12/12 – Il pessimismo regna sovrano fra i reggiani, anche se meno della media degli italiani. E non esiste più la città dalle incrollabili incertezze ideologiche: il busto di Lenin di Cavriago rischia di fare la fine del monumento in Ucraina. Il migliore dei mondi possibile e veramente finito. Esagerazioni? No, a giudicare dai risultati dell’indagine annuale sul sentiment dei reggiani, realizzata da AstraRicerche per conto di Unindustria e presentata come sempre nell’incontro di fine anno dell’associazione di via Toschi: il primo incontro dopo la fusione tra Industriali e l’associazione dei piccoli imprenditori.
Il rapporto basato su un campione di 500 persone è stato presentato ieri mattina ai giornalisti dal padrone di casa, il presidente di Unindustria Stefano Landi, e da Enrico Finzi, guru di Astra. Poi al teatro Ariosto, in serata, per l’incontro ufficiale dal titolo “2014 tra speranza e incertezza”. Dopo la relazione di Stefano Landi (vedere sotto) sono intervenuti il direttore del Sole 24 ore Roberto Napoletano e il direttore di Class Cnbc Italia Andrea Cabrini.
Fra qualche ovvietà (ad esempio che “per i reggiani la città di notte è un mortorio”) Finzi almeno una novità l’ha regalata ai giornalisti: «Dall’indagine emerge che esistono le precondizioni di una accresciuta mobilità elettorale nella vostra città, dovuta a un diffuso senso di lontananza delle istituzioni. Questo non vuol dire che le sorprese debbano arrivare per forza di cose dal Movimento 5 Stelle, ma che liste civiche vere, all’insegna di un vero cambiamento, potrebbero ottenere molti voti».
Un considerazione in linea con l’auspicio di Unindustria, espresso nel comunicato di presentazione, che la prossima tornata elettorale «porti ad un rinnovamento dei principali vertici istituzionali, chiamati a dare risposte concrete ed immediate sull’atteso sviluppo del territorio». E’ il licenziamento in tronco della giunta ex-Delrio e della maggioranza che lo sostiene? Certamente sono lontani i tempi della concertazione e della ricerca di accordi a tutti i costi. Forse questa volta la frase finale di Landi (“Gli industriali reggiani sono pronti a fare la loro parte“) non è così scontata e di prammatica.
IL PESSIMISMO DEI REGGIANI NEL’INDAGINE DI FINZI
Scondo il 48% degli intervistati, nel 2014 la crisi si aggraverà ancora, menre per gli altri potrebbe rallentare a macchia di leopardo. Tuttavia l’anno scorso i pessimisti erano il 56%, segno che qualcuno comincia a respirare, anche se per il 54% la situazione economica rimane negativa o molto negativa. Il dato è molto migliore rispetto a quello nazionale dove i pessimisti raggiungono il 75%. I reggiani sono preoccupati soprattutto per “la qualità etica della classe dirigente”, per la sicurezza e per i risparmi delle famiglie. Tra i fattori positivi destinati a migliorare nei prossimi cinque anni, gli intervistati mettono l’export, la competitività delle imprese reggiane, il sistema sanitario.
In vista delle elezioni amministrative di primavera, i reggiani chiedeno crescita e occupazione, lotta alla criminalità e sostegno ai deboli. Inoltre il miglioramento della viabilità, dei trasporti urbani e il rilancio del centro storico, lo sviluppo dell’area Nord, il rilancio delle Fiere e città e paesi più animati.
DA UNINDUSTRIA SPINTA ALL’OTTIMISMO
Stefano Landi ha proposto una riflessione sulle ancora troppe e perduranti criticità che minano i presupposti della ripresa per il nostro Paese.
Un riferimento rivolto alle turbolenze finanziarie, alle difficoltà della politica, all’inefficienza della Pubblica Amministrazione, alla burocrazia, all’entità del prelievo fiscale ma anche all’evasione, ai ritardi del sistema educativo e degli studi, alla crisi morale e di valori che colpisce l’intera società.
