10/1/14. Cappello introduttivo generale, a mo’ di supercazzola
Stampa e potere. Oppure Media&Regime, come direbbero al Fatto Quotidiano. Apparenze o appartenenze, censure o clausure, embedded o kamikaze, sovvenzioni statali e giornali di partito, i cittadini e i privilegiati, le ricostruzioni di parte versus gli sfogatoi “ad mentula canis”, il bene o il male, le gogne mediatiche e le rogne partitiche, la rava e la fava. Tutti contro tutti, persino giornalisti contro giornalisti, ballando il twist della scaramuccia a colpi di tweet compulsivi. La situazione è fuori controllo, siamo al tutti contro tutti, o meglio, al si salvi chi può!
Sì, in Italia il calderone dell’informazione (soprattutto politica) ribolle da anni: tra accuse e difese, pretesti e contesti, proteste e pretini, prebende e testicoli, e senza esclusione di colpi o di colpe, tra cani da guardia che azzannano pure gli innocenti e cani da riporto (copyright Travaglio) che scodinzolano al Principe di turno. Tutti commentano sopra le righe, anche a sproposito, non esistono più le mezze misure e le sfumature, men che meno le mezze stagioni. Da qui le note divisioni manichee, la moralità draconiana, i giudizi tranchant, i toni lapidari, le guerre lampo, le sentenze drastiche, le velleità antifrastiche.
Vabbè, e allora? Chissenefrega. Massì, è la press, bellezza, anche a costo di rischiare qualche presa per il column.
Insomma, giornalisti nel mirino, finiti nel reparto SOS (sotto osservazione stretta) del fact checking – la verità dei fatti) e quindi attenzionati da cecchini pignolini e certosini, ma non immuni dalle contraddizioni.
Anche da noi in Emilia, periferia dell’Impero. Giusto: mica sono una casta (pure loro! cioè, pure noi, visto che apparteniamo alla oggi fin troppo bistrattata categoria), mica sono intoccabili o sempre e comunque al di sopra di ogni sospetto di imparzialità, direte voi; anche loro sbagliano. E allora? Replicate, replicate, magari con senso del gusto e della misura, gli strumenti della controinformazione non mancano, anzi, oggi si usano talvolta a sproposito, perché nel dubbio è meglio esagerare ed esacerbare, gridare “al lupo!”, prendersela con le persone e non con le opinioni, fare baccano per attirare l’attenzione, fare anche la vittima di chissà quale potere forte o Forte Alamo. Mah, sarà…
Tutti chiacchiere e distintivo (o tesserino)? Ok, dite sempre voi, come fosse il nuovo sport nazionale e soprattutto ammesso e concesso che i giornali contino ancora qualcosa nella formazione di una pubblica opinione (sempre più pubica, cioè viscerale, di pancia… ragionamento addio, oggi contano i muscoli, complice anche la fretta): che scendano dalla brocca, ogni tanto, e la smettano di farci le pulci o, peggio, le prediche dai talk show tutti lì assisi (non nel senso di San Francesco) sui piedistalli Rai o sui trespoli Mediaset o sui sicomori di La7; e comunque le critiche si fanno e le critiche si prendono, è il gioco di squadra dei giochi di ruolo, tu libertà di stampa augh! e io libertà di stamparti un grattone virtuale sì buana!, così va il mondo, c’est la vie e a volte ci sta ma altre volte succede troppo spesso e dunque non ci starebbe tanto, ma è la dialettica democratica, io legifero e tu controlli, e guai a dire o a scrivere bao, sennò ti faccio bau-bau.
Io Tarzan di governo e tu Jane del Quarto Potere, dio c’è o ci fa, e si stava meglio quando si stava peggio, quando c’erano poche tv e pochi giornali, quando Internet non c’era e la protesta social, semmai (la comunicazione orizzontale, dal basso, a doppio canale: contro la catechizzazione verticale, univoca e arbitraria dell’informazione imposta e non condivisa, non ribilanciata dallo sciame dei singoli consumatori diventati produttori di contenuti – i prosumer, parola cara al maoismo digitale), era fatta di lettere ai direttori dittatori (spesso non pubblicate o tagliate o neutralizzate da sapidi rigaggi in coda a mo’ di replica tombale e a volte pure “trombale”), di fax di girotondini o di monetine tirate alle auto blu nelle strade o fuori dagli hotel della casta.
Ok. Ma da qui a prendersela per ogni osservazione non gradita, additando questo o quello solo perché non scrive ciò che vorremmo leggere, beh, ce ne corre parecchio. Si chiama democrazia, teniamocela stretta.
Keep calm and stay sereni. Calma e “nesso”, cioè con juicio.
