poiché era necessario verificarne l’idoneità a non violare la privacy del dipendente. Le richieste di autorizzazione, poi rilasciate come da progetto, comportavano che le modalità delle riprese non fossero appunto tali da ledere la riservatezza delle persone impiegate alle casse. Inoltre, ha rilevato la difesa, l’impianto non era stato messo in funzione se non dopo il rilascio dell’autorizzazione pervenuta dalla Dtl.
La Cassazione tuttavia ha rilevato che lo Statuto del 1970 all’articolo 4 dispone che gli impianti delle apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi possibilità di controllo dei lavoratori, possono essere installati solo previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e, in mancanza di accordo, in seguito ad un’autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato del lavoro, su istanza presentar dal datore.
Pertanto la disposizione prevede una condotta criminosa in modo diretto, qualora non vi sia consenso sindacale o permesso dell’ispettorato.
A nulla vale l’argomentazione del ricorrente secondo cui la sola installazione della telecamere non è sufficiente a configurare la condotta criminosa, occorrendo anche una successiva verifica della sua idoneità a ledere il diritto alla privacy dei lavoratori.
Invece, per la Cassazione, l’idoneità a ledere tale diritto emerge a colpo d’occhio dalla lettura della norma collocandosi sul piano fattuale e anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché configurandosi come reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno. In aggiunta si fa osservare che dalla descrizione dell’impianto, così come risulta dalla sentenza impugnata, risultavano installate otto microcamere a circuito chiuso, di cui alcune puntate direttamente sulle casse. Ed è proprio dei lavortori alle casse che l’imputazione contest ala violazione della privacy.