Ha poi messo in fila le magagne del sistema locale (significativo l’accenno alla situazione delle Fiere) ma anche spezzato una lancia, com’è nella tradizione degli industriali, a favore di una “condivisione preventiva” tra amministrazioni e categorie, tra pubblico e privato. Nondimeno per Landi le prossime scadenze istituzionali, le elezioni, ma anche il rinnovo dei vertici camerali, sono fra gli elementi fondamentali per l’avvio di un nuovo ciclo. Il suo è apparso a molti come un programma di governo.
«Gli amministratori che risulteranno eletti – ha detto – dovranno essere ben consapevoli di essere chiamati a gestire un processo di transizione indispensabile per adeguare il sistema locale alla nuova dimensione globale».
Un messaggio che è anche un pre-annuncio di una discesa in campo, diretta o indiretta che sia? Se è così lo sapremo fra non molto. Certamente se dovesse realizzarsi la profezia di Finzi (una lista civica vera) il cuore di Unindustria potrebbe battere, per la prima volta, da quella parte.
In ogni caso Landi ha voluto lanciareanche un messaggio di ottimismo: «Reggio non parte svantaggiata» in una nuova stagione di sviluppo. «Questa sera intendiamo confermare la nostra fiducia in una prospettiva di crescita capace di comporre le ragioni dell’economia e quelle della società. L’esperienza accumulata andando per il mondo ci dice che esistono tutti i presupposti per far sì che Reggio Emilia si confermi come territorio d’eccellenza».
IL DISCORSO COMPLETO DI STEFANO LANDI
«Con questo appuntamento l’Osservatorio sulla società reggiana ha raggiunto la settima edizione. Sette anni d’impegno ai quali è corrisposto un periodo segnato da profonde discontinuità.
Il nostro Paese ha subito più di altri i colpi della crisi. Oggi, come ha rilevato il Censis, tutti gli italiani sono infelici e preoccupati. Gli imprenditori, le fasce sociali più deboli e i giovani lo sono ancor più degli altri.
Un sentimento che trae origine da una drammatica consapevolezza: senza un progetto per il futuro le difficoltà possono trasformarsi in ostacoli insuperabili. Gli indicatori economici, gli effetti della crisi, i troppi ritardi del Paese, le pressioni competitive e la scala globale dei mercati, sollecitano la revisione del modo di pensare e di agire che ci ha accompagnato negli ultimi decenni.
Quella che stiamo vivendo, infatti, non è una svolta del ciclo economico, ma una vera ristrutturazione dell’ordine economico esistente prima della crisi. Dunque, ogni imprenditore, così come la gran parte dei cittadini, deve affrontare nuovi modi di pensare, di lavorare e, soprattutto, di produrre valore.
Dopo oltre venti trimestri di recessione conclamata, la contabilità nazionale e il clima di fiducia indicano una possibile inversione di tendenza.
A questo riguardo è bene tener presente due cose. La prima è che quando i miglioramenti si misurano in decimali non significano nulla per l’economia reale. La seconda, è che tentare previsioni rimane a tutt’oggi un esercizio avventato. Troppe, infatti, sono le variabili che possono inceppare la fragile ripresa. Dai conflitti medio-orientali a quelli del Nord Africa; dal perdurante eccesso di capacità produttiva al rischio di deflazione; dall’instabilità finanziaria al debito pubblico dei paesi sviluppati, primo fra tutti il nostro.
Ma non si tratta solo di questo. Il contesto – vale a dire le condizioni del nostro Paese – continua ad essere inadeguato alle nostre esigenze e ai nostri progetti industriali.
La politica, nonostante il crollo di credibilità, è troppo presa nei suoi conflitti autoreferenziali, continua a dimenticare i problemi del Paese e quando interviene lo fa con atteggiamenti ondivaghi e iniziative contraddittorie.
La maggior delusione – lasciatemelo dire – è che non riusciamo a vedere né la soppressione di un ente, né alcuna concreta semplificazione. Nessun cenno di revisione di quella regola della burocrazia per cui quanto più si è inutili, tanto più, per poter sopravvivere, si deve essere lenti e sottili nelle interpretazioni.