Simil-supercazzola vera e propria – Il caso di oggi
Tuttavia… Ordunque… Ebbene… Qualche giorno fa l’affondo pubblico della presidente della Provincia nei confronti di un cronista (un pronista? no; un tronista? nemmeno) di un quotidiano locale. Ieri, invece, le esternazioni all’indirizzo (mail) di un veterano della chiosa, di un saggista di fioretto puntuale e solitamente pacato (è scritto con la “c”, non fate i furbi coi soliti calembours…), dalla prosa fluida e ricca d’incisi, nondimeno incisiva, ricca di citazioni pop e di quella filosofia francese anche noi tanto cara.
Dicevamo (dai, un po’ di pazienza e arriviamo alla notizia)…
Ecco. Stavolta è toccato al reggiano Massimiliano Panarari finire nell’occhio del ciclone (o del Ciclope? battutona!) del gigantismo online formato “vaffa”, cioè del grillismo più militante che mitigante (grillismo, non grullismo, sia chiaro: respect), stavolta in chiave locale con serratura universale – una sorta di Maxpartout che apre finestre sul mondo condiviso ma che poi chiude porte (in faccia) a dissidenti o dissenzienti o dissacratori dal verbo del guru di Genova? Carta canta, certo, ma la musica va interpretata e contestata nel merito, non liquidata con un sommario processo alle intenzioni (fossero anche le peggiori intenzioni, come direbbe lo scrittore Piperno), né con una caccia alle streghe di Eastwick (fossero anche di palazzo) o agli sciamani di Castaneda (fossero anche da salotto radical chic).
E’ successo ieri per mano (anzi, per smartphone: battutona number two) del consigliere comunale del Movimento 5 Stelle reggiano Matteo Olivieri, il quale sul proprio profilo Facebook ha postato un commento piuttosto critico nei confronti del Max politologo, a sua volta estensore di un editoriale non amorevole nei confronti del “mondo grillante”, pubblicato sulla prima della Gazzetta (non dello Sport, nemmeno dello Spot, men che meno dello Spin – nel senso di doctor: più semplicemente la Gazzetta di Reggio). Per la serie: dimmi dove scrivi e ti dirò chi sei, e con chi stai, o se ci fai. Uhm, troppo facile.
Olivieri, che non ha gradito alcuni passaggi – quali? boh, non lo specifica – vergati dall’intellettuale ostile a “Drive In” e dunque inviso al Gabibbo, ha attaccato con velata ironia e disvelata ferocia (per futili motivi, potremmo dire) il già consulente del comune di Reggio e di altri enti pubblici o istituzioni private non solo in zona, nonché professore universitario con esperienze in diversi atenei.
Oh, in poche ore la sua scomunica a divinis (e a giornalis) tramite post-it appiccicato in rete ha ottenuto 42 mi piace, 12 condivisioni e 35 commenti: segno che le polemiche anti-qualcosa, anche basta che sia, fanno proseliti, basta il “la” di qualcuno. Della serie: dal blog del leader Grillo (celebre la rubrica “il giornalista del giorno”, che ha visto finire sul banco dei “purgati” prima la Oppo, poi Merlo e quindi altri ancora, con code polemiche e dibattiti infiniti) al blob degli attivisti ed eletti di provincia il passo (o il contrappasso, chi lo sa) è breve – a tratti anche greve.
Panarari detto Max (Weber), in questo frangente trattato come un mezzo reprobo e mezzo relapso dalla severa tribuna (tribunale) digitale del popolo pentastellato, oltre a essere politologo è anche notista poli-massmediologo poli-testata (già: oltre a interventi sul quotidiano Finegil del gruppo L’Espresso-La Repubblica collabora pure con “La Stampa” di Torino e con “Europa” del Pd, così come in passato ha scritto sulle pagine culturali del tabloid di De Benedetti… come dire: da Sorgi a Sorgenia – altra battutona, la terza: stavolta per esperti conoscitori del risiko editoriale italiano, ndr).
Tradotto: il bravo, quotato e richiestissimo espositore multicanale Max, che pur citando spesso Debord deborda raramente, ossia lo studioso dell’egemonia sottoculturale e del situazionismo televisivo famoso per aver fatto incazzare sia Antonio Ricci sia Vasco Rossi (che hanno reagito come grilini qualsiasi, cioè bacchettandolo), spopola anche sui quotidiani reggiani, tanto che se qualche lettore o fan, per dire, si perde un suo pezzo sulla Gazzetta il giovedì, beh, poco male: può sempre leggerne un altro – chenneso – il venerdì sul quotidiano che esce in panino con Prima Pagina. Morale: ciù gust is mei che uan, diceva lo spot del Maxicono.
P.S. “Reggio Report”, per la cronaca, come sempre equidistante ed equivicino alle beghe terrene, su Facebook non è né amico di Olivieri né amico di Panarari. Peccato, ciò per noi è fonte di turbamento professionale e insoddisfazione politica. Ce ne faremo mai una ragione? Ci auguriamo, nel nostro piccolo, di ricevere presto una richiesta di amicizia.
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