31/1/2017 – Reggio Report è in grado di pubblicare l’originale in quattro fogli dattiloscritti della nota informativa della Cia (Central Intelligence Agency) datata 5 gennaio 1949 in cui viene descritto nei dettagli il piano di occupazione di Reggio Emilia da parte di un esercito clandestino organizzato dal Pci: tremila armati concentrati alla Reggiane, una squadra d’assalto, una brigata di killer eliminatori, una brigata di Gap, un quartier generale in zona Municipio, più altro migliaio di uomini (almeno) distribuiti in provincia e un una brigata “Costrigliano” nella zona ceramiche. Il tutto al comando di Didimo Ferrari “Eros” e di comandanti partigiani rotti a ogni impresa sanguinosa, come “Sintoni” e
Reclus Malaguti “Benassi”. Ma nell’elenco figurava anche Valdo Magnani, deputato e segretario federale, che pure due anni dopo insorse contro l’attesa dei carri armati sovietici da parte del Pci.
Di tutto questo ci siamo occupati a fondo, con nomi, cognomi e strutture organizzative.
Ma il documento originale che mettiamo in rete è la dimostrazione che il piano golpista del Pci non è un’ invenzione o una forzatura giornalistica: esisteva davvero.
In realtà il dossier è desecretato da anni, tuttavia era in consultazione solo ai National Archives Usa del Maryland. Dal 9 settembre invece, in base a un provvedimento governativo, questo e altri milioni di documenti sono consultabili on line da chiunque: basta collegarsi al sito della Cia e rintracciare con un paio di clic la stanza elettronica del Freedom of Information Act.
E’ possibile che emergano altri dossier interessanti come questo: in tutte le regioni italiane esistevano organizzazioni paramilitari del Pci, ma nulla al momento è paragonabile al piano di occupazione di Reggio Emilia come descritto nel dossier del 1949.
Il caso ha una rilevanza nazionale, perché può essere la prova regina di un progetto insurrezionale “dormiente” che attendeva solo un ordine di Stalin per essere attuato.
Per questo è pertinente la richiesta formulata attraverso un’interrogazione alla giunta regionale dal consigliere Enrico Aimi, di Forza Italia, per una indagine della Procura di Reggio Emilia, se non altro per la ricerca dei depositi di armi forse ancora disseminati nel territorio.
Ieri ha battuto su questo tasto il capogruppo azzurro a Reggio Giuseppe Pagliani, ricordando che buona parte di quelle armi passarono dagli ex partigiani alle Brigate Rosse. «Ildossier della Cia conferma un verità storica già riconosciuta ed analizzata più volte da alcuni storici del dopoguerra nonostante le accuse di faziosità e revisionismo mosse dall’allora Pci».
fra i primi lo studioso Marco Pirina, scomparso nel maggio 2011, fondatore e presidente del centro studi Silente Loquimur. «Pirina scrisse il libro “La rivoluzione rossa” precisando il vero obiettivo di buona parte dei partigiani comunisti – ricorda Pagliani, che ha collaborato alle ricerche di Pirina.
Perchè «le bande partigiane non si sono dissolte all’alba della Liberazione ma hanno assunto una modalità clandestina “dormiente” pronte a risorgere armi in mano, qualora se ne fosse verificata l’occasione. Migliaia di partigiani hanno nascosto armi , munizioni ed esplosivi, creando arsenali illegali utili all’eventuale proseguimento della rivolta per sovvertire l’ordine repubblicano».
Da lì nascerà mito della ‘rivoluzione tradita, ’ tanto che – aggiunge Pagliani – come riconosciuto da Alberto Franceschini , uno dei fondatori delle Brigate Rosse, molte armi utilizzate dalle stesse Br provenivano dagli arsenali clandestini creati dai partigiani anni prima».
Conclusione: «L’esistenza dei depositi di armi e di una milizia comunista è uno dei tanti segreti di Pulcinella del dopoguerra, che la propaganda di sinistra ha sempre tentato di celare tacciando di bieco revisionismo i tentativi attuati da chi cercava di affermare la verità».
Alessandro Raniero Davoli
01/02/2017 alle 15:38
Nel 1991-92 usci sulla Gazzetta di Reggio un interessante articolo, (sulla scia del “chissà parli”, dell’ex partigiano, deputato PCI, Otello Montanari), relativo ad una segnalazione anonima, tramite quella che pareva un’informativa dei servizi italiani, a firma di un certo “Liutaio”, su un deposito di armi dei partigiani garibaldini.
Il nascondiglio veniva collocato, murato, all’interno di un locale “ghiacciaia” dell’ex albergo-ristorante in località Gabellina, allora comune di Collagna, oggi Ventasso.
L’albergo era allora di proprietà di un partigiano, geom. A. S. deceduto nel 2012.
L’articolo conteneva un elenco dettagliato con numero e tipo delle armi, alcune ancora imballate negli involucri originali lanciati con il paracadute: pistole Colt calibro .45, mitra Sten calibro 9mm parabellum, mitra Thompson calibro .45, mitragliatori Bren calibro .303, bombe a mano, mine anticarro, esploditori elettrici, detonatori, esplosivi ecc.
Per una settimana i carabinieri della stazione di Collagna vigilarono sull’ex albergo, poi più nulla.
Alcuni mesi dopo furono ritrovate al di là del crinale, se ricordo bene, nel comune di Fivizzano, casse di bombe a mano e altri ordigni residuati bellici.
Il comandante partigiano Sintoni della 144 Brigata Garibaldi,(Fausto Pattacini), interpellato, disse che non ne sapeva niente …
Venne fatta anche l’ipotesi, sulla stampa locale, di un utilizzo delle prime BR di parte di quelle armi ancora perfettamente conservate.