Le clamorose presunte frodi fiscali – che troppo spesso si sgonfiano dopo anni di contenzioso – sono la dimostrazione più eclatante di uno zelo che ignora l’inciviltà di imprese come quella di Prato nella quale sono morti sette esseri umani, ma si accanisce nei confronti di aziende colpevoli solo di esportare – e molto – nel mondo.
Non dobbiamo stancarci di denunciare –come ho fatto in questi anni– che ci sono troppe leggi, troppa carta e troppa malafede nella semplificazione all’italiana. Quanti punti di PIL avremmo potuto recuperare solo con una maggiore efficienza delle Istituzioni e della Pubblica Amministrazione?
Oggi non sono più sostenibili la lunghezza e l’opacità delle procedure amministrative. È un dato conclamato il fatto che l’accaparramento di risorse pubbliche, da parte della criminalità, è stato favorito dall’affollarsi disorganizzato e inefficiente di uffici, procedure e autorizzazioni. Il quadro è vasto e va dagli appalti pubblici alle frodi comunitarie agli stessi strumenti agevolativi.
Sono necessari una radicale semplificazione delle procedure amministrative e meccanismi che facilitino rapporti sempre più diretti e trasparenti tra imprese e pubbliche amministrazioni. Quelle richiamate sono questioni vitali, per imprese e cittadini, la cui soluzione da troppo tempo appare un sogno irrealizzabile.
Non stupisce, dunque, se diminuisce con progressione geometrica la speranza di veder riformato il Paese. Così, ogni imprenditore deve inventarsi la ripresa assolvendo, ogni giorno, ad almeno quattro compiti.
Mandare avanti la propria azienda. Renderla migliore: cioè innovare. Andare per il mondo: ovvero internazionalizzarsi. Contribuire a migliorare se stesso, la propria impresa e la sua filiera, attraverso collaborazioni tra imprese.
Supportare tutte queste attività è stata la mission di Unindustria Reggio Emilia nel suo primo anno di vita. Un impegno svolto nella consapevolezza che la vera priorità sociale è costituita dal lavoro.
Negli ultimi sette anni il tasso di disoccupazione nella nostra provincia è più che raddoppiato.
Un dato preoccupante che, tuttavia, richiede di essere interpretato. Il nostro territorio, infatti, esprime una disoccupazione tra le più basse d’Italia e largamente inferiore alla media europea. Un risultato possibile perché in questi anni molte aziende reggiane hanno compreso di essere di fronte alla fine di un ciclo di sviluppo e, agendo di conseguenza, hanno scelto di rinnovarsi.
Il successo del nostro export è la conferma di questa capacità adattativa nei confronti del nuovo paradigma produttivo e organizzativo del ventunesimo secolo. Un risultato determinato in larga misura da medie imprese che si collocano sulla frontiera tecnologica del medium hi-tech.
Ma sono ancora molti i piccoli e medi imprenditori reggiani che devono avviare il cambiamento culturale indispensabile per liberare le potenzialità delle loro imprese. Mi riferisco ad aziende che soffrono in modo particolare non solo la caduta della domanda interna, ma anche la voracità del fisco e la stretta creditizia
A questo proposito voglio ricordare che la nostra richiesta alle banche è sempre la stessa. Date fiducia alle tante aziende che hanno capacità di pagare gli interessi sui prestiti loro concessi e che, attraverso questi, possono creare più produzione, più investimenti e, soprattutto, occupazione.
Anche sul fronte delle relazioni industriali c’è molto da fare a condizione che il confronto con i Sindacati si fondi sulla concretezza.
In altri termini, è indispensabile rimuovere i pregiudizi e rivedere i modelli di un mondo del lavoro che da tempo non esiste più. Non abbiamo alternative: dobbiamo riprendere in mano il nostro futuro e dobbiamo farlo, prima di tutto, a livello locale. Colpisce, a questo proposito, che i reggiani si dividano in due gruppi sostanzialmente equivalenti: gli ottimisti e i pessimisti.
Un esito nel quale si ritrovano quella speranza e quella incertezza che danno il titolo all’incontro di stasera. Il nostro Osservatorio – come tra poco vedremo – conferma anche la crescita della fiducia accordata alle imprese, percepite ormai come un patrimonio sociale di insostituibile valore.
