2/4/2018 – È stato un successo oltre le stesse aspettative, che pure erano elevate visto l’interesse del tema e l’autorevolezza gli ospiti, la giornata di studi internazionali dedicata al tema del divertimento nell’età antica, tenuta nei giorni scorsi a Reggio Emilia su iniziativa della Far-Studium Regiense e dell’archeologo Paolo Storchi, scopritore dell’anfiteatro romano di Reggio Emilia e fresco di dottorato alla Sapienza di Roma, nella cornice dell’oratorio della Trinità e della chiesa di San Filippo.
Con relatori delle principali università italiane, soprintendenti, archeologi e docenti britannici, spagnoli e svizzeri, si è registrata anche una notevole risposta da parte del pubblico con studiosi e studenti arrivati da Bologna, Venezia, e una anche dalla Francia.
Da antologia l’intervento di Elena Sorge che ha presentato una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi anni: il grande anfiteatro di Volterra (in parte scavato ed in parte rilevato con la geofisica) di cui nessuno aveva alcun sospetto dell’esistenza. “Solo alcuni fortunati interventi
edilizi e la sua speciale attenzione al territorio e alla tutela, hanno fatto sì che si scoprisse…e ora si spera che si possa valorizzare, ma in Italia, anche per scoperte di questa caratura, purtroppo è difficile”.
Renzo Tosi (Professore Ordinario Unibologna) ha portato il tutto sul piano della filologia, dimostrando, sempre con competenza, come esistessero giochi e proverbi antichi molo simili ai nostri. “Capita aut Navia” “testa o nave” era il nostro testa o croce (sulle monete romane, spesso era la prora di una nave).
E lo stesso Paolo Storchi ha parlato dell’anfiteatro e del
teatro di Reggio accennando anche ad alcune tracce da lui trovate a Luceria (pubblicate nella monografia “Regium Lepidi, Tannetum, Brixellum e Luceria Studi sul sitema poleografico della provincia di Reggio Emilia in età romana”, Quasar editori) e della traccia di Tannetum. Ha presentato le problematiche connesse, i risultati della indagine geomagnetica condotta da G. Mete e P. Blockley (Ra.Ga s.r.l.) che ha confermato l’esistenza della traccia e la presenza di
moltissimi chiodi (come anche attestato dallo scavo). La proposta di riconoscervi un anfiteatro di legno (il primo trovato in Italia) – ha so
ttolineato – ha trovato il consenso anche di grandi esperti di architettura e ingegneria romana.
Sono seguiti due interventi (Domenica Dininno e Lucia Marsicano con Marco Montanari) volti a far comprendere l’utilità delle ricostruzioni tridimensionali, in questo caso, di circhi: aiutano a comprendere come funzionasse l’edificio, se le ricostruzioni precedenti fossero davvero funzionali o meno e aiutano quindi gli studiosi a comprendere un monumento e non sono quindi puri “giochi” per il grande pubblico, se fatti con coscienza e da persone esperte.
Marco Bianchini, grande esperto di edilizia romana (ha scritto anche un manuale in uso nelle Università), ha approfondito le caratteristiche tecniche della pozzolana, la malta di origine vulcanica presente in Lazio e Campania e ha avanzato l’interessante proposta che il fenomeno degli anfiteatri lì si sia sviluppato anche grazie alla straordinaria restistenza di murature costituite tramite l’utilizzo di questo materiale.
Giuseppina Legrottaglie ha invece prodotto un intervento interessante riguardo l’orientamento degli anfiteatri,
partendo da quello di Milano da lei studiato da tempo: alcune strutture sembrerebbero orientate non come le città che servivano, ma come la campagna centuriata. C’è da domandarsi quale ne sia la ragione, ed è una interessante prospettiva per la ricerca futura. De Francesco, Jorio e Mete hanno poi parlato dell’anfiteatro di Laus Pompeia, uno scavo di 25 anni fa che ancora attende una pubblicazione di una struttura particolare, molto solida, ma non spettacolare come il colosseo; in parte scavato sottoterra, probabilmente. A dimostrazione di quante fossero le soluzioni possibili agli ingegneri romani.
Infine Damiano Iacobone ha tenuto un intervento rilevante su un argomento di cui poco di parla: cosa è successo agli anfiteatri quando la morale cristiana ha reso i giochi impraticabili? Alcuni sono stati inglobati nelle mura tardoantiche, altri sono stati trasformati in vere e proprie fortezze, altri ancora…smontati del tutto ed il materiale ha fatto vivere le nostre città medievali.
Il convegno é culminato con la sessione internazionale dove si sono presentate grandi novità di cui non si era mai parlato in Italia.
“Splendido lo studio di Tony Wilmott sugli anfiteatri connessi con i campi militari, a delizia dei soldati. Campi che spesso poi si sono trasformati in città, come a Chester. Qui proprio gli scavi di Wilmott hanno dinmostrato come non sia mai esistito un anfiteatro di legno, come si era sempre creduto, ma fin dal principio era un anfiteatro di pietra.
Thomas Hufschmid ha invece presentato casi assolutamente non noti in Italia di città Svizzere dall’archeologia interessantissima con una gerarchia fra i vari edifici per spettacoli insospettabile e con costruzioni e ricostruzioni di un teatro che divenne un anfiteatro e poi, di nuovo, un teatro. Un caso unico.
Incredibile anche come in Italia – sottolinea Storchi – non si fosse mai parlato della ricerca importantissima di Jordina Sales-Carbonell che, cercando una chiesa paleocristiana, si è imbattuta nell’anfiteatro nientedimeno che di Barcellona! ricordato dal nome di una chiesa “de las arenas” cioè dell’arena.
IN conclusione un parallelo lontano, ma neanche troppo: la realtà del Messico dove una società raffinata ed evoluta come quella Maya costruì strutture per giochi molto diversi (la pelota, una sorta di calcio ma in cui si poteva colpire la palla solo con i fianchi) ma centrali per la vita comunitaria, proprio similmente a quel che avveniva in occidente”.
La grande partecipazione degli studiosi – anche dalla Svizzera, dalla Spagna e dalla Gran Bretagna – ha purtroppo limitato la discussione che si è così svolta nelle pause. «In ogni caso le novità sono state tante e tali che presto uscirà il libro degli atti di questa giornata di altissima cultura reggiana».
Giornata, va detto, che è stata realizzata solo grazie al contributo della Far-Studium Regiense, all’aiuto della Società Reggiana di Archeologia e contributo dello stesso Storchi, che ha devoluto al convegno parte del premio vinto con la sua partecipazione all’Eredità, il quiz condotto dal povero Fabrizio Frizzi.
Da non trascurare lo strepitoso successo ottenuto dalla cucina reggiana: cappelletti, tortelli e lambrusco hanno conquistato il palato di fior di studiosi. Ma non è certo la prima volta.
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Giovanni Maria
02/04/2018 alle 16:47
Tanti complimenti a Ghiggini per questo bellissimo e interessante articolo.
Bravissimo a Paolo Storchi per aver organizzato un convegno culturale di
altissimo livello nella nostra città.
Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno contribuito a realizzare
questo bellissimo evento.
carlo
04/04/2018 alle 08:39
Con un può di buona volontà è possibile organizzare giornate di studio internazionali come quella del dr. Storchi sui problemi archeologici. Sono soddisfatto che Far SR abbia dato un buon contributo all’iniziativa.
Carlo Baldi
Edoardo
05/04/2018 alle 23:29
Ce ne vorrebbero di più di iniziative di questo tenore!