di Pierluigi Ghiggini
21/12 – Si profilano clamorose operazioni antimafia nel reggiano? Si direbbe di sì, dopo le parole pronunciate questa mattina da Roberto Pennisi, magistrato della Direzione nazionale antimafia, intervenuto venerdì mattina in Regione alla presentazione del dossier 2013 di Libera per l’Emilia Romagna.
«La presenza del crimine organizzato – ha detto Pennisi – in Emilia Romagna è di gran lunga più sofisticata e quindi più difficile da smascherare e contrastare. Ma ci riusciremo». Il magistrato ha parlato dei nuovi volti della ‘ndrangheta, per lo più insospettabili, anche con un riferimento esplicito a Reggio Emilia e a Cutro: «Avrete modo dalle nostre iniziative di comprendere come aziende anche di grosse dimensioni, aziende moderne e innovative, abbiano al loro interno i capitali della ‘ndrangheta».
I presenti hanno ricavato l’impressione di un quadro “devastante”. E D’altra parte le rivelazioni di Pennisi gettano una luce del tutto nuova su chi comanda veramente nel crimine calabrese, specialmente in Emilia. E che fanno presagire qualcosa: se alla parola iniziative si sostituisce (com’è legittimo ipotizzare) la parola “inchieste“, si potrebbe intendere che la Dda ha chiuso il cerchio di indagini-choc. A questo punti molti si attendono novità clamorose.
Secondo il rapporto della fondazione Libera (“Mosaico di mafie e antimafie. I numeri del radicamento in Emilia-Romagna”) la nostra regione balza al quarto posto per il riciclaggio di denaro sporco. Peggio stanno solo Lombardia, Lazio e Campania: il numero delle operazioni sospette nel 2012 è stato pari a 5.192. Un’enormità se si pensa che nel 2008 erano 986. In sostanza sono quintuplicate in 4 anni.
Ad attirare l’attenzione della Guardia di Finanza in questo campo sono soprattutto i “compro oro”, settore nel quale si registra l’ingresso delle mafie, con esportazione fittizia di oro per mascherare vendite in nero.
Per quanto riguarda le segnalazioni, è Bologna a registrare il record con 1.169, Seguita dalle 879 di Modena e dalle 822 di Reggio Emilia. Piacenza in coda con 197 segnalazioni: in mezzo le 420 di Forlì-Cesena, le 424 di Parma, le 411 di Ravenna e le 586 di Rimini.
Il rapporto sottolinea che l’allarme di inquirenti e forze dell’ordine è ai massimi livelli. Reggio Emilia, Piacenza, Parma e Modena, infatti, sono state province interessate da anche una consistente ondata migratoria in passato e gli affiliati ai clan facendo leva su questo elemento hanno potuto godere di appoggi e coperture, loro riconosciute non sempre consapevolmente: “Nell’area di cui si tratta è insediata la ‘ndrangheta. E, in particolare, quella proveniente dalla zona di Cutro, provincia di Crotone, area da cui vi è stata la più massiccia emigrazione dalla regione calabria verso l’emilia-romagna”, si legge sempre nei rapporti Dna.
Dati quindi ormai per assodati i meccanismi della delocalizzazione in questo territorio, ne consegue una nuova definizione del fenomeno mafioso: una “altra ‘ndrangheta” all’opera in Emilia, come viene ribattezzato nella relazione della Dna. “Con questa espressione s’intende un gruppo di soggetti criminali (a volte affiliati, a volte nemmeno affiliati) che risultano godere in un largo margine di autonomia dalla locale madre di Cutro, ma sono obbligati nei suoi confronti per la rendicontazione dei risultati economici delle proprie imprese illegali impiantate in loco, tramite la corresponsione in quota maggioritaria di quanto incassato nel corso del medio e lungo periodo”.