Se da una parte siamo compiaciuti di questo riconoscimento, dall’altra, rileviamo il rischio di un sovraccarico di attese. Faccio questa affermazione nella consapevolezza che le premesse dello sviluppo non sono, né potrebbero essere, compito esclusivo delle imprese e tantomeno delle loro Organizzazioni di rappresentanza. La sfida che lo scenario internazionale pone al nostro modello di sviluppo interessa l’intera comunità.
Territorio, Istituzioni e società civile possono avere un ruolo fondamentale nel creare le premesse di crescita se comprendono che le competenze distintive del nostro territorio, da anni centrate sul saper fare, devono riposizionarsi sul saper innovare.
Un obiettivo come questo impone l’attivazione di un ciclo di investimenti con risultati differiti nel tempo. Una prospettiva che, sotto molti aspetti, coincide con le attese espresse in questi anni dalla società reggiana e puntualmente registrate dal nostro Osservatorio.
Uno stato d’animo, volto al futuro, sintetizzabile in una precisa richiesta: bisticciate meno, collaborate di più e, soprattutto, coinvolgete di più società civile e cittadini.
Un sentiment che nonostante i molti segnali positivi stride con questioni aperte come, per limitarci a un solo esempio, il futuro della Fiera. Non sono in grado di dire se la vicenda della Fiera finirà bene oppure se si trascinerà come un pasticcio nel quale tutti hanno ragione e nessuno torto.
Mi auguro, in ogni caso, che questa esperienza – una volta diradato il polverone polemico – possa servire per orientare gli Amministratori locali, la Camera di Commercio e le Categorie economiche verso un modo di operare fondato sulla condivisione dei progetti.
Per realizzare tutto ciò, si deve abbandonare la logica secondo la quale se uno vince, l’altro perde. Troppo spesso in Italia e a Reggio Emilia ci si è scontrati tra “parti avverse” come: imprese e lavoro, pubblico e privato o, ancora, profitto e solidarietà. La soluzione, ovviamente, non è l’annullamento delle identità e delle differenze e neppure la ricerca di qualsiasi compromesso possibile.
Tale approccio, fondato sull’incapacità di decidere, rappresenta, infatti, una delle principali cause della grave crisi attraversata dal Paese. Il nostro futuro, al contrario, deve fondarsi sulla creazione di valore in maniera condivisa.
Un obiettivo che impone di combinare tra loro l’azione imprenditoriale, l’amministrazione locale e le iniziative capaci per la competitività territoriale. L’ancora esile trama imbastita per garantire il presidio territoriale dell’innovazione rappresenta un esempio.
Penso, in particolare, a Reggio Emilia Innovazione. Nonostante la complessità e l’assenza di dipendenza gerarchica tra gli attori coinvolti in questo progetto, nei giorni scorsi l’insieme degli stakeholder reggiani ha sottoscritto un significativo Protocollo d’intesa. Il dato di maggior rilievo, riferito a questo accordo, è il pieno riconoscimento di Reggio Emilia Innovazione come punto di riferimento locale per le iniziative riconducibili all’innovazione.
Ciò significa, in altri termini, che la governance dell’innovazione nel territorio reggiano sarà, via via e in forma sempre maggiore, coordinata e attuata da Reggio Emilia Innovazione che, dal 2012, è abilitata come interfaccia tra le imprese, il Tecnopolo locale e la Rete Regionale Alta Tecnologia. Una metodologia, quella fondata sulla condivisione preventiva, che deve essere applicata anche alle altre grandi scelte che interessano il nostro Capoluogo, il suo territorio e la sua economia.
Tutti gli interventi programmati, siano essi di piccole, medie o grandi dimensioni, devono rappresentare, nel lungo periodo, un motore di sviluppo economico, sociale e culturale.
Per questo è indispensabile creare una comunità di stakeholders che condivida un progetto locale di riposizionamento competitivo. Un obiettivo la cui praticabilità è confermata da alcuni elementi che prefigurano l’avvio di un nuovo ciclo.
Il primo, come abbiamo visto, è il costante processo di trasformazione del sistema produttivo reggiano.
Il secondo, è l’accelerazione delle dinamiche indotte dalla crisi e dall’affermarsi di nuovi paradigmi.
Il terzo, infine, è costituito da alcune precise scadenze istituzionali. Ci riferiamo al rinnovo del governo locale con l’avvio di una nuova legislatura. A questo appuntamento si affiancano il rinnovo dei vertici della Camera di Commercio e della Fondazione Manodori; per non considerare poi la riorganizzazione del sistema istituzionale con la prevista abolizione delle province.
Scadenze che offrono l’opportunità di misurare non solo quanto è stato fatto, ma anche e soprattutto, quali sono le priorità, i progetti e gli obiettivi che, negli anni a venire, devono essere perseguiti. Il tema della riqualificazione dell’Area Nord e il ruolo della Stazione Medio Padana rappresentano in tal senso un ulteriore banco di prova. Ora che il nuovo scalo è attivo è indispensabile non solo colmare i troppi ritardi infrastrutturali, ma anche elaborare una nuova consapevolezza “mediopadana”.
La comunità reggiana deve comprendere, prima di tutto, che il “ruolo mediopadano” è un’opportunità da costruire pazientemente e faticosamente nel tempo. In altri termini, l’assunzione del nuovo paradigma mediopadano deve determinare un innalzamento della scala progettuale, della qualità e persino dei contenuti simbolici ascrivibili a ciascuna realizzazione.
Mi riferisco alle attività che contribuiranno a ridefinire non solo l’identità del Capoluogo, ma, sotto molti aspetti, le sue vocazioni e il suo ruolo. Una prospettiva che implica un’ancora più intensa collaborazione tra il pubblico e i privati.
Gli amministratori che risulteranno eletti dovranno essere ben consapevoli di essere chiamati a gestire un processo di transizione indispensabile per adeguare il sistema locale alla nuova dimensione globale.
Saranno chiamati, soprattutto, ad impegnarsi per ridare centralità e protagonismo all’impresa e al lavoro. Per questa ragione la prossima campagna elettorale deve diventare il luogo privilegiato nel quale pensare al nostro domani.
La nuova stagione di sviluppo dovrà essere fondata sulla persona, sulla conoscenza, sull’intraprendenza e sul lavoro.Un percorso antitetico a quello teorizzato e perseguito da quanti, in odio al profitto e allo sviluppo, teorizzano un’improbabile “decrescita felice”.
Reggio Emilia, come abbiamo visto, non parte certo svantaggiata, ma deve essere chiaro che ci attende un impegno particolarmente lungo e intenso.
Questa sera intendiamo confermare la nostra fiducia in una prospettiva di crescita capace di comporre le ragioni dell’economia e quelle della società. L’esperienza accumulata andando per il mondo ci dice che esistono tutti i presupposti per far si che Reggio Emilia si confermi come territorio d’eccellenza.
In questi difficili anni gli industriali e l’insieme delle Categorie economiche hanno dimostrato non solo una grande maturità, ma anche la capacità di alimentare quella tensione verso il futuro che rappresenta il vero capitale sociale di una comunità.
Ci sentiamo impegnati nella costruzione di un sistema locale motivato a guardare avanti, pronto a innovare e a condividere impegni e responsabilità per costruire il futuro di tutti.
La stessa via che auspichiamo per il nostro Paese. L’avvio di una nuova stagione di riscatto e di rinascita nazionale risponde a regole non molto diverse da quelle che governano un’impresa o una famiglia.
In entrambi i casi il successo dipende dall’armonia e dalla coesione tra le varie componenti.
Al contrario, il suo insuccesso è proporzionale al grado di conflitto e di incoerenza che esiste al suo interno. Lavorare insieme, condividere, costruire un Paese e un territorio più forti, più equi e più civili è una prospettiva possibile che richiede, a ciascuno, non solo coraggio, impegno e generosità, ma anche la disponibilità a qualche rinuncia.
Gli industriali reggiani sono pronti a fare la loro parte».
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Ivaldo
13/12/2013 alle 17:11
Auspico che il Santo Natale dia alla “luce” anche un candidato Sindaco, credibile e competente, alla guida di uno schieramento alternativo al centro sinistra per le prossime elezioni amministrative.