18/2/2014 – “Non esiste alcun fondo ungherese intenzionato a produrre Parmigiano tarocco”. Inoltre il presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, si è dimesso da oltre un anno dalla cooperativa Itaca alla quale fanno capo latterie sociali e produttori intenzionati a garantirsi spazio nella commercializzazione del Parmigiano Reggiano. Questa la sostanza di una dettagliata rettifica inviata dal presidente del Consorzio a Massimo Gramellini e al direttore della Stampa Mario Calabresi, dopo il “Buongiorno” in prima pagina e l’articolo interno dedicati ad Alai e alla vicenda del direttore generale del Consorzio, Riccardo Deserti, arrestato per la seconda volta dalla Procura di Roma per vicende relative a quando Deserti lavorava al Ministero delle politiche agricole. Anche ieri, in proposito, la Coldiretti è tornata alla carica contro i vertici del Consorzio, chiedendo perché il direttore non sia stato ancora sospeso dalle sue funzioni.
Nella rettifica alla Stampa (che pubblichiamo sotto), Alai esprime il proprio rammarico personale “del Consorzio del Parmigiano Reggiano per come il quotidiano La Stampa ha trattato in due distinti articoli (a pag 17 e nell’editoriale in prima pagina) il tema delle imitazioni del Parmigiano Reggiano, la mia posizione di Presidente dell’Ente e le vicende che riguardano il dr. Riccardo Deserti, generando – sulla base di informazioni non corrispondenti al vero – discredito ingiustificato e inaccettabile a carico mio e degli amministratori del Consorzio, nonché, indirettamente, sul prodotto stesso”.
18/2/14 – Se il buongiorno si vede dal mattino, quella di oggi sarà una giornata storta. Almeno per Giuseppe Alai, atteso al varco di un risveglio non proprio sereno.
L’editorialista, opinionista e penna di punta del quotidiano nazionale La Stampa, infatti, Massimo Gramellini, stamani sfodera tutta la sua ironia ciarliera-giornaliera per dar contro al presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano, e lo fa intonando il verso di una canzone-simbolo molto celebrata dalle nostre parti: “O parmigiano (nel senso di formaggio), portami via”. Come dire: ciao bello, bello ciao…
La celebre rubrica “Buongiorno“, che lo scrittore e ospite televisivo Gramellini cura con successo crescente da anni, a cadenza quotidiana, sulla prima pagina del newspaper torinese, stamani è interamente dedicata al presidente “Allai” (con due “l”, così è scritto nella puntata odierna della rubrica), da molti prontamente ribattezzato “Alai Lama” in virtù della calma – più buddista che luddista – con cui saprà certamente incassare l’affondo birichino del giornalista mattiniero. O no?
Ecco la puntata di “Buongiorno” pubblicata stamattina, titolata appunto “O parmigiano, portami via“. Ovvero: una mattina – quella di oggi, 18 febbraio – il povero Alai si sveglia e all’edicola sotto casa (o magari al bar vicino al suo ufficio) trova l’invasore-cesellatore armato di fioretto, appostato proprio lì per prendersela con l’amato presidente del consorzio del Partig… pardon: del Parmigiano Reggiano.
Qui sotto, il testo integrale della rubrica di Gramellini.
***
“O parmigiano, portami via
Il presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano è anche presidente di una società che controlla un fondo ungherese intenzionato a produrre del parmigiano tarocco.
Detta così, sembra una tresca incredibile persino nella patria degli svergognati professionali: il Parmigiano Capo che sovvenziona il nemico intenzionato a distruggerlo.
Questo presidente ai quattro formaggi si chiama Giuseppe Allai e davanti ai sopraccigli inarcati dei nostalgici del made in Italy cade dalle nuvole come una grattugiata sul sugo. Sostiene di non avere mai saputo che il fondo ungherese avesse intenzioni in contrasto con la sua funzione di sommo garante della parmigianeria italica. Poi sfodera quella che a lui evidentemente sembrerà l’attenuante definitiva: era solo un’operazione finanziaria.
Ma se fosse proprio lì il problema? Secondo una certa visione crepuscolare del capitalismo i soldi non servono a nient’altro che a fare soldi. L’idea che servano a fare cose – e che queste cose abbiano una funzione economica e sociale che non le rende tutte fungibili fra loro – viene considerata un vezzo retrò.
Può darsi che abbiano ragione i parmigiani supremi. Anzi, da come va il mondo, ce l’hanno di sicuro. Per cui non resta che sedersi sul bordo della grattugia e aspettare. Che, a furia di spostare soldi da un piatto all’altro, senza alcun aggancio né rispetto per le persone e le cose, tutti si comprino e si vendano a vicenda, finché l’intero sistema si scioglierà come formaggio in una minestra fin troppo riscaldata”.
(Massimo Gramellini, “La Stampa”, prima pagina)
***
LA RETTIFICA INVIATA DA ALAI ALLA DIREZIONE DELLA STAMPA
Nell’articolo apparso su La Stampa in data 18 febbraio 2014, prima pagina, con il titolo “O Parmigiano portami via” e nell’articolo apparso nella stessa data a pag. 17, con il titolo “Gli strani affari di Mr. Parmigiano con gli imitatori ungheresi”, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ravvisa elementi di falsità ed inesattezze che generano discredito grave ed ingiustificato a carico dello stesso Ente.
1) Non è vero – come invece si scrive nell’articolo in prima pagina – che “il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano è anche presidente di una società che controlla un fondo ungherese intenzionato a produrre del Parmigiano tarocco”. Non solo non esiste alcun fondo ungherese e non solo il presidente del Consorzio si è dimesso da oltre un anno dalla società cooperativa Itaca cui fanno capo diverse latterie sociali e i loro produttori per garantirsi spazio nella commercializzazione del Parmigiano Reggiano, ma la stessa società non detiene alcuna partecipazione diretta nell’azienda Magyar Sait Ktf cui si fa riferimento nell’articolo a pagina 17.
E’ vero, invece, che in data 26 marzo2013 il Comitato Esecutivo del Consorzio del Parmigiano e, in data 27 marzo 2013, il Consiglio di amministrazione dell’Ente (due mesi dopo le dimissioni del presidente Alai da Itaca) hanno sancito – acquisendo i contenuti di uno specifico parere legale richiesto al proposito – la non esistenza di condizioni di incompatibilità a carico del presidente Consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, e che questa condizione sussisteva già prima delle sue dimissioni dalla presidenza della cooperativa Itaca, che dopo quattro anelli di partecipazioni non influenzabili dopo il primo (Itaca in Sofinc, ma poi Sofinc in Nuova Castelli, quest’ultima – a maggioranza di un privato – con una quota minoritaria in una spa che a propria volta controlla la società ungherese Magyar, produttrice di un similgrana), arriverebbe a detenere, se si trattasse di una via diretta, lo 0,12% della società magiara.
2) Le dimissioni del presidente Giuseppe Alai da Itaca sono giunte senza alcuna sollecitazione e senza alcun invito “esterno”, ma sulle base di autonome informazioni sull’attività della società magiara che, seppure non partecipata e tantomeno amministrata, potevano lasciare intravvedere una incompatibilità anche solo morale – poi rivelatasi insussistente – con l’incarico di presidente del Consorzio.
3) Non è vero che il magazzino di formaggio cui si fa riferimento nell’articolo di pag 17 (e che peraltro non sarebbe stato né il più grande del mondo, come invece sostiene l’articolo, né il più grande del Nord Italia) lo dovesse costruire la società magiara, così come non è vero che non fosse destinato a Parmigiano Reggiano. Il progetto era di un’azienda totalmente italiana e privata che è storicamente legata alla commercializzazione di Parmigiano Reggiano.
4) Quanto alla vicenda che investe il direttore del Consorzio, l’articolo a pag 17 de La stampa potrebbe lasciar intendere che vi siano indagini legate a queste sue funzioni, quando in realtà si tratta di vicende che nulla hanno a che vedere con il Consorzio, che al proposito si riserva ogni valutazione e decisione.
5) Nell’esprimere rammarico per gli elementi di falsità contenuti nei due articoli e per il conseguente discredito a carico di persone, enti e società, il Consorzio del Parmigiano Reggiano e il suo presidente,anche a titolo individuale, si riservano ogni azione a tutela del loro buon nome e dell’interesse degli oltre 380 caseifici consorziati e dei quasi 3.500 produttori interessati.