DI GIOVANNI TARQUINI*
6/9/2020 – Quello in atto è un terremoto giudiziario dal lungo sciame sismico. Una coda che non si placa per le dimensioni della frattura creatasi all’interno della magistratura, che viene inevitabilmente rigenerata, ad ogni piè sospinto, dalla politica locale e nazionale, non potendo certo quest’ultima ignorare l’accaduto.
Esprimo un pur sommesso desiderio di chiarezza e di spiegazioni rispetto a importanti vicende processuali che hanno fortemente segnato la nostra città; spiegazioni che, stante il clamore mediatico degli ultimi mesi, diventano l’unico strumento di riscatto nella prospettiva di restituire dignità ed autorevolezza a quell’organo che rappresenta il costante e quotidiano interlocutore del legale e, suo tramite, del cittadino.
E ciò a prescindere sia dalle sempre possibili iniziative di legge per promuovere l’inizio di nuove indagini su determinati fatti ovvero per stimolare la prosecuzione di indagini già in corso, sia dall’ esperimento dei rimedi giurisdizionali contro decisioni che si ritengono ingiuste.
Nell’ attuale situazione, chi riveste il ruolo dell’avvocato ed assume il compito assai delicato di farsi carico dei diritti e degli interessi di coloro che a lui si rivolgono, non può che innalzare la bandiera della libertà e della dignità della professione, invocando e pretendendo la garanzia, che lo Stato ha il dovere costituzionale di offrire, di poter sostenere le ragioni del proprio assistito davanti ad un magistrato realmente autonomo ed indipendente, del tutto estraneo a logiche e dinamiche diverse da quelle che nascono, muovono e si fermano entro i confini della legge. Ciò che oggi vacilla è, ahimè, questa certezza.
*avvocato